di Alfredo Sgarlato – Ci sono attori di cui si dice che sono nati per interpretare come minimo i re. Orson Welles era uno di questi, e sebbene si considerasse soprattutto attore fu anche regista sommo. Nato a Kenosha, Wisconsin, il 6 maggio 1915, era un bambino prodigio e poteva avere qualsiasi strada davanti a sé, ma il primo, vero, amore fu il teatro. Organizzò una compagnia col compagno di scuola Joseph Cotten, un altro che farà strada, e mise in scena molti lavori, soprattutto Shakespeare, in seguito anche Cechov, Ibsen, Wilde, Ionesco. Il 30 ottobre 1938 si rende protagonista di uno scherzo memorabile: interpreta alla radio “La guerra dei mondi” di H.G. Wells, fingendo sia un notiziario, e getta l’America nel panico. Le porte di Hollywood si spalancano, e a soli 23 anni ottiene un contratto senza precedenti per compenso e libertà produttiva.
Non andrà così. Il primo film “Citizen Kane” (“Quarto potere”, 1941), ha problemi con la censura, non incassa abbastanza, la critica americana lo stronca, mentre quella europea lo esalta come capolavoro, fino ad eleggerlo film più bello mai fatto (recentemente però è stato scalzato sul trono da “Vertigo”, di Hitchcok). Poco tempo fa l’ho rivisto per la quinta volta e ancora mi ha sbalordito: il ritmo, la novità dello stile, l’arditezza dei movimenti di macchina, la bellezza della musica (del grandissimo Bernard Herrmann, al primo lavoro per il cinema). Welles, contro i produttori e il pubblico pecorone che vogliono il realismo, impone lo stile del regista/autore, con l’uso del grandangolo e di tecniche di ripresa mai usate prima. In seguito Welles spiegherà che semplicemente voleva esplorare strade diverse rispetto agli altri. Il secondo film di Welles, “The magnificent Amberson” (“I magnifici Amberson”, 1942) è un nuovo flop, è considerato troppo “dark” per un paese in guerra, esce massacrato dai tagli e con un finale diverso.
Da allora la storia di Welles è piena di film non finiti (“Don Qiuxote” “The deep”), perduti (“The merchant of Venice”, “The other side of the wind”, il suo “8 e 1/2”, bloccato in Iran per motivi legali), girati in tre o quattro versioni diverse (“Othello”, “Mr Arkadin/Rapporto confidenziale”, “Histoire immortelle”). Gira in condizioni produttive assurde, e questo non fa che risvegliarne il genio: non ci sono i soldi per i costumi? La scena clou si svolge in un bagno turco. Non c’è la scenografia ideale? Niente campi lunghi. Per finanziarsi come regista Welles interpreta moltissimi film, spesso non memorabili se non per la sua interpretazione. In Italia lavora anche con Totò in “L’uomo, la bestia, la virtù” di Steno e nel capolavoro “La ricotta” di Pasolini. È anche un bravissimo venditore di sé stesso, vedi il taglio pubblico dei capelli di Rita Hayworth, la seconda delle sue molte mogli, per lanciare “The lady from Shangai”, altro capolavoro che portò più gossip che incassi. Odia il suo naso e non gira se non ha con sè la sua collezione di nasi finti (quello vero si vede solo ne “Il terzo uomo“)
Nel 1958 Hollywood, grazie all’amico Charlton Heston, gli dà un’altra chance. Prende un romanzetto a caso, lo riscrive totalmente e gira un altro capolavoro assoluto “The touch of evil”(“L’infernale Quinlan”), a mio modesto parere ancora più bello e perfetto di “Quarto potere”. Di nuovo un massacro da parte dei produttori, la versione italiana è ancora peggio per via della forte censura sui dialoghi, per fortuna una decina di anni fa è stato ritrovato e ridistribuito in una forma più vicina all’originale, e così leggo che avverrà per altri film.
Welles i film amava farli e non vederli. Stimava pochissimi colleghi: Griffith, Ford, Chaplin, Renoir, De Sica, in parte Fellini, l’unico “bigger than life” quanto lui. Pensava che Hollywood avesse trattato Buster Keaton o Eric Von Stroheim molto peggio di lui. Morì di infarto il 10 ottobre 1985. I suoi collaboratori lo descrivono come un uomo alto quasi due metri e pesante 240 kg. Non è vero, ma un tale gigante dello stile e del pensiero appariva tale anche nella vita.