Ambiente, 50% dei sacchetti illegale: ministro Galletti “sugli shopper difendiamo chi rispetta la legge”; Ferrante (Kyoto Club) “Ci appelliamo alle Forze dell’ordine”

Gianluca GallettiRoma. “Sulle shopper l’Italia ha avuto sempre una posizione d’avanguardia in Ue, orientata al massimo grado di tutela ambientale contro ogni violazione e contraffazione pericolosa per l’ambiente e per l’economia”. Lo afferma il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti, in occasione della conferenza stampa congiunta con la Guardia di Finanza su tutela ambiente e legalità.  “L’Europa, a fronte delle rassicurazioni giunte dal governo sul recepimento della nuova direttiva comunitaria, ci ha comunicato negli scorsi giorni di voler archiviare la procedura d’infrazione nei nostri confronti: è una bella notizia – prosegue Galletti – che ci deve dare un’ulteriore spinta nella guerra alle ‘shopper tarocche’ e alle contraffazioni che nascondono spesso traffici illeciti legati ad interessi criminali”.  Le istituzioni italiane, conclude Galletti, “sono schierate a difesa di quella filiera sana della circular economy che rispetta la legge e sceglie l’ambiente come valore di sviluppo”.


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Grazie alla legge del 2012 abbiamo ”ridotto del 50% l’utilizzo dei sacchetti di plastica non biodegradabili e compostabili, favorito una conversione della chimica verso la chimica verde e comportato un cambiamento degli stili di vita”. Lo afferma all’Adnkronos, Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto Club, che da senatore avviò nel 2007 l’iter per la messa al bando dei sacchetti in polietilene.   L’emendamento, spiega Ferrante aveva ”tre obiettivi. Il primo era di tipo ambientale, riducendo la quantità di plastica. Il secondo era incidere sugli stili di vita, invitando all’utilizzo della sporta riutilizzabile e il terzo obiettivo era favorire una conversione verso la chimica verde che non utilizza le fonti fossili”.

Si tratta di obiettivi che ”oggi, dopo 8 anni e diverse difficoltà per fare entrare in vigore la legge, possiamo dire di avere raggiunto”.   In tutto questo, conclude Ferrante, ”per completare il passaggio dobbiamo fare una cosa molto semplice: far rispettare la legge perché ancora oggi il 50% dei sacchetti in circolazione è illegale proveniente da lavorazioni in nero, probabilmente importati da paesi esteri in maniera truffaldina. Adesso, dunque, quello che stiamo cercando di fare è di lanciare un appello alle forze dell’ordine per stroncare questo mercato nero alternativo che inficia tutti i risultati positivi che abbiamo raggiunto’‘.

Cosa dice la Legge

Quali caratteristiche deve avere un sacchetto conforme alla legge? Legambiente fa il punto: i sacchetti monouso biodegradabili e compostabili conformi alla legge, che possono essere tranquillamente utilizzati anche per la raccolta differenziata della frazione organica dei rifiuti, devono avere la scritta ‘biodegradabile e compostabile’; la citazione dello standard europeo ‘UNI EN 13432:2002’; il marchio di un ente certificatore che tutela il consumatore come soggetto terzo (Cic, Vincotte e Din Certco sono i più diffusi). Tutti i sacchetti che non riportano queste specifiche danno un’informazione sbagliata e non sono conformi alla legge, spiega l’associazione.   La messa la bando della commercializzazione dei sacchetti non biodegradabili e non compostabili – ricorda Legambiente – venne approvata nel dicembre del 2006 a seguito di un emendamento dell’allora senatore Francesco Ferrante alla legge finanziaria 2007 (n. 296/2006). Alla legge finanziaria 2007 sono seguite diverse norme, la principale delle quali (decreto legge n. 2 del 25 gennaio 2012, convertito nella legge n. 28 del 24 marzo 2012) ha ulteriormente definito i dettagli del bando. La proposta di direttiva europea definita nella primavera del 2014 ha fatto proprio l’impianto della normativa italiana.   Per chi commercializza sacchetti non conformi o false ‘buste-bio’, dal 21 agosto del 2014, le sanzioni amministrative pecuniarie vanno dai 2.500 euro ai 25.000 euro. Cifra che può essere aumentata fino al quadruplo del massimo (quindi 100.000 euro), se la violazione del divieto riguarda quantità ingenti di sacchi per l’asporto oppure un valore della merce superiore al 20% del fatturato del trasgressore (art. 4, legge 28/2012).  La legge italiana vieta i sacchetti di plastica usa e getta. Ma a distanza di quattro anni dalla messa al bando, in alcune parti d’Italia il 60% degli shopper non è conforme alla legge. A fare il punto della situazione è Massimo Centemero, direttore del Cic, Consorzio italiano compostatori che all’Adnkronos spiega che il dato più allarmante si registra nel centro sud. Nel nord Italia, infatti, spiega Centemero, ”la situazione è migliore perché lo shopper ha origine dalla grande distribuzione che fa molto riferimento a shopper bio per l’asporto merci. Nel centro sud Italia, invece, c’è una minor presenza della grande distribuzione e lì il dato è molto allarmante”. Secondo il direttore del Cic, ”il sacchetto biodegradabile e compostabile falso è un danno enorme per raccolta differenziata dell’organico, e ancora di più per il cittadino che vede vanificato il suo sforzo”. Ma è anche ”un danno per gli impianti di compostaggio perché li devono smaltire, con maggior dispendio di energie e costi”.    Dei sacchetti falsi ”ce ne accorgiamo quando il rifiuto entra nell’impianto, facendo le nostre indagini merceologiche che sono molto accurate. Quello dei sacchetti falsi è un vero e proprio mercato parallelo”. Per Centemero ”è necessario puntare su una cultura del riciclo, in modo che anche i piccoli commercianti, quelli da cui è facile trovare sacchetti falsi, riconoscano uno shopper biodegradabile e compostabile da uno che non lo è”.

Un sacchetto di plastica può impiegare fino a 1000 anni per dissolversi nell’ambiente. A segnalarlo è Legambiente che ha individuato le 8 principali criticità che hanno portato nel 2012 alla messa al bando degli shopper in plastica usa e getta.

1. Eccessivo consumo e produzione: solo tra Europa ed Usa vengono consumati circa 100 miliardi di sacchetti all’anno; per produrre queste quantità vengono utilizzate 910mila tonnellate di petrolio.

2. Difficile smaltimento: solo l’1% dei sacchetti di tutto il mondo viene riciclato perché il riciclo ha costi 4mila volte superiori alla produzione.

4. Non biodegradabilità e fotodegradabilità: i raggi Uv ed il calore, degradano i sacchetti in frammenti minuscoli che possono entrare nella catena alimentare.

5. Aerodinamicità: con anche poco vento, hanno la capacità di essere trasportati e venir dispersi in tutti gli ambienti.

6. Danni della fauna: molti animali muoiono per strangolamento, soffocamento o per blocchi intestinali, causati dall’entrata in contatto con sacchetti di plastica.AMBIENTE: SHOPPER

7. Tossicità e bioaccumulo: spesso vengono utilizzati coloranti cancerogeni ed additivi metallici che entrano poi in contatto con l’ambiente con gli esseri umani. Inoltre le microparticelle plastiche negli ambienti acquatici tendono ad accumularsi e ad attrarre sostanze tossiche.

8. Danni alle attività umane: i costi per rimuovere da reti da pesca e terreni agricoli è molto superiore a quello necessario per far uscire di produzione i sacchetti. I danni al paesaggio, inoltre, danneggiano anche il settore turistico.

Oltre 80 tonnellate di shopper non a norma, pronti per essere immesse sul mercato, per un valore superiore ai 500.000 euro sono state sequestrate dai carabinieri del Noe di Torino, il Nucleo Operativo Ecologico che nel corso degli ultimi tre mesi ha condotto una mirata serie di controlli presso produttori e grossisti operanti nel settore degli imballaggi, al fine di verificare il rispetto della normativa che vieta e sanziona la commercializzazione dei sacchetti della spesa non ecocompatibili.  Gli shoppers, ormai virtualmente scomparsi dalla grande distribuzione, sono ancora oggi, ad oltre 4 anni dall’emanazione del divieto, molto diffusi nei mercati comunali e rionali e nella piccola distribuzione, in forza dei costi di acquisto estremamente convenienti rispetto al medesimo prodotto realizzato in materiale biodegradabile di origine vegetale.

I controlli dei carabinieri, al termine dei quali sono state elevate sanzioni amministrative per oltre 95 mila euro, hanno riguardato sia le aziende produttrici dei sacchetti, localizzate soprattutto in provincia di Savona e nella cintura torinese, sia quelle dedite alla distribuzione all’ingrosso del  prodotto nel territorio piemontese. 

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