Cinema e follia: qualche film da riscoprire

di Alfredo Sgarlato – Cinema e follia è un binomio storico che conta centinaia di titoli, e che necessiterebbe di un volume di enciclopedia, non di un articolo. Segnaliamo qui soltanto alcuni interessanti precursori, e qualche ottimo outsider, com’è nello spirito di questa rubrica. Sicuramente tra i capisaldi del genere c’è “M-Il mostro di Düsseldorf” (1931), di Fritz Lang. Ultimo capolavoro dell’espressionismo tedesco, in cui Lang sfrutta sapientemente le inquadrature angolate e la musica per trasformare un cortile in un luogo da incubo, è la storia di un killer di bambini che sarà trovato da un gruppo di ladri. La “M” del titolo sta per “mörderer”, assassino in tedesco, la perdita dell’assonanza in italiano ha fatto sì che venisse tradotto “mostro” e che questa accezione del termine diventasse di uso comune. Il film ci interessa perché, una volta catturato, il mostro – una magnifica interpretazione di Peter Lorre – si difende dichiarandosi folle, e uno dei suoi potenziali carnefici lo difende considerandolo soggetto da curare e non da eliminare.

Altro noir notevole imperniato sulla follia è “Lo specchio scuro” di Robert Siodmak (1946) in cui Olivia de Havilland interpreta magistralmente due gemelle, di cui una schizofrenica e omicida. Aldilà della bellezza del film, uno dei molti casi che mostrano come gli esuli europei fecero grande Hollywood, per lo psicologo è interessante vedere come la protagonista sia sottoposta al test di Rorschach, con uso di tavole vere (dovrebbero essere segreto professionale) e risposte assolutamente da manuale. Interessante invece per la presenza di uno psichiatra democratico che usa metodi moderni è il melodramma “Perdutamente tua” (1942, molto più bello il titolo originale, “Now, voyager“) di Irving Rapper, con una magnifica Bette Davis nei panni di una zitella succube della madre che rifiorisce dopo le cure dello psichiatra, e il resto non si può dire perché com’è tipico di questi film, quelli che alle mamme e alle nonne fanno dire: come mi sono divertita ho pianto per tutto il tempo, alla protagonista in due ore succedono più vicissitudini che a una famiglia intera in due vite.

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Olivia de Havilland, Dark Mirror

Ritroviamo Olivia de Havilland in “La fossa dei serpenti” (1949), di Anatole Litvak, se non erro il primo film ambientato totalmente o quasi in un manicomio. Film di grande successo e molto premiato, fece sì che in sette stati americani le condizioni di vita negli istituti psichiatrici migliorassero. La bravura di tutto il cast portò a credere che molti attori e comparse fossero psicotici autentici; spicca l’interpretazione di Betsy Blair, attrice considerata non bella per i canoni dell’epoca e quindi molto ricercata per ruoli realistici, anche in Italia, dove si trasferì per sfuggire al maccartismo. Caposaldo del genere è “Il corridoio della paura” (“Shock corridor“, 1963), di Sam Fuller. Storia di un giornalista che per vincere il Pulitzer si finge pazzo, si fa ricoverare e poi impazzisce davvero, è un film barbarico, urlato, com’è nello stile del grande regista, uno tra quelli più fuori dagli schemi del cinema hollywoodiano, è scientificamente inattendibile, ma è emozionante e recitato benissimo, e presenta personaggi indimenticabili, come il nero che si è identificato nei suoi carnefici.

Shock corridor

Tornando alle vittime del maccartismo, Robert Rossen, regista e sceneggiatore di non grande successo, dopo essere stato riabilitato dirige i suoi due personali capolavori, “Lo spaccone“, e quello che ci interessa “Lilith- la dea dell’amore“(1964). Qui troviamo un giovane educatore, interpretato da Warren Beatty, che si innamora di una sua bellissima paziente, interpretata da Jean Seberg. Film per l’epoca assai scabroso, quasi dimenticato (che io ricordi un solo passaggio notturno in tv negli ultimi trent’anni), è molto bello e avvincente. Fu un insuccesso, e anche a causa dei contrasti con le due bizzose star Rossen non riuscì più a girare altri film prima della morte precoce.

Lilith

Con gli anni ’70 e l’emergere della controcultura i film che trattano di follia diventano moltissimi, specie dopo il successo del mitico “Qualcuno volò sul nido del cuculo” di Milos Forman. Di quel periodo vogliamo ricordare “Family life” (1971), in cui un Ken Loach a inizio carriera ma già al suo meglio dà voce alle teorie di Ronald Laing. Altro film raro, ma da cercare assolutamente.

Family life

E a proposito di film rari, chiudiamo con una gemma: “I’m a cyborg and that’s OK” (2006), di Park Chan-wook, commovente storia d’amore tra due schizofrenici. A mio modesto parere il capolavoro del grande regista coreano, è inspiegabilmente inedito in Italia, ma come si suol dire, chi cerca trova.