Riconoscimento a Svetlana Alexievich. Premi Nobel, molta politica e poca letteratura?

Il Premio Nobel per la Letteratura 2015 è andato oggi Svetlanaall’intellettuale, scrittrice e giornalista bielorussa Svetlana Alexievich (esule nata in Ucraina nel 1948), voce critica dell’Est Europa e dei regimi autoritari. Per i suoi scritti – spesso di denuncia, tra il reportage e la narrativa – e il suo impegno civile ha già ricevuto molti riconoscimenti internazionali e i suoi principali libri “post sovietici” sono stati pubblicati anche in Italia, da edizioni e/o (nei primi anni 2000 “Preghiera per Černobyl”, “Ragazzi di zinco”, “Incantati dalla morte”) e oggi da Bompiani, l’ultimo – uscito originariamente in russo nel 2013 – proprio l’anno scorso: Tempo di seconda mano. La vita in Russia dopo il crollo del comunismo, tradotto e curato da Nadia Cicognini e Sergio Rapetti, Milano, Bompiani (Collana Overlook), 2014. Scelta per meriti letterari o più per ragioni politiche, a scapito di scrittori più meritevoli? La querelle, si sa, ciclicamente sul Nobel si ripete. E su questo, riproponiamo qui ai lettori del Corsara un articolo pubblicato qualche anno fa nella rubrica “il trend dei desideri”. Buona lettura. (fp)


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«Premi Nobel… Qualcuno li ha mai letti?», di Alfredo Sgarlato – “Corpi accasciati sonnecchiano nei vagoni della metropolitana, le catacombe che corrono. So anche, senza statistica, che proprio ora si suona Schubert in qualche stanza lontana e per qualcuno quelle note sono più reali di tutto il resto”.

Queste parole sono di Tomas Tranströmer (Stoccolma, 15 aprile 1931), premio Nobel per la letteratura 2011. Qualcuno lo aveva mai sentito nominare? In Italia sono stati pubblicati quattro suoi libri. Il premio Nobel raramente va a un poeta, tra gli ultimi c’erano stati nel 1987 e nel 1996 Josip Brodskij e Wislawa Szymborska. Qualcuno li ha mai letti? Io dopo aver scoperto la loro esistenza grazie al Nobel sono andato a leggermeli e ho trovato le loro poesie splendide, e ve lo dice uno che conta sulle dita i poeti che ama davvero: Leopardi, il mio alter ego; il genio assoluto Baudelaire; i visionari Rimbaud ed Eliot (ma non i “Quattro Quartetti”).

La prima critica che viene posta alla giuria di Stoccolma è quella di premiare perfetti sconosciuti. Se fosse così, cosa c’è di male? Se non avessero vinto il Nobel non avrei mai letto Brodskij e la Szimborska e forse non sarebbero mai esplosi Garcia Marquez e la letteratura latinoamericana in genere. Funzione di premi e festival è anche scoprire i talenti o valorizzare quegli autori che non sono ancora usciti da un ristretto giro di iniziati.

Inoltre, non accusatemi di snobismo, ma qualità e grande successo raramente vanno d’accordo; o forse pensate che “Il codice Da Vinci”, divertente thriller, sia il più grande romanzo mai scritto? Certo, è vero che a leggere l’elenco dei premi Nobel si trovano tantissimi nomi che non hanno retto al tempo, mentre ne mancano tanti immortali. Ma la giuria è umana e può sbagliare e spesso i vincitori sono frutto di strane alchimie. Per esempio il Nobel 2008 Jean Marie Le Clezio mi è sembrato un premio di riparazione per aver trascurato i suoi compagni di strada, ben più grandi, Marguerite Duras e Alain Robbe-Grillet.

La seconda critica è quella di essere un premio politicizzato. Anche qui nessun problema: lo è dichiaratamente, basta pensare alle motivazioni che hanno portato alla sua nascita. Se non fosse un premio dichiaratamente anche politico non ci sarebbero stati l’ostracismo verso Borges, gigante della letteratura ma amico di infami dittatori, o il premio a Solzenicyn, massimo rispetto per l’uomo, ma scrittore di valore assolutamente inferiore, per restare tra i russi perseguitati, a Israil Metter, Vassilij Grossman, Shalamov, Venedikt Erofeev, tutti personaggi rivalutati solo dopo la morte. Quindi va bene anche il premio politico, basta che sia palese e non sottobanco come lo Strega.