Intervista a Gianfranco Fini: “Il mio no al referendum. Meno tasse? Tagliare sulle Regioni. I giovani e i valori della destra”

Intervista Finidi Dario Tiengo – Gianfranco Fini, 64 anni, ha attraversato la storia politica del nostro Paese con le radici ben piantate nella Destra e contribuendo alla sua evoluzione quando, nel 1995 divenne presidente di Alleanza Nazionale. Successivamente, ha creduto nel nuovo partito di centrodestra, fondato insieme a Silvio Berlusconi nel 2008 (Popolo Delle Libertà). Parlamentare dal 1983, vicepresidente del Consiglio con il Governo Berlusconi, Ministro degli Esteri, Presidente della Camera, Gianfranco Fini è stato un protagonista a tutto campo. Dal 2013 non è più in Parlamento. Ma la passione politica non l’ha abbandonato. Ora è Presidente dell’associazione Liberadestra. Lo abbiamo intervistato nel suo studio alla Camera dei Deputati.


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Cosa significa essere di destra oggi? Perché un giovane dovrebbe avvicinarsi alla destra?

Bella domanda. Se per destra si intende un’etichetta, è facile rispondere; se, invece, per politica di destra si intende una politica orientata a determinati valori e ci si muove poi sulla base di quei principi, allora ci siamo. Cosa voglio dire? Destra è secondo me amare la propria patria senza però avere la presunzione, in quanto Italiani, di essere migliori di altri. Destra significa uguaglianza ma nel punto di partenza. Si parte uguali e poi si procede per meriti. Destra vuol dire legalità e, quindi, la certezza che chi sbaglia deve pagare.

Nell’ultimo periodo lei è stato spesso a contatto con gli studenti; che reazioni hanno quando parla di questi valori?

Se rispondo “positiva” subito dirà che tiro l’acqua al mio mulino. Certamente sono interessati. Non è vero che i giovani siano lontani dalla politica o menefreghisti. È chiaro che se ai giovani si “passano” soltanto insulti, slogan e frasi fatte, allora si allontanano. Se, invece, si rivolge loro l’invito a ragionare su alcune questioni, allora c’è interesse e partecipazione. C’è sensibilità e questo è un fatto positivo.

Europa, migranti, muri… questa è la destra? Lei si sta ritagliando uno spazio nella destra moderata, diciamo “non lepenista”. In Europa sta avanzando invece l’ala l’estrema. Che ne pensa?

Siamo in una fase storica in cui giustamente gli europei hanno timore per il loro futuro. Il timore nasce dal fatto che c’è una situazione totalmente fuori controllo. C’è chi a questo timore risponde buttando benzina sul fuoco e chi invece risponde dicendo: signori il problema è reale ma la soluzione non è quella di alzare muri o di sperare che rimangano a casa loro. La soluzione è molto, molto più complessa.  Noi Italiani siamo i primi, insieme ai Greci, a dover pretendere che l’Unione Europea garantisca la sicurezza delle frontiere esterne. Non gli Stati Nazionali. Noi Italiani, con una politica di destra, abbiamo il sacrosanto diritto di chiedere che i visti per i rifugiati siano riconosciuti a livello europeo e non nazionale e che tutti i Paesi dell’Unione si facciano carico di una quota di migranti che si vedono riconosciuto il diritto d’asilo. Se si rimane al Trattato di Dublino – che dice che il primo Paese dell’Unione che nel suo territorio ha un profugo lo deve tenere all’interno di quel territorio – non risolviamo nulla

C’è chi dice che oggi l’unica frontiera, rispetto alla destra lepenista, sia una destra “moderata forte”.

Sì, anche se dire “moderata forte” è quasi un gioco di parole. Preferisco, più che usare aggettivi, cercare di capire che cosa significa in termini di contenuti. Per tornare al tema: in Francia, il Fronte Nazionale dice da tempo che la Francia è dei Francesi. Sarkozy, esponente di un’altra parte della destra, dice invece che la Francia è di chi la ama. Puoi amare un Paese, puoi sentirti in qualche modo legato a un comune destino di quel Paese, anche se non è la terra dei tuoi padri. Sono due visioni diverse.

Lei ha avviato una fondazione “libera destra”…

E’ una associazione. Una fondazione ha più soldi

È un presupposto per una sua ridiscesa in campo?

È un presupposto per continuare a far politica. Sono stato più di 30 anni in Parlamento. La politica è un impegno a favore della società. Si può, si deve, secondo me, far politica da questo punto di vista e io lo faccio attraverso questa associazione, che cerca di guardare un po’ più in là della punta del naso. Perché, se si continua a stare sull’attualità, si perde di vista il senso della prospettiva.

Ora di cosa vi state occupando?

Siamo ormai alle porte del referendum costituzionale. Bisogna votare no, perché Renzi dice tante bugie quando dice di aver abolito il Senato. Non è vero. Cambia radicalmente la funzione. Cento tra funzionari regionali e sindaci. Tanto valeva abolirlo. Io non voglio conservare l’assetto attuale. Ho costituito un’associazione che si chiama “Presidenzialisti per il no alla Costituzione truffa”. Senato abolito e presidenzialismo. La riforma di Renzi, come hanno detto molti costituzionalisti, è fatta e scritta (sotto certi aspetti) con i piedi. L’altro oggetto di studio dell’associazione è la politica internazionale e, in particolar modo, il rapporto con il mondo musulmano. Tutti più o meno parlano del rapporto con l’Islam, il pericolo che può rappresentare l’integralismo islamico, ma pochi parlano a ragion veduta di un fenomeno destinato inevitabilmente a influenzare la società europea per i prossimi anni. Sono perplesso sulla possibilità reale di integrazione.

Per quale ragione?

L’Islam non è una religione secolarizzata. Intendo dire che anche il cattolico più osservante e praticante non sogna il ritorno del Papa Re. L’Islam, invece non distingue tra sfera religiosa e pubblica. Il progetto evangelico di dare a Cesare quello che è di Cesare anche per il musulmano più moderato, più colto non è comprensibile. In arabo, la parola mussulmano (muslim) vuol dire “sottomesso al volere di Dio” sempre, sia che sia il presidente della repubblica sia che si tratti dell’ultimo dei cittadini. Diventa difficile integrare questa cultura – che merita il massimo rispetto – in una società come la nostra o come quella europea.

Andando alla sua priorità principale, lei considera dunque importante questo referendum? E’ la madre di tutte le battaglie? Non è pericoloso – sia per l’opposizione sia per Renzi – considerarlo così?

Renzi è capace di rivoltare le frittate. È il miglior chef d’ Italia. Fino a qualche tempo fa diceva che se avesse perso il referendum sarebbe finita la sua carriera politica, oggi dice che ci sono gli altri. Senza enfasi e senza retorica, forse è sbagliato dire “la madre di tutte le battaglie” , però ci andiamo vicino. I governi inevitabilmente passano. Le costituzioni dovrebbero restare. Se, al contrario, si fa della Costituzione una specie di volantino di propaganda – come ha fatto Renzi per dire che rinnova – si finisce per stravolgere il senso della Riforma costituzionale.

Ottobre: referendum. Giugno: amministrative. Lei sostiene Marchini, Giorgia Meloni si è persa per strada?

Giorgia Meloni – e spero che non si offenda se lo dico – in cuor suo non spera di diventare sindaco perché, se diventa sindaco, si deve dimettere da parlamentare e da segretario del partito. Giorgia Meloni fa in modo del tutto legittimo quello che anche altri hanno già fatto e cioè dire: “Se ho un buon risultato si avvantaggia il mio partito” Legittimo, ma Roma ha bisogno di un sindaco perché è in una condizione pietosa come forse non lo è mai stata.

Perché ha scelto di appoggiare Marchini?

Marchini lo conosco pochissimo ma lo appoggio (e hanno fatto bene ad appoggiarlo Berlusconi e Storace) perché non si è candidato due o tre mesi fa per avere un momento di notorietà. Si è candidato tre anni fa, ha perso, è rimasto nel consiglio comunale e non per il gettone di presenza – perché campa del suo – e ha fatto l’opposizione. Si è in qualche modo appassionato alla realtà amministrativa di Roma e cerca oggi di essere eletto.

La crisi ha lasciato segni profondi. C’è un segmento fortissimo che è quello delle Partite Iva, delle micro imprese, delle piccole e medie imprese che è sempre stato penalizzato. Spesso indicato come segmento di evasori. Il sindacato li ignora. Non c’è nessuno che in qualche modo se ne faccia carico. Che ne pensa?

Penso esattamente quello che pensavo negli anni in cui il Popolo delle Libertà, e ancora prima Destra Nazionale con Forza Italia e la Lega, governava l’Italia. Questo popolo delle partite iva – detto un po’ enfaticamente – deve essere messo nelle condizioni di pagare il giusto e quindi una seria lotta all’evasione. Questa va fatta proprio per ridurre il carico fiscale a quelle categorie tartassate e, in particolar modo, i lavoratori autonomi. Il carico fiscale diretto o indiretto su chi produce ricchezza è intollerabile in Italia. Non è semplice farlo.

Su questo Renzi ha fatto qualcosa, non crede?

Sì, ma appena sono terminati gli incentivi per le assunzioni previste dal job act è crollato il numero dei neo assunti. Oggi il precariato ha cambiato nome, ma c’è ancora. Faccio un esempio: ridurre il carico fiscale vuol dire necessariamente tagliare le spese da qualche altra parte. Possibile che in tanti non abbiano ancora capito che l’unico rubinetto che va chiuso in fretta è quello della spesa regionale? Monti, ancor prima Tremonti, e Prodi, hanno pensato ai tagli ai Ministeri e siamo così arrivati all’osso. La spesa che continua a correre senza controllo è quella delle Regioni. Allora riduciamo in modo sensibile questa spesa.

Anche Berlusconi non è riuscito a fare molto…

Berlusconi era quello a cui per certi aspetti non si poteva dire di farlo, perché aveva al suo fianco Bossi con il discorso del federalismo e quindi sarebbe stato in controtendenza. Se oggi abbiamo bisogno di risorse in più per ridurre il carico fiscale, quelle risorse devono essere prese dove è possibile. La spesa regionale è un vitello grasso a cui si può tranquillamente ricorrere.

Sulla spesa regionale, e su quella dell’amministrazione pubblica in generale, ci hanno campato tutti, dalla prima repubblica in poi, perché era un bacino elettorale, ora non pensa che metterci le mani sia un’impresa ciclopica?

Certo, è molto molto difficile, però è l’unico modo per invertire questa tendenza drammaticamente in atto e cioè cresce il carico fiscale e contemporaneamente cresce la spesa pubblica. Visto che non possiamo indebitarci più di quanto già abbiamo fatto.

Chiudiamo ritornando ai grandi temi. Il Papa anche in questi giorni ha ribadito una serie di concetti sempre con la priorità agli ultimi e alla denuncia della ricchezza senza solidarietà. C’è chi per questo lo etichetta come Papa “di sinistra” e c’è chi si spinge a definirlo “comunista”. Che ne pensa?

Di imbecilli ce ne sono tanti. Non rispondo perché non mi ritengo all’altezza della sua domanda. Nel senso che non ho il dono della fede, sono laico. Ho il massimo rispetto per il ruolo che la religione ha avuto e ha, e avrà nella società italiana. Solo un ignorante può negare che la religione nella società italiana è la religione cattolica. Papa Francesco è decisamente un Papa innovatore. Guardo e leggo con curiosità alcune delle cose che dice perché ha certamente il pregio di interessare e colpire anche chi non è un cattolico praticante.

Lei ha attraversato 40 anni di storia italiana da protagonista. Nella seconda metà del ‘900, in particolare, negli anni ‘60-‘70, c’è stata una forza di cambiamento e di rinnovamento notevole. I giovani magari si polarizzavano sugli estremi ma avevano la speranza di cambiare il mondo. Ora il mondo è cambiato senza che nessun movimento di popolo lo rivendicasse. Troppo potere della finanza o poca capacità della politica?

 Direi che è qualcosa di più. Intanto, sembra una banalità ma non lo è: siamo entrati non solo in un nuovo secolo ma anche in un nuovo millennio. Ci sono dei momenti in cui il libro della storia gira pagina e ti accorgi che la pagina è girata solo qualche tempo dopo. Rispetto all’epoca che lei citava oggi c’è un fenomeno come la globalizzazione che ha determinato sconvolgimenti non solo in termini sociali ma anche culturali. A questo aggiungerei, riferito all’Italia, che negli anni successivi al cosiddetto boom economico dal ‘60 fino al ‘75/’80 i giovani erano in qualche modo preponderanti rispetto agli anziani. Oggi lei sa che siamo la società più vecchia. Siamo all’inverso e questo non porta soltanto delle conseguenze sociali enormi. Oggi le categorie più deboli non sono gli anziani ma i giovani.

Quindi?

C’è complessivamente nella società una minore predisposizione a guardare al futuro. La finanza, come è notorio, non ha bandiere, non ha valori di riferimento se non l’accumulo del capitale. Credo di dire il vero dicendo che negli ultimi tempi paghiamo anche la conseguenza del fatto che nell’ambito di un’economia sana oggi il ruolo della finanza è, sotto molti aspetti, pari se non preponderante rispetto all’economia che produce reale ricchezza. La ricchezza prodotta dal lavoro è stabile mentre quella prodotta dalla finanza, comprese le speculazione, è una ricchezza volatile. È un fatto storico, non è un fatto di destra nè di sinistra.

L’ultima domanda è uno sguardo all’indietro. Ha dei rimpianti sulla rottura con Berlusconi? Oggi c’è una grande questione sulla leadership del centrodestra e lei ne sarebbe stato il naturale erede. Ha dei rimpianti?

Premesso che sono cosciente di aver commesso degli errori (chi non è cosciente di questo ha una presunzione sconfinata) devo anche dire che ci sono dei momenti nella vita di un uomo, soprattutto di un uomo politico, in cui ci si trova di fronte a un bivio. O fai quello che ritieni possa tornarti utile oppure fai quello che ritieni giusto, magari anche sbagliando. Ho scelto la seconda strada

Davvero alle prossime politiche non ci sarà?

Lei pensa che l’Italia abbia bisogno di un ennesimo partito? L’Italia ha bisogno di ripensare a se stessa, di riqualificare la politica. Credo che si possa continuare a svolgere un ruolo senza essere in Parlamento o essere candidati.

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