Romanzi veri e film inesistenti

di Alfredo Sgarlato – Nei mesi scorsi sono usciti alcuni saggi dedicati ai film che non esistono, ma che costituiscono il soggetto di altri film, come quelli a cui lavorano Mastroianni/Fellini in “8 e 1/2” o Truffaut in “Effetto notte“, o “Orgoglio della nazione“, il film di propaganda nazista che vediamo in “Bastardi senza gloria” di Tarantino, e così via, sono più di cento. Qui parleremo di qualcosa di simile eppure diverso: romanzi che trattano di film che non esistono.

Chi segue questa rubrica conoscerà la mia passione per David Foster Wallace: e un film inesistente, “Infinite jest“, è il protagonista occulto del suo omonimo capolavoro. Benchè dia il titolo al romanzo però di questo film sappiamo molto poco: è l’opera terminale del regista James Incandenza, soprannominato dai figli La cicogna triste o Lui in persona, è interpretato da una bellissima ragazza e dovrebbe essere perduto, ma forse qualcuno ne ha una copia che… lo scoprirete solo leggendo. E trattandosi di Foster Wallace ci vorranno un migliaio di pagine. Il romanzo segue molto di più i personaggi laterali rispetto al film (anzi alla “cartuccia”, la nuova tecnologia che nel futuro immaginato da Foster Wallace ha soppiantato cinema e tv), soprattutto i figli del regista, ma in una delle molte note viene riportata con precisione certosina tutta la filmografia di James Incandenza. Con grande crudeltà vi dirò che un po’ mi ha fatto pensare a un altro film che non esiste, di cui si parla nell’episodio capolavoro della serie “Masters of horror“, il primo dei due diretti da John Carpenter.

Caso vuole che in questi giorni, mentre sto leggendo “Casa di foglie” di Mark Z. Danielewski, mi imbatta continuamente in recensioni o citazioni di questo romanzo che sta diventando di culto. Primo romanzo dell’autore, pubblicato nel 2000, viene inizialmente pubblicato da Mondadori in poche copie subito esaurite e in vendita su internet a prezzi astronomici. Oggi viene ripubblicato da 66thand2nd, casa editrice dalle scelte molto raffinate, in una nuova traduzione più fedele all’originale. Caratteristica fondamentale del libro è la scrittura detta “ergodica”, in cui l’impaginazione non è quella tradizionale, per cui troviamo paragrafi scritti in verticale, capovolti, con una sola frase o parola per pagina, o da leggere piegando la stessa. La parola casa, la vera protagonista del romanzo, è scritta sempre in blu. Va detto che questi espedienti rendono la lettura piuttosto faticosa. La trama: un personaggio bizzarro, tale Truant, cambia casa; trova un manoscritto scritto dal cieco Zampanò, che è una dettagliatissima recensione di un film, “The Navidson record“, che documenta i fatti misteriosi avvenuti al precedente inquilino, un fotografo di successo. Nulla ovviamente prova che quanto sia successo, o raccontato, sia reale. Devo confessare che non condivido l’entusiasmo che gira intorno a questo libro, che trovo piuttosto noioso.

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Paul Auster

A mio modesto parere il più bel romanzo su un film inesistente è “Il libro delle illusioni” (2002), di Paul Auster. Qui troviamo la storia di un professore che dopo un terribile lutto sprofonda nella depressione. Scopre di essere guarito quando riesce finalmente a ridere guardando un film di uno sconosciuto comico del cinema muto. L’attore diventerà per lui un’ossessione che scatenerà una serie di eventi. Come sempre in Auster, scrittore a lungo sottovalutato dalla critica ufficiale, che non gli perdona il gravissimo peccato di essere uscito dalla nicchia, si è travolti dal piacere della narrazione con personaggi che raccontano la storia di un altro personaggio che racconta una storia, col Caso (o il Destino?) a guidarli. Il nostro eroe sarà l’unico spettatore di un film inedito, un’opera monstre in cui lo sconosciuto comico sperimentava tecniche d’avanguardia come l’uso del tempo reale e la ricerca dell’estremo realismo: avanguardia per l’epoca, perché oggi sono di moda con risultati tra il pessimo e l’ignobile.

Gerald Murnane

Ci sarebbe un altro romanzo su un film inestente da citare, ma non l’ho ancora letto e non posso approfondire più di tanto: si tratta di “Le pianure” (1982) di Gerald Murnane, ultraottantenne scrittore australiano che fino a non molto tempo fa pubblicava solo a livello locale, vive in un paesino dove gestisce un bar e rifiuta ogni uso della tecnologia esclusa la macchina da scrivere. Pare sia un autorevole candidato al Nobel: amici, dobbiamo leggerlo così sarà una delle poche volte che vince un autore conosciuto.