Una certa tendenza del cinema francese

di Alfredo Sgarlato – Scopro con ritardo che ci ha lasciati Jean Jacques Beineix (8/10/1946- 13/1/2022), regista che per un breve periodo fu in auge e poi dimenticato. Ai tempi, quegli anni ’80 per qualcun favolosi e per altri da incubo, avevo amato molto due suoi film “Diva” e “Betty Blue”, il primo un singolare noir con una soprano protagonista, il secondo una storia d’amore e follia che aveva rivelato il talento e la bellezza di Beatrice Dalle. Non avevo visto gli altri suoi film, distribuiti male e stroncati dalla critica, che con Beineix aveva un rapporto di amore/odio, così come con altri registi che vennero a lui accomunati.

Sì parlò di una seconda nouvelle vague, con autori ultracinefili, un cinema antirealistico e molto stilizzato, pure troppo per alcuni palati, basato sullo sconvolgimento dei generi, e con tanta musica rock. Accomunati a lui furono soprattutto Leos Carax, Luc Besson, Jeunet e Caro, ma anche Olivier Assayas. La carriera di Beineix è stata breve: sul set di “IP5-L’isola dei pachidermi”(1992), il protagonista, il grande Ives Montand, morì, e il regista fu accusato di averlo sottoposto a prove troppo pesanti, tra cui un bagno nell’acqua gelida. A torto o a ragione, ma Beinex fu per un po’ espulso dal mondo del cinema, girò alcuni documentari e un solo film a soggetto, “Mortel Transfert”, nel 2001, passato totalmente inosservato.

Betty Blue

Complicata anche la carriera di Leos Carax (22/11/1960). Coi suoi due primi film “Boy meets girl” e “Rosso sangue” stregò critica e cinefili, ma la lavorazione di “Les amants du Pont Neuf” fu lunga e travagliata, e soprattutto costosa, per i capricci del regista; il film venne strumentalizzato politicamente (“soldi pubblici spesi per un film che non andrà a vedere nessuno” il mantra populista), e fu un clamoroso insuccesso, che causò anche la fine della relazione con la sua musa e amata Juliette Binoche. Ai tempi io adorai quei film, e rivisti di recente li ho apprezzati ancora, anche se possono risultare legati a un gusto dell’epoca. Dopo ben nove anni Carax gira “Pola X”, film orribile e sbagliato, dopo altri tredici “Holy Motors”, per qualcuno il più bel film del decennio, secondo me più bizzarro che bello, e da poco è uscito il controverso “Annette”.

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Rosso sangue

Grande successo invece per il cinema di Luc Besson e Jean Pierre Jeunet (che però debutta già negli anni ’90), più capaci di intercettare il gusto del pubblico, specie il secondo con “Il Favoloso Mondo di Amelie” (mi faccio dei nemici, ma è il suo film che ho apprezzato meno). Besson è fra tutti quello più dichiaratamente fumettistico, spesso grossolano, ma almeno “Nikita” e “Leon”, se si ama il cinema di genere, sono indimenticabili. Assayas venne intruppato con loro per motivi generazionali, ma gli si può accomunare solo per i primissimi film. Un passato di critico, come molti registi francesi, e una carriera lunga e varia, che secondo me ha picchi notevoli quando sfiora l’autobiografico (“Qualcosa nell’aria”, “Sils Maria”, “Il Gioco delle Coppie”) e scivoloni irritanti quando affronta i generi in maniera intellettualoide e sconclusionata (“Irma Vep”, “Personal Shopper”).

Leon

Sarebbe limitante liquidare questi autori nella semplicistica categoria del postmodernismo, fusione di colto e pop, ibridazione tra i generi, estetismo sfrenato. Ma anche come un’imitazione del cinema hollywoodiano viziata dall’autorialità a tutti i costi, come scrissero i detrattori. Era un cinema che voleva divertire e divertirsi, rifuggiva l’impegno, certo, in questo era figlio del suo tempo (che voleva mettersi alle spalle anni di piombo e guerra fredda), e cercava una rivoluzione soprattutto estetica, come la musica che amavamo in quegli anni (quella però tutt’altro che disimpegnata). È un cinema che resterà? Questa è una domanda che in questo nuovo medioevo tecnologico è da farsi su qualunque filone artistico.