Ricordando con rabbia: controculture nell’Inghilterra degli anni ’60

di Alfredo Sgarlato – La Beat Generation, punto di svolta delle controculture dagli anni ’50 in poi, ebbe un forte contraltare in Inghilterra, però con un seguito molto minore oltremanica. Si parlò di “Giovani arrabbiati”, partendo dal testo classico “Look back in anger (“Ricorda con rabbia” in Italia)”, di John Osborne, precursore di una svolta artistica che investì la letteratura, il teatro, il cinema, persino la musica e la moda. Tematiche forti erano quelle dell’insoddisfazione dei giovani, spesso di famiglia proletaria o piccolo borghese, in fatto di lavoro, relazioni, sessualità.

Il teatro è il primo campo di azione per i giovani arrabbiati, che ben presto diventeranno “venerati maestri”, come direbbe Arbasino. Su tutti Harold Pinter, premio Nobel 2005, inizialmente avvicinato al teatro dell’assurdo di Beckett (che divenne il suo maggior fan), per passare poi a lavori fortemente politicizzati. Inutile dire che le sue prime opere vennero stroncate dalla critica, che lo bollò come autore incomprensibile e senza nulla da dire. Molto significativa l’opera di Alan Sillitoe (“Sabato sera, domenica mattina” è un’opera chiave del movimento) e di Kingsley Amis, che si cimentò anche nella fantascienza.

Harold Pinter

Le opere più importanti dei giovani arrabbiati vengono ben presto portate sullo schermo. Si parlò di “Free Cinema” per una generazione di autori, Lindsay Anderson, Karel Reitz, Lorenza Mazzetti, cui potremmo anche aggiungere Ken Loach, di formazione documentaristica. Diversamente da altri movimenti di quel periodo come la Nouvelle Vague o la Beat Generation americana in loro vi è meno attenzione alla sperimentazione formale, tranne che nei film di Richard Lester, commedie molto influenzate dal mondo musicale, e una forte radicalità politica. Emerge la forte divisione in classi presente nella società britannica, forse più che in molte altre nazioni: ma la rivolta dei giovani inglesi è soffocata nel conformismo, e può sfociare solo nella follia (“Morgan matto da legare”, Karel Reitz, 1966) o limitarsi a prendersi rivalse illusorie nella sfera sentimentale (“Alfie”, Lewis Gilbert, 1966 ).

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Interessante vedere come negli anni ’60 il clima di rivolta musicale e giovanile portò alla nascita di movimenti che ancora oggi hanno un seguito di culto. Una frangia di giovani di estrazione operaia o piccolo borghese si denominò i “Mods” (ovvero Modernists), un movimento che rifiutava le connotazioni classiste e tradizionaliste con una rivolta soprattutto di tipo estetico: vestire all’ultima moda e ascoltare musica nera (soul, ska) era il modo di distinguersi dal conformismo sociale. Il movimento Mod non veniva capito da altri ragazzi, i Rockers, spesso di origine sottoproletaria, che non avendo alcuna base culturale non comprendevano le scelte dei Mods, rifugiandosi in un’ideologia tradizionalista e razzista in grado di dare loro certezze.

Paul Weller e Pete Townsend icone anche di stile

Dimenticato nei primi anni ’70, riscoperto grazie al disco “Quadrophenia” degli Who e al film ad esso ispirato, a fine anni ’70 il mondo Mod torna in auge, capitanato dal grande musicista Paul Weller, coi suoi gruppi The Jam e The Style Council, diffondendosi anche in Italia e mantenendosi vivo fino ad oggi. Interessante come vennero poi definiti dalla stampa inglese angry young men tre musicisti intruppati spesso col punk e la new wave per motivi generazionali, ma in realtà inclassificabili, Elvis Costello, Joe Jackson e Graham Parker, forse il musicista più ingiustamente sottovalutato nella storia del rock.

Tutti gli autori citati, scrittori, musicisti, registi, hanno una caratteristica in comune: essere assolutamente “british”: con quell’inconfondibile miscela di classe e rudezza, umorismo e impegno, un po’ snob anche quando sono orgogliosamente proletari, ribelli anche quando diventano lords. Oggi fuori moda e proprio per questo imperdibili.