Antonia Pozzi, una voce ritrovata della poesia del Novecento

Venerdì 6 aprile, alle 16,30, presso la sede della Società Dante Alighieri di Savona di via Quarda Superiore, si svolgerà un’iniziativa intitolata “Antonia Pozzi. Una voce ritrovata della poesia del Novecento”.


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L’ingresso è libero. Si tratta di una conversazione con letture di Ferdinando Molteni e visione del docu-film “Poesia che mi guardi” di Marina Spada.

Spiega Molteni: “Tempo fa mi sono innamorato di una meravigliosa poetessa. Si chiama Antonia Pozzi e ha scritto alcune delle cose più belle che io abbia mai letto. Era nata a Milano nel 1912. Scrisse decine di poesie bellissime, senza mai pubblicarle in vita. S’innamorò del suo professore di liceo, prima corrisposta poi respinta. Morì suicida a ventisei anni. Ci resta, di lei, una raccolta di poesie straordinariamente bella, s’intitola “Parole” ed uscì, nella sua forma definitiva, solo nel 1989”.

Per conoscere la poetessa, online si può consultare un ricco e accurato sito tematico dedicato interamente ad Antonia Pozzi. Nella Biblioteca “Liber Liber” è anche possibile trovare in edizione digitale gratuita una versione della sua raccolta “Parole”, dalla quale provengono le 3 poesie che qui proponiamo ai lettori. 

Un’altra sosta

a L.B.

Appoggiami la testa sulla spalla:
ch’io ti carezzi con un gesto lento,
come se la mia mano accompagnasse
una lunga, invisibile gugliata.
Non sul tuo capo solo: su ogni fronte
che dolga di tormento e di stanchezza
scendono queste mie carezze cieche,
come foglie ingiallite d’autunno
in una pozza che riflette il cielo.

Milano, 23 aprile 1929

Sventatezza

Ricordo un pomeriggio di settembre,
sul Montello. Io, ancora una bambina,
col trecciolino smilzo ed un prurito
di pazze corse su per le ginocchia.
Mio padre, rannicchiato dentro un andito
scavato in un rialzo del terreno,
mi additava attraverso una fessura
il Piave e le colline; mi parlava
della guerra, di sé, dei suoi soldati.
Nell’ombra, l’erba gelida e affilata
mi sfiorava i polpacci: sotto terra,
le radici succhiavan forse ancora
qualche goccia di sangue. Ma io ardevo
dal desiderio di scattare fuori,
nell’invadente sole, per raccogliere
un pugnetto di more da una siepe.

Milano, 22 maggio 1929

La campana sommersa

Per i miei occhi malati,
una trasparenza di falso cielo,
dentellata di falsi pini.
Da una tempia all’altra,
sospeso a una tensione acuta di violini,
un dondolio d’intensità diverse,
rotto da scrosci fondi.
Nell’anima,
nessun motivo costringente:
poche note sgranate e increspate
liberamente.

Milano, 26 aprile 1929