Gli Immortacci. Il culto dei morti illustri nell’era dei social network

di Alfredo Sgarlato – “Li immortacci” è una canzone di Elio e le storie tese che sbeffeggia le teorie cospirazioniste per cui vari cantanti morti sono in realtà vivi: è un argomento molto divertente, ma non è di questo che parleremo. Quello che mi colpisce e di cui vorrei parlare è il culto delle celebrità morte che vediamo continuamente sui social network. L’antologia di Spoon River sembra essere il testo di riferimento: ogni giorno un necrologio, un ricordo, un anniversario, un epitaffio. Impera il “quanto ci mancate”, come se la morte non fosse un evento ineluttabile, quando non il frutto di uno stile di vita autodistruttivo, ma un brutto scherzo del destino.

Colpisce l’esplosione di cordoglio che esplode ad ogni dipartita illustre, a cui puntualmente segue il commento dell’intelligentone che scrive: “oggi tutti fan di… e fino a ieri non sapevate neanche che esistesse” (ovviamente lui sa cosa ha fatto ciascuno di noi in ogni momento della vita) e del superalternativo che “si, ma vuoi mettere xy…”. Certo mi ha fatto piacere non leggere commenti del genere alla morte di David Bowie, o quanto sia amato in rete Mark Hollis, veramente un genio incompreso checché ne abbia scritto qualche opinionista sprovveduto. Fioccano gli omaggi ad artisti del passato, anche da parte di chi, se esprimi idee simili a quelle di un grande cantautore morto, ti chiama zekka rossa e ti augura che ti stuprino una figlia.

Mark Hollis

Come già scrivevo, la nostaglia fa vendere e scalda i cuori. Certo, la crisi creativa esiste, Calcutta non è Tenco e Paolo Giordano non è Pasolini, però un Flavio Giurato, un Valerio Evangelisti, esistono e meritano attenzione, fermo restando che qualsiasi linguaggio artistico prima o poi diventa maniera, mainstream o nicchia astrusa. Una totale svalutazione del presente, aggiunta ad un’acritica e superficiale esaltazione del passato, non fa bene allo sviluppo di una coscienza critica.

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Infatti, contrariamente a quanto auspicava Totò, la morte non è “’a Livella” che rende tutti uguali, ma spesso è il pretesto per la sopravvalutazione di autori mediocri, vedi Vanzina, responsabile di alcune delle peggiori boiate nella storia del cinema (e pensare che l’uomo era un cinefilo colto e raffinato), o Zeffirelli, regista pessimo che doveva il suo successo solo al dichiararsi anticomunista e antijuventino: legittimo, per carità, ma un uomo che doveva tutto al comunista Visconti non dovrebbe sputare nel piatto dove mangia caviale.

Sapore di mare

La morte, come la malattia,la vecchiaia, la bruttezza, sembra essere taboo ai giorni nostri, e il morire fa assumere il famoso di turno all’Olimpo degli dei, come se il morire, se sei famoso, desse il diritto all’immortalità. E condividendo la notizia ci si sente parte del tutto, co-protagonisti dell’evento (parentesi: oggi non parliamo più italiano ma inglese mal tradotto. L’inglese “event” ha un significato molto più ampio del nostro “evento”, che può riferirsi alla Rivoluzione Francese, allo sbarco sulla luna, non a un concerto in un bar sotto casa, che magari è stato bellissimo, ma dovremmo ri-imparare a chiamare in un altro modo). Se poi siete amanti di misteri e complotti c’è un blog che vi spiega come tutti i morti famosi sono stati assassinati e perché, cercatelo è uno spasso.

P.S. Mentre scrivevo queste righe apprendevo della morte di Camilleri e De Crescenzo, due scrittori intelligenti, serafici, arguti, spesso esilaranti. Il web si è riempito dei molti doverosi omaggi di chi ha passato qualche ora lieta grazie a loro, e degli insulti di qualche idiota che quando il dito indica la luna si guarda allo specchio.