La riscoperta del fantastico italiano

di Alfredo Sgarlato – Nel corso degli ultimi due secoli si è fatto coincidere il canone letterario – e non solo letterario – italiano col più stretto realismo. Strano per un paese il cui Padre fondatore letterario è un uomo che ci raccontò di quando, smarritosi in una selva oscura, visitò inferno e paradiso incontrando anime morte, imperatori e semidei; senza contare Ariosto, che fa andare il suo eroe sulla Luna, o “Lu cunto de li cunti” di Gian Battista Basile; e nemmeno il malinconico di Recanati, che fa parlare un islandese direttamente con la Natura nelle sue “Operette morali”, ci appare così realista.

Eppure dall’800 in poi è il realismo a soggiogare la critica, forse succube di Manzoni che liquidava il romanzo gotico come “non so qual guazzabuglio di streghe, di spettri, un disordine sistematico, una ricerca stravagante, un’abiura in termini del senso comune”. Certamente furono complici le ideologie, dal cattolicesimo (pensiamo all’etichetta “inaccettabile, farneticante” con cui il Centro Cattolico del Cinema liquidava i film horror e fantascientifici), al fascismo (“certe cose qui da noi non succedono”) o al realismo socialista (che dovette inventare l’astrusa formula realismo magico per magnificare i grandi scrittori sudamericani, comunisti dichiarati). Ma ciò non impedì a un manipolo di temerari di cimentarsi col fantastico. Cominciarono gli Scapigliati, i primi punk, per cui strano, pauroso, folle, erano sinonimi di bello.

Col ‘900 il fantastico, cacciato fuori dalla porta, rientra dalla finestra. L’antirealismo delle trame fece bollare molti scrittori come “minori”: ma come scrisse Deleuze i minori sono i veri grandi, poiché sfuggono ad ogni canone, infatti per il filosofo francese Kafka era il minore per eccellenza. Forse l’unico a sfuggire all’etichetta di minore fu Buzzati, di cui, confesso, la lettura di “La boutique del mistero”, fresco della scoperta di Cortazar, non mi appassionò affatto. Molto diverso fu l’impatto su di me di Tommaso Landolfi, lui sì scoperta appassionante. Libri come “Tre racconti”, o “Racconto d’autunno” non dovrebbero mancare in nessuna biblioteca. Caratteristica di Landolfi come di Palazzeschi, Papini, Savinio, D’Arzo, è l’inserimento in un contesto prettamente realistico, strapaesano persino, dell’elemento imprevedibile, “weird” lo chiamano in America, o perturbante, per citare il capolavoro di Freud, come avviene mirabilmente in “La pietra lunare” o in “Le due Zittelle”.

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Il lettore di oggi può essere frenato dal linguaggio di questi autori, i quali, benché abbastanza vicini a noi nel tempo, presentano spesso una prosa piuttosto antiquata, forse anche volutamente: erano personaggi stravaganti, appartati, fuori da ogni moda. Può apparire datato se riletto oggi “L’iguana”, di Anna Maria Ortese, caposaldo del fantastico italiano, testo coraggiosissimo se si pensa che uscì nel 1963, quando il neorealismo imperava. Non di meno gli scrittori fantastici non fanno breccia nel cuore di lettori ed editori (vedi Morselli, pubblicato totalmente postumo, e per motivi letterari e non politici come spesso si legge: torneremo su questo argomento), molti sono amati dai nuovi scrittori, vedi Tondelli che con “Altri libertini” omaggia dichiaratamente “Casa d’altri” di D’Arzo, ma pochi ne seguono le gesta, vedi Benni sottovalutato come scrittore satirico o poco più, o Evangelisti confinato su “Urania”, a dispetto di chi come Fofi li vede come non di molto inferiori a Dick o Ballard.

Per fortuna i tempi cambiano, e quando la letteratura sembra essere dominata dall’autofiction alla Carrere (che pure aveva iniziato col fantastico e una biografia di Dick) la letteratura “weird”, magari grazie ai gusti modificati da valide serie tv ritorna anche da noi, con autori come Tuena, Meacci, Mari, Vasta e altri (che, confesso, devo ancora leggere) tradendo il dogma del realismo, e molti critici ragionano su un “canone strano” che riscrive la storia della letteratura italiana, che, a differenza di tanti altri campi, mostra segnali di vita.

P.S. E Calvino? Si chiederanno i lettori: ma lui è troppo unico, anche per rientrare nel canone strano.