La lezione di Theodore Sturgeon e le serie TV

di Alfredo Sgarlato – Nell’opera di Thedore Sturgeon, scrittore di fantascienza attivo dagli anni ’40 ai ’60 e non celebrato quanto meriterebbe, c’è un tema di fondo che appare fortemente: un gruppo di sfigati, o reietti, che però uniti diventano invincibili. È una trama ricorrente, quella principale nel suo capolavoro “Nascita del Superuomo”, in cui un gruppo di freaks semiritardati acquista superpoteri quando sono insieme. Non è ovviamente solo questo a fare di Sturgeon un grande scrittore in un periodo in cui la fantascienza era poco più che letteratura per ragazzi: pensate che fu il primo a scrivere un racconto con una ragazza protagonista, cosa che ci sembra naturale oggi, ma era eversiva in un’epoca in cui i personaggi femminili erano solo di contorno, e poi uno a tematica gay, che gli costò minacce di morte.

Eppure Sturgeon non gode della fama che hanno Dick, Bradbury, Asimov, e nessun suo lavoro è stato portato al cinema, mentre ha lavorato come sceneggiatore per serie mitiche come “Ai confini della realtà” e “Star Trek”. Però… c’è un però: guardando molte tra le serie tv attuali le sue tematiche appaiono spesso in primo piano. Prendiamo la serie di culto “Stranger Things”: potrebbe benissimo essere un suo apocrifo, con il gruppo di nerd che sconfigge il mostro (e tutta la riscoperta delle tematiche della fantascienza classica, guerra fredda in primis). O una serie che prometteva molto e non ha mantenuto, “Messaggi da Elsewhere”, anche questa con un gruppo di reietti che si coalizzano per risolvere un mistero. O una delle serie più celebrate di quest’anno, “Midnight Mass”, dove, stando attenti a non spoilerare troppo, sono i reietti della comunità ad essere i potenziali eroi: come avviene nel pluripremiato film “La forma dell’acqua”, in cui l’aspetto più interessante della trama è il ribaltamento dei ruoli rispetto ai B-Movie degli anni ’50 che lo ispirano.

Stranger Things

Da notare come questa tematica sia in conflitto con uno dei massimi miti americani, l’eroe solitario che ce la fa da solo, benissimo rappresentata dai blockbuster dell’epoca reaganiana. E va notato che, come tanti falsi miti americani, il culto dell’eroe solitario viene smontato da Clint Eastwood in uno dei suoi film più belli e commoventi, “Space Cowboys”, in cui il protagonista non ha fatto fortuna perchè non sapeva giocare con la squadra, e quando è chiamato a salvare il mondo capisce che può farlo solo insieme alla sua squadra di vecchietti.

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Concludendo possiamo riflettere su come autori a lungo confinati nella letteratura di genere e pubblicati solo su riviste economiche (quella che abbiamo imparato a chiamare “pulp fiction”), hanno moltissimo influenzato l’immaginario del secondo ‘900, quello che oggi è ancora attualissimo. Autori come il nostro Sturgeon, Dick, Ballard, Matheson, si sono alla lunga rivelati più fecondi di tanti autori del canone principale. Per la loro complessità è stato difficile portarli direttamente al cinema, perlomeno prima del successo di “Blade Runner” (il cui seguito, così come il remake di “Dune”, sempre di Dennis Villeneuve, ci appare molto “ballardiano”…) eppure sono stati autori ombra di gran parte del cinema e della serialità contemporanei.

Messaggi da Elsewhere