Rock e fantascienza, una storia d’amore

di Alfredo Sgarlato – Rock e fantascienza, due storie gemelle, due pilastri della cultura del ‘900, quella che nasce pop e diventa alta, e che stiamo ancora pienamente vivendo. Lo so, ne parlano tutti, è l’anniversario sia di Woodstock che dell’allunaggio (che per qualcuno non è mai avvenuto: gli ingenui che si credono più furbi, la vera peste del terzo millennio), ma non mi posso esimere dall’affrontarlo anch’io, visto che fin dall’infanzia (giuro!) sono un consumatore ossessivo di ambedue.


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Quando sia nato il rock non è chiaro: in genere la nascita ufficiale viene datata con lo pubblicazione di “Rock around the clock” di Bill Haley, o “That’s allright mama”, primo singolo di Elvis, ma come ben sapete quelli sono i primi singoli rock incisi da un “bianco”: gli afroamericani suonavano il rock già da alcuni anni, probabilmente il primo disco rock è “Rocket 88” di Ike Turner, e a meno che il titolo non nasconda un greve doppio senso, cosa abituale nei testi dell’epoca, rock e viaggi spaziali vanno già d’accordo.

Nemmeno la fantascienza ha una data di nascita precisa: c’è chi dice che è sempre esistita, sin da quando l’umanità ha cominciato a raccontare storie, c’è chi la fa nascere con Jules Verne, chi con H.G. Wells (che pubblica il primo romanzo nel 1895, quando escono gli “Studi sull’isteria” di Freud, la prima striscia a fumetti e vengono brevettati il cinema e la radio: che anno interessante!), chi nel 1926 quando l’editore Hugo Gernsback conia il termine “science fiction”.

Sia il rock che la fantascienza nascono come generi commerciali, rivolti a un pubblico adolescente. Poi il rock ha i Dylan, i Lennon/Mc Cartney, i Jagger/Richards che iniziano a sperimentare con testi e musiche, così come nella fantascienza l’editore John W. Campbell dagli anni ’40 impose agli scrittori rigore scientifico, profondità psicologica e maggiore cura stilistica: si affermano Asimov, Bradbury, Sturgeon, Heinlein e altri maestri del genere, in quella che venne chiamata “età dell’oro”, e il genere conobbe una costante crescita qualitativa, fino agli anni ’70, quando autori come Dick, Vonnegut o Ballard vennero considerati dalla critica grandi tout court e non solo nel proprio ambito.

Trattare tutti i dischi i cui testi sono ispirati dalla fantascienza prenderebbe un’enciclopedia, non un semplice articolo. Viaggiano nello spazio i Rolling Stones e i Pink Floyd in Inghilterra, i Byrds, i Jefferson Airplane/Starship e Jimi Hendrix in America (ispirati anche da sostanze proibite oltre che dalla cronaca e dalle letture). Viaggia nello spazio e non torna Major Tom, il primo dei mille alter ego di David Bowie, che si chiede se c’è vita su Marte nella canzone più bella del mondo e poi diventa l’alieno Ziggy Stardust. Forse tutti non sanno che il personaggio di Ziggy Stardust creato da David Bowie è un omaggio al mito assoluto del mondo dell’outsider music, The Legendary Stardust Cowboy (Norman Carl Odam, n.1947), The Ledge per i fans. Ragazzo semi-ritardato, impara a parlare a sei anni. Ha una grande passione per i viaggi spaziali. Da adolescente decide che l’unico modo che ha per trovare una ragazza è diventare una rockstar. Chiede di potersi esibire in un locale e qui una parte del pubblico inizia subito a deriderlo, l’altra a difenderlo. La voce di un musicista pazzo che si esibisce in giro si sparge e fa molte serate, sempre con l’esito della prima. Il grande bluesman T-Bone Burnett si offre per produrgli un disco, ma viene pubblicato solo un 45 giri, gli altri nastri sono perduti o distrutti. Norman lascia la musica, fa mille mestieri, viene anche arrestato per vagabondaggio, poi negli anni ’80 il mondo del punk e del rock alternativo lo riscopre, e incide alcuni dischi molto più riusciti. Bowie riconoscerà dopo molti anni la sua fonte, ma Norman confessò che avrebbe preferito un assegno. Da notare che il figlio di Bowie, Duncan Jones, è valido regista di film fantascientifici.

Con gli anni ’70 il fantarock esplode, abbiamo la saga del Pianeta Gong narrataci dal geniale David Allen, lo space rock degli Hawkwind, con cui collabora lo scrittore Michael Moorcock, il “Rocket man” di Elton John ispirato da un racconto di Bradbury, gli americani Blue Öyster Cult, un po’ tutto il rock francese e tedesco, dai Magma, che cantavano in kobayano, una lingua extraterrestre (ovviamente inventata), ai Daft Punk ai Kraftwerk. Molte influenze fantascientifiche anche nel prog italiano, vedi Battiato, Area (il concept album distopico “Maledetti”), Il Balletto di Bronzo o l’incredibile “Concerto delle menti” dei Pholas Dactylus, in cui su un gradevole sottofondo jazz rock il cantante narra le visioni ispirate dal contatto con gli alieni (o, più probabilmente, dall’abuso di funghi magici). Negli anni ’80 invece dei viaggi spaziali sono le distopie apocalittiche o il rapporto tra uomo e macchina a influenzare i musicisti, ma dai Joy Division a Gary Numan la narrativa d’anticipazione è fonte di ispirazione costante. Interessante come sia rock che fantascienza abbiano un filone definito New Wave che non è solo una nuova generazione di artisti ma presenta una profonda rilettura critica delle generazioni precedenti, come fu la Nouvelle Vague nel cinema.

Precorritrice di tutti i fanta rocker è una graziosa signorina, Lucia Pamela (1904-2002). Fin da bambina mostra un notevole talento per la musica, fa studi classici ma si dà al jazz e nel 1926 viene eletta Miss Saint Louis. Per una ventina d’anni fa una buona carriera, seppur a livello locale, come musicista, attrice di musical e presentatrice radio, per poi ritirarsi e dedicarsi alla famiglia. Poi, negli anni ’60, pubblica un disco, in cui si racconta di un viaggio sulla luna. I problemi sono due: primo, il disco è orrendo, secondo, lei afferma di averlo veramente inciso sulla luna. A chi le fa notare che il disco è pieno di stonature risponde che non è stonato, è suonato secondo le tonalità lunari, diverse da quelle terrestri. A chi le fa notare che è inciso malissimo risponde che ciò è dovuto alla diversa atmosfera lunare, e che sulla luna suona benissimo. Il disco vende tutte le copie, ma i maligni sostengono che le abbia comprate tutte Lucia e regalate ai passanti. Pamela passerà una serena vecchiaia in un ospizio, assistita dai figli avuti in più matrimoni, e fino all’ultimo sosterrà di essere stata sulla luna e avere inciso un disco lassù.

Molti scrittori di fantascienza sono rockettari dichiarati, come gli inglesi Michael Moorcock già citato e Christopher Priest (“The Prestige”), o il texano John Shirley (ma il titolo italiano del suo capolavoro “Il rock della città vivente” è un po’ fuorviante) ma non sono moltissime le opere in cui il rock è protagonista. Ricordo un racconto, non eccezionale, di Moorcok, “Un cantante morto” in cui Hendrix risorge. Più interessante “Gianni”, di Robert Silverberg, in cui Giovan Battista Pergolesi viene salvato dalla morte precoce e portato nel 2008, dove trova incomprensibile tutta la musica composta dopo Mozart, ma si innamora di una specie di rock psichedelico di moda all’epoca (il racconto è del 1984). In “Visioni rock” di Lewis Shiner un tecnico riparatore di giradischi va nel passato e cerca di riscrivere la storia del rock, salvando i suoi miti dalla morte o dalla follia. Lewis e Shirley peraltro sono esponenti di una corrente chiamata cyberpunk, altro legame tra estetica del rock e della fantascienza, due mondi che si sono continuamente attratti e amati.

P.S. Va detto che mentre gli americani che sono molto ossessivi in questo definiscono fantascienza solo la letteratura di anticipazione con sensate basi scientifiche, chiamando “weird fantasy” le storie tipo “Ai confini della realtà”, noi italiani siamo molti meno rigidi nel definire cos’è la fantascienza, e chiamiamo fantasy solo il genere alla Tolkien. Allo stesso modo è impossibile definire il rock: dovrebbe essere la musica pop basata sulle chitarre elettriche, ma alla fine chiamiamo rock tutto quello che non è classica o jazz (forse) e infatti molti dei candidati al titolo di più bel disco nella storia del rock (“Hot Rats”, “Astral weeks”, “Starsailor”, “Rock bottom”…) sono lontanissimi dallo stereotipo del genere.