Albenga, allo Spazio Bruno l’Amleto pop di Gabriele Paolocà

di Alfredo Sgarlato – Lo Spazio Bruno, ovvero l’aula magna del Liceo di Albenga, è gremita di pubblico, anche molti ragazzi, per “Amleto FX” di e con Gabriele Paolocà, seconda puntata di un dittico dedicato alla rilettura di Shakespeare. Anche stavolta un solo attore in scena, su un palco che mostra solo un tavolo, un cappio e, sullo sfondo, uno schizzo della celeberrima stanza di Van Gogh.

Il testo originale è quasi totalmente assente, eppure la vicenda è fedelissima. Tutto è portato al giorno d’oggi: Amleto chatta con Ofelia, che non capisce e risponde con simboletti e frasi fatte, lui cita stralci di poesie, canta canzoni, suona la “air guitar”. La morte del padre è filtrata attraverso Pascoli, in uno di quei cortocircuiti tra kitsch e sublime che ci ha insegnato meravigliosamente Paolo Poli (per sempre nei nostri cuori), il monologo diventa una raffica di citazioni da film famosi, sulle note della “Cavalleria rusticana”, mentre il teschio occhieggia dallo schermo di un portatile.

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Lo spettacolo a tratti è esilarante, soprattutto quando gli straniamenti postmoderni funzionano, in altri passaggi l’ho trovato meno convincente, vedi Rosenkranz e Guildestern romaneschi, un po’ ripetitivi. Ma ripensandoci mi colpiscono tutti i riferimenti alla fx x morte e al suicidio presenti: Paolocà canta Tenco, Amy Winehouse, i Nirvana, porta una maglietta dei Joy Division (il gruppo dark per eccellenza, segnato dal suicidio del cantante Ian Curtis) e così via; non si pensi però a qualcosa di lugubre, anzi risate e applausi risuonavano continuamente. Molto si insiste nel rapporto tra Amleto e il padre, a scapito di altri elementi della tragedia, che infatti in originale dura circa cinque ore, contro gli agili cinquanta minuti della versione “FX”.

Gabriele Paolocà, già collaboratore di Michele Sinisi, visto qualche girono fa come Riccardo III, e di “Le belle bandiere”, anche loro ben noti al pubblico delle rassegne di Kornoteatro, è davvero bravo nel dare un’interpretazione molto fisica, nel cambiare le voci a seconda dei personaggi, tenendo la scena da solo con grande ritmo.

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Sorprende sempre come Shakespeare non smetta mai di parlarci, diventi ogni giorno più attuale, ogni sua rilettura, per quanto stravolta e straniata, gli rimane fedele. Una volta ho letto un articolo di un critico che affermava che il bardo di Stratford on Avon non è il più grande scrittore di tutti i tempi. Ho riso, poi ho pensato che dopo aver sentito questa le avevo sentite tutte.