Witold Gombrowicz, lo sberleffo e la saggezza


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di Alfredo Sgarlato – Molti anni fa lessi un articolo di Milan Kundera in cui indicava, tra i tre o quattro massimi scrittori del ‘900 dopo Proust, Witold Gombrowicz: non l’avevo mai sentito nominare, potevo non essere incuriosito? Non molto tempo dopo la rivista satirica Cuore pubblicò un suo esilarante racconto “Filidor foderato d’infanzia“, un duello dapprima verbale e poi alla pistola, con finale pirotecnico, tra due filosofi di concezioni opposte. Questo racconto, insieme ad un altro persino più esilarante, “Filibert foderato d’infanzia“, è una divagazione contenuta nel primo romanzo, e capolavoro, di Gombrowicz, “Ferdidurke” (parola inventata e priva di alcun senso), a quel tempo da poco ristampato e che al più presto mi procurai.

Ferdidurke, pubblicato nel 1937 e immediatamente bandito, è la storia di uno scrittore trentenne che per uno strano sortilegio è costretto ad avere di nuovo quindici anni: la sua doppia natura gli permetterà di capire quanto siano immaturi i giovani e quanto, ancora di più, gli adulti. L’immaturità umana è il tema di fondo dello scrittore polacco, dove per immaturità si intende soprattutto il prendere troppo sul serio parole e idee. Gombrowicz nacque a Małoszyce il 4 agosto 1904, da famiglia aristocratica, si laureò in legge ma quasi subito dopo scelse di dedicarsi alla letteratura. Scrisse una serie di racconti surrealisti, poi raccolti col titolo “Bacacay“. Più o meno contemporaneamente a Ferdidurke scrisse un romanzo gotico, pubblicato in diverse versioni con titoli diversi, “Schiavi delle tenebre” o “Gli indemoniati“. Passato inosservato e rinnegato dall’autore, è in realtà un romanzo piuttosto bello, molto diverso dal resto dell’opera di Gombrowicz, ma che mostra le sue qualita di scrittore tout court, non solo come surrealista o satirico.

Con l’invasione nazista della Polonia si rifugiò in Argentina, dove scrisse e ambientò un nuovo romanzo “Transatlantico” (1950). Qui è più forte il tratto autobiografico, si parla di un giovane scrittore in esilio, si fa più forte la satira contro tutte le istituzioni culturali e sociali. Anche in questo romanzo una scena esilarante: il duello verbale tra il giovane scrittore che dice idiozie per farsi notare (Gombrowicz aveva già capito tutto) e un grande vecchio che sa ogni cosa (siamo in Argentina, ovvio a chi si allude). I romanzi seguenti si fanno più esoterici. In “Pornografia” (1960) un gruppo di intellettuali nascosti in campagna per sfuggire alla guerra fantasticano e filosofeggiano spiando le schermaglie amorose di due adolescenti. In “Cosmo“(1965), bizzarro noir metafisico, uno scrittore in vacanza medita su una serie di fatti misteriosi cercando di leggerci dietro un inesistente disegno cosmico: anche in questo caso Gombrowicz è terribilmente preveggente.

Nel 1964 Gombrowicz si trasferisce in Francia dove si sposa e muore, a Vence, il 24 luglio 1969. Oltre ai romanzi citati scrisse alcune opere teatrali e un diario in più volumi. Non incontrò mai il successo, non vinse premi, e nella natìa Polonia le sue opere sono state proibite fino al 1986. Ricordo un’intervista a un professore universitario che raccontava come l’unico scrittore che non sia mai riuscito a far amare ai suoi studenti è Gombrowicz, perché è un dissacratore. Non fu fortunato nemmeno con la critica, Pasolini gli dedicò una terribile stroncatura, intitolata “La sfortuna di non aver letto nè Marx nè Freud“, in realtà gli unici due pensatori che Gombrowicz parzialmente apprezzava. Uno scrittore grandissimo e a rischio di oblio: è difficile amarlo se non si è disposti ad accettare che qualsiasi cosa in cui possiamo credere possa essere messa alla berlina: niente sfugge alla sua carica satirica, che non è mai però offensiva o volgare, contrariamente a quanto lo sono troppo spesso i credenti di ogni tipo.