Terre del rock: Australia

di Alfredo Sgarlato – Come scrivevo in un articolo precedente, quando si parla di rock si pensa immediatamente all’America, e poi all’Inghilterra, sottovalutando le ricche scene di altri stati: per esempio chi ha iniziato ad amare questa musica negli anni ’80 sarà senz’altro legato all’Australia, terra da cui vengono alcune tra le band più notevoli del periodo. Ovviamente non possiamo qui trattare tutto il rock australiano, che meriterebbe un corposo volume: in questo articolo, che si rivolge a chi è incuriosito dal rock ma conosce poco le scene dette “alternative”, introduciamo alcuni gruppi simbolo.


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L’Australia è un paese giovane: tempo fa mi incuriosì un libro di quello che veniva presentato come il più grande scrittore australiano di tutti i tempi, Tim Winton, per poi scoprire che ha solo tre anni più di me. È quindi un paese culturalmente vergine quello che accoglie il chitarrista americano Deniz Tek, che insieme al surfista Rob Younger forma i Radio Birdman nel 1974. Tek proviene da Ann Arbor, vicino a Detroit, e inevitabilmente i suoi gruppi preferiti sono quelli del posto, Stooges e MC5. Sono quindi il punk e il garage rock a formare più di ogni altro filone il pubblico australiano: più o meno contemporaneamente ai Radio Birdman nasce un altro gruppo seminale, The Saints, il cui primo 45 giri, “(I’m) Stranded” esce persino prima di quelli di Sex Pistols e Clash. Come spesso avviene queste due band incidono a fine anni ’70 un paio di album notevoli a testa, si sciolgono, si riformano con formazioni diverse e sono tutt’ora attive. Tek e Younger hanno inoltre una ricchissima carriera come fondatori o produttori di altre band tra punk, garage e hard, come New Race, Lime Spiders, Celibate Rifles, o i favolosi Eastern Dark, la cui carriera fu distrutta da un incidente stradale dopo aver inciso solo un EP.

The Birthday Party

Gruppo simbolo del rock australiano sono i magnifici Birthday Party, formati nel 1975 dal cantante e scrittore Nick Cave con alcuni compagni di scuola. Dopo un paio di dischi passati inosservati pubblicati in patria si trasferiscono a Londra e poi a Berlino. Nel 1981 pubblicano un autentico capolavoro, “Prayers on fire“, in cui il blues viene stravolto seguendo le lezioni di Captain Beefheart e del mondo punk/new wave, con suoni taglienti e ritmi sincopati. Il carisma sul palco di Nick Cave è formidabile; inoltre è uno dei maggiori autori di testi nella storia del rock, non inferiore a Bob Dylan, Lou Reed o Peter Gabriel, testi veramente complessi, che mescolano l’inglese antico con i gerghi degli studenti o dei carcerati, con citazioni dalla Bibbia e dalla letteratura americana meno nota. Il gruppo dura un paio di anni, poi Cave si lancia in una carriera solista di livello sempre alto quando non altissimo (anche se l’ultimo “Ghosteen” ha diviso molto) e anche il chitarrista Rowland S. Howard, prima della morte prematura, ha inciso ottimi dischi con le band Crime and the City Solution e These Immortal Souls.

The Go-Betweens

Sempre in ambito new wave si fanno notare The Go-Betweens, formati dai chitarristi e cantanti Robert Foster e Grant McLennan con la batterista Lindy Morrison. Negli anni ’80 incidono una mezza dozzina di album molto riusciti, soprattutto “Before Hollywood” e “Spring Hill Fair“, passando dal rock scarno e minimale degli esordi a una musica più complessa con influenze folk e pop. Nel nuovo millennio si sono riformati, incidendo ancora tra validi dischi prima della prematura dipartita di Grant. Ricordiamo en passant che un membro temporaneo dei Go-Betweens, Peter Minton Walsh, ha inciso pochi ma buoni album tra rock e canzone d’autore a nome The Apartments. Se gli Stooges erano il nume tutelare dei primi gruppi citati, Velvet Underground e Television lo sono per i Go-Betweens, e per un altro grandissimo gruppo coevo, i Church. La voce del cantante bassista Steve Kilbey può ricordare quella di Lou Reed, gli intrecci delle chitarre di Peter Koppes e Marty Willson-Piper sono debitori del gruppo di TomVerlaine. La musica dei Church, che mescola sognante psichedelia e malinconia new wave, è tra le migliori colonne sonore degli anni ’80. La loro carriera, che ha avuto il culmine artistico e commerciale con l’album “Starfish“del 1988, continua tutt’oggi dopo molti cambi di formazione e numerosi dischi sempre piuttosto buoni. Steve Kilbey e Grant McLennan ha inciso anche due dischi insieme a nome Jack Frost.

Negli anni ’80 si perde il conto delle ottime band che in Australia riprendono il verbo degli anni ’60, garage rock e psichedelia, aggiornandolo secondo la lezione del punk e della new wave: i magici Triffids, The Moffs, The Stems, i Died Pretty. Forse quelli che hanno avuto un minimo di successo in più, almeno qui in Italia, pur rimamendo nella nicchia furono gli Hoodoo Gurus, già simpatici alla vista per le loro capigliature e camicie, autori di un ottimo pop-rock basato sullacommistione di chitarre sferragliante e melodie azzeccate. “Mars need guitars” un loro disco simbolo.

Nondimeno in quegli anni in Australia erano presenti gruppi che contaminavano il rock con l’avanguardia e la sperimentazione. Anche in questo caso scegliamo una sola band simbolo, i meravigliosi Dead Can Dance formati da due cantanti e polistrumentisti dotati di bell’aspetto e voce splendida, Lisa Gerrard e Brendan Perry. Dopo un inizio ancora legato agli stilemi dark, i due incidono alcuni bellissimi album in cui si fanno sempre più forti influenze romantiche, barocche, folk ed etniche, su tutti “Within the realm of a dying sun” (1987) e “Aion” (1990). Dopo un paio di dischi gradevoli ma di routine il gruppo si sciolse, per dare vita a due valide carriere soliste, per poi riformarsi e incidere un ottimo disco, “Anastasis“, nel 2012. Perry in realtà aveva iniziato la carriera in Nuova Zelanda, altra terra ricca di gruppi dediti alla psichedelia e all’avanguardia. Ma questa è ancora un’altra storia.