Murakami, il fascino insinuante dell’essere giapponese

di Alfredo Sgarlato – Un fenomeno culturale che colpisce molto il vostro affezionatissimo cronista è il successo in Italia dello scrittore giapponese Murakami Haruki (secondo l’usanza locale prima il cognome poi il nome). Non che non sia meritato, Murakami mi piace molto, ma lo trovo veramente lontano dai gusti italiani. L’opera di Murakami, perlomeno in molti dei suoi libri più recenti, non si può catalogare in un genere, fantascienza, horror, thriller, ma è quanto di più possibile distante dal realismo, che troppo spesso è considerato la vera letteratura.


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In realtà Murakami, come tutti i maestri del fantastico, a cominciare da Kafka che omaggia fin dal titolo del suo romanzo forse più bello, parte dal realismo più accurato: a proposito dei personaggi, spesso giovani adulti single e dai lavori concettuali, descrive nei dettagli come vestono, cosa mangiano, quale automobile guidano, la casa, soprattutto quale musica ascoltano: Haruki è un vero esperto soprattutto di jazz, cui ha dedicato un bel libro illustrato dal pittore Wada Makoto, “Ritratti in jazz“, ma anche rock e classica.

Ma poi, appena la trama si approfondisce, sprofondiamo in un mondo che con la realtà non ha più nessun legame. Appaiono fantasmi, concetti astratti che si trasformano in personaggi reali, mondi paralleli. Tutto questo però non ha mai una spiegazione possibile, nè un legame con tradizioni letterarie o folkloristiche, come potrebbe accadere nel romanzo gotico: la cosiddetta sospensione dell’incredulità con Murakami deve essere portata al massimo: questi fatti accadono e basta. Va detto che non sempre i romanzi di Murakami sono a carattere fantastico; ma anche in quelli realistici, come “L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio” c’è un mistero di fondo, la sensazione che una volontà superiore (Ananke la chiamerebbero gli antichi) guidi i personaggi. Un altro elemento che potrebbe allontanare il lettore è che nei primi romanzi lo scrittore ha uno stile molto barocco, appesantito da troppe metafore. Questo carattere però col tempo si è perso e la gran parte dei libri di Murakami ha uno stile molto piano e scorrevole, anche se qualche metafora bizzarra appare ancora ogni tanto.

Nelle opere di Haruki (nato a Kyoto il 12 gennaio 1949) ci sono molti elementi ricorrenti. I personaggi hanno subito un grave lutto nell’infanzia, sono separati o non interessati a relazioni importanti, se hanno relazioni stabili sono puramente sessuali. In molti appare un buco, una fossa: elemento di pericolo, ma fonte di attrazione per il protagonista. Sarebbe facile scatenarsi in interpretazioni pseudo-psicoanalitiche, ma non dimentichiamo che l’immaginario di un giapponese è radicalmente diverso da quello occidentale. È importante il nome dei personaggi, che si perde nella traduzione italiana (anche se c’è la spiegazione), spesso antifrastico, per cui una spietata killer può chiamarsi “piselli”. In molte storie la risoluzione dell’enigma avviene in un piccolo paese, in genere in montagna e tra i boschi, o sul mare. Il mare e le case dei protagonisti hanno sempre un ruolo importante, veri e propri personaggi. Qui c’è un riscontro con la tradizione giapponese, sappiamo quanto la casa sia importante in quella cultura, e il mare è legato a molte divinità.

In breve, qual è il motivo del successo di Murakami? Forse proprio la coincidenza degli opposti, l’estremo realismo dei personaggi e la scatenata fantasia delle trame, uniti a richiami mitici e inconsci. Ogni anno i fan di Murakami rimangono delusi dalla mancata assegnazione del Premio Nobel, ma dubito sia in corsa, il successo non si perdona, specie a un artista, specie se di talento.

Citazioni:

“Ascoltami bene. Ogni oggetto è immerso in un movimento costante. La terra, il tempo, le idee, l’amore, la vita, la fede, la giustizia, il male, tutto possiede un’esistenza liquida e transeunte. Niente si ferma nello stesso posto e con la stessa forma in eterno. Lo stesso universo non è altro che una gigantesca ditta di spedizioni”.

“Ci sono tante cose di cui non hai colpa. Di cui non ho colpa neanch’io. E di cui non ha colpa nemmeno la profezia, o maledizione che sia. Non è colpa del Dna né dell’irrazionalità non è colpa dello strutturalismo né della terza rivoluzione industriale. Se tutti moriamo o ci perdiamo è perché il meccanismo del mondo si basa sull’estinzione e sulla perdita. Le esistenze di tutti noi non sono che immagini riflesse di questo principio”.

“Sono certo che questa ragazza è un fantasma. Prima di tutto è troppo bella. Non è solo per l’armonia dei suoi lineamenti. Tutto in lei è troppo perfetto per appartenere alla realtà. La purezza dei suoi tratti suscita in me un sentimento simile alla malinconia”.

(tratte da “Kafka sulla spiaggia“)