Andora, inaugurata la mostra Warhol | Schifano allo specchio, con la presentazione di Philippe Daverio

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di Alfredo Sgarlato – Ad Andora, nella bella sede di Palazzo Tagliaferro è stata inaugurata la mostra “Warhol | Schifano allo specchio – Icone solitarie | Spettacoli di massa”, a cura di Viana Conti, con la presenza del noto critico Philippe Daverio. Dopo l’intervento delle autorità, Daverio ha spiegato da par suo cos’è la Pop Art, ovvero il movimento in cui Warhol e Schifano possono essere incasellati. La Pop Art, dice il critico, nasce in Inghilterra nel dopoguerra, ma in realtà il primo artista pop è Giotto, che sa raccontare il proprio tempo alle masse. Al contrario, la Venere del Botticelli, che oggi è un icona pop, ai suoi tempi era comprensibile solo agli acculturati. La Pop Art sarebbe passata inosservata se non fosse arrivata in America, e proprio quando, col centro-sinistra in Italia, De Gaulle in Francia e i primi scioperi in Germania, l’egemonia culturale degli U.S.A. era in discussione. Con la Pop Art, che esplode alla Biennale di Venezia del 1964, gli americani riprendono il mondo in pugno, cosa che nessun altro ha più saputo fare, nemmeno i cinesi.

Ma Warhol era davvero un grande? Daverio invita a guardarlo con l’occhio non giudicante dell’antropologo. Se guardiamo insieme alcune tra le opere principali di Warhol capiamo l’America del secondo ‘900, e sarà così anche tra cento o mille anni, mentre chi era Nixon non se lo ricorderà più nessuno (tenetelo bene in mente politici e loro corifei! N. d. A.). Chi sa usare le immagini vince, dall’imperatore Costantino in poi. In questo senso Warhol era un grande, spiega Daverio, che l’ha conosciuto e lo descrive come una vecchia zia capricciosa. Da altri punti di vista da cui si può giudicare l’opera d’arte, come la capacità tecnica o la consapevolezza culturale, si può obiettare.

La curatrice Viana Conti invita a riflettere sulla solitudine dell’artista in mezzo alla massa, soprattutto nei casi paradossali di Warhol e Schifano, che pure erano circondati da adulatori, imitatori e rockstar ed erano ottimi venditori di sé stessi, e se, nell’era dell’infinita riproducibilità, come scrive Bemjamin, l’arte ha perso l’aura, o se continua ad averla. Uno spettatore chiede un giudizio su Banksy, se è il nuovo Warhol; Daverio considera che non ha la stessa forza sul mercato di altri, che oggi il valore di un artista lo fa il prezzo, e il prezzo lo fa chi può spendere, che non ha gusto, dev’essere una compensazione divina. Un altro chiede un giudizio su Jeff Koons: Daverio risponde che è la perfetta interpretazione dell’America di oggi: carino, superficiale, vuoto. Il vostro cronista chiede un giudizio su Damien Hirst: Daverio propone che Koons stia a Obama come Hirst al nostro Presidente del consiglio, ma il tempo a disposizione è terminato e attendono la mostra e il ricchissimo buffet.

daverio calziniA chi scrive è sempre piaciuto più Schifano che Warhol, trovandolo più genuino pur nella sua paraculaggine. Di Warhol vediamo le opere più classiche, dal ritratto di Mao alle copertine dei dischi, ma anche quelle meno sfruttate e più interessanti, come quelle delle serie “Flowers” e “Car crash”, o alcune foto dei folli personaggi che frequentavano la sua Factory. Di Schifano abbiamo molto, del resto ha dipinto moltissimo, gli informali, le palme, le stelle, alcune figure inquietanti (un’amica amica e collega psicologa le paragona ai lavori dei suoi pazienti psichiatrici) e anche scatti fotografici in bianco e nero. Mostra interessante e in ogni caso da vedere, è aperta dal giovedì alla domenica fino al 31 marzo.

*Foto di Paolo Moretti e Giorgia Grossi