La lingua che abito

di Alfredo Sgarlato – La settimana scorsa scrivevamo di Giorgio Scerbanenco, nato in Ucraina (allora Russia), che scrisse in italiano: ma poiché si era trasferito in Italia da pochi mesi si può assolutamente considerare scrittore italiano. Ma ci sono stati molti scrittori che hanno scelto di scrivere in lingue che non erano quella natale, e sono diventati tra i massimi esponenti di una letteratura per scelta e non per nascita. Due esempi simili e opposti vengono immediatamente alla mente.


Trova il regalo perfetto in Amazon
Regali! Tante idee e tante promozioni

Il primo è quello di Italo Svevo: nato Aron Hector Schmitz, in casa parlava dialetto triestino; cresciuto nell’Impero Austroungarico, diviene cittadino italiano sono negli ultimi anni di vita; fin da bambino studia italiano, tedesco e inglese e parla fluentemente tutti e tre. Quando si dà alla scrittura sceglie l’italiano, benché non lo scriva perfettamente e spesso usi forzature linguistiche: sui banchi di scuola si apprende che Svevo è un grande scrittore anche se “scrive male”. E lo è, per la novità (per l’epoca) dell’approccio psicoanalitico, per come anticipa l’esistenzialismo con la sua visione ironica e smagata dell’esistenza. Quale contrasto con la retorica dannunziana dei suoi tempi! Ma, volendo, potremmo chiederci quanti scrittori italiani siano effettivamente di madrelingua italiana, visto che fino almeno agli anni ’50 in casa si parlava solo dialetto, la televisione non esisteva e l’italiano si imparava a scuola come una lingua straniera.

Il secondo è ovviamente Vladimir Nabokov, esule russo e americano di adozione. Scrive in ambedue le lingue, ma è dell’inglese, che pure è la lingua appresa, che diviene un virtuoso, al punto che terrà corsi di scrittura creativa in quel linguaggio, avendo tra gli allievi addirittura Thomas Pynchon, uno che quanto a virtuosismo non è secondo a nessuno. Molti pensano che il suo romanzo più famoso, “Lolita”, molto più che una storia d’amore o un romanzo erotico sia la storia dell’innamoramento di Nabokov per la lingua inglese, e lo scrittore stesso fornisce questa chiave di lettura.

Il più noto esempio di scrittore che scrisse in una lingua appresa è quello di Joseph Conrad: nato in Polonia, studia il francese e l’italiano; poi, dopo i vent’anni, quando inizia a lavorare come marinaio, impara l’inglese e legge opere in quella lingua che lo segnano per sempre. Così, quando a 36 anni abbandona la vita avventurosa per dedicarsi alla scrittura di romanzi, parzialmente autobiografici, è l’inglese che sceglie come narratore. E oggi è considerato tra i maggiori scrittori in quella lingua, che pure apprese da autodidatta e già adulto.

Infine non possiamo dimenticare Samuel Beckett, irlandese, che si trasferisce definitivamente a Parigi nel 1939, dopo lunghi vagabondaggi per l’Europa. Beckett studia francese e italiano, lingue che padroneggia bene fin da bambino, scrive le prime opere in inglese, ma è tra i maggiori epigoni della poesia irlandese. Ma è in francese, lingua in cui, dice, trovava più facile scrivere “senza stile”, che scrive quelli che saranno considerati i suoi capolavori, come “Aspettando Godot” e la trilogia dei romanzi. Chiudendo il cerchio potremmo citare James Joyce, irlandese come Beckett e amico di Svevo negli anni vissuti a Trieste, in cui aveva imparato a parlare con facilità italiano e dialetto. Nel suo capolavoro molto citato e pochissimo letto, “Finnegans wake”, Joyce usa oltre quaranta lingue, con cui inventa continui giochi di parole.

Facendo ricerche per scrivere questo articolo scopro che il primo tentativo di tradurre in italiano Finnegans wake è di Juan Rodolfo Wilcock, argentino naturalizzato italiano. Amico di Borges e Bioy Casares con cui viaggiò a lungo, traduttore dal francese, inglese, tedesco, italiano, scelse nel 1957 l’Italia come patria e l’italiano come lingua, scrivendo romanzi e traducendo un altro irlandese intraducibile, Flann O’Brien.

Scrive Emil Cioran, filosofo rumeno di nascita e francese di adozione, anche lui perfetto bilingue: “Non si abita un paese, si abita una lingua. Una patria è questo, e niente altro.” Molti non saranno d’accordo, eppure è il caso di rifletterci su.