Cosa accadrebbe se la Liguria dovesse improvvisamente fare a meno dei suoi 46 mila artigiani? L’Ufficio studi di Confartigianato ha realizzato una simulazione che mostra un impatto tutto sommato contenuto sulla popolazione (diminuirebbe del 2,9%), ma un vero e proprio tsunami sull’economia della regione e sulla qualità della vita degli abitanti. A partire dagli oltre 4,5 miliardi di euro in meno di valore aggiunto (-11,6%). A Genova l’impatto più pesante: il capoluogo perderebbe oltre 23 mila artigiani, con un calo del valore aggiunto di oltre 2 miliardi (-9,7%). Gli imprenditori savonesi sarebbero quasi 9.580 in meno, mentre a Imperia l’impatto porterebbe via oltre 7.280 unità (in questi casi il valore aggiunto diminuirebbe, rispettivamente, di 1 miliardo e di 780 milioni). La Spezia perderebbe oltre 5.600 unità artigiane, con 590 milioni di euro in meno sul valore aggiunto.
Un vero disastro a 360 gradi per la nostra regione: «Un’ipotesi – commenta Giancarlo Grasso, presidente di Confartigianato Liguria – che ci aiuta a capire quanto sia importante per la Liguria il lavoro degli artigiani. Se di colpo il nostro settore sparisse, il made in Liguria perderebbe un apporto dell’8,3%, equivalente a 482 milioni di euro. Ci sarebbero inevitabili conseguenze anche sulla disoccupazione, che passerebbe dall’8,6% al 15,2%. Si tratta di uno scenario, disastroso, che non abbiamo sviluppato a caso: martedì 18 febbraio saremo a Roma, in occasione della mobilitazione nazionale di Rete Imprese Italia, per chiedere proprio maggiori garanzie e sostegno per l’artigianato e per tutto il tessuto produttivo delle Pmi italiane, da cui dipende il futuro del Paese».
L’impatto di una Liguria senza artigiani sarebbe davvero catastrofico per il benessere dei cittadini. Rimarrebbero oltre 740 mila abitazioni senza manutenzione da parte di edili e installatori di impianti (la situazione peggiore a Genova, con oltre 405 mila case, a cui seguono Savona con 135 mila e Imperia e La Spezia con circa 100 mila abitazioni). Nei trasporti una situazione non meno grave, che vedrebbe un parco di oltre 844 mila veicoli senza alcuna manutenzione da parte dei carrozzieri liguri: di questi, 430 mila sarebbero a Genova, oltre 127 mila mezzi a Savona, circa 124 mila nell’imperiese e 122 mila alla Spezia. Nei magazzini delle imprese di produzione e alle porte di negozi e uffici liguri rimarrebbero ben 32 milioni di tonnellate di merci non più gestite dagli autotrasportatori artigiani: un impatto di 21 milioni di tonnellate nel genovesato, 4,7 milioni nello spezzino, 4,6 milioni a Savona e “solo” 1,7 milioni di tonnellate a Imperia. Inoltre, senza un’adeguata manutenzione degli artigiani della filiera delle rinnovabili, rimarrebbero inanimati i 4.387 impianti fotovoltaici della Liguria (1.265 a Savona, 1.199 a Genova, 1.095 alla Spezia e 828 a Imperia) e i 30 impianti eolici regionali.
Che dire poi del “food and fashion” ligure: 795 mila cittadini dovrebbero fare a meno delle golosità prodotte dagli artigiani pasticceri e cioccolatieri, 492 mila non potrebbero più recarsi nei panifici o nelle rosticcerie. Sarebbero oltre 10.600 i matrimoni celebrati senza un abito nuziale di sartoria artigiana o senza un fotografo professionista. Oltre 736 mila donne dovrebbero rinunciare al parrucchiere o all’estetista. Circa 1,5 milioni di persone potrebbero ancora vestirsi, arredare la casa e fare un regalo, ma non potranno contare sulla qualità artigianale della lavorazione della pelle, del legno, dei metalli, del vetro e della ceramica.
Un terremoto economico da cui la Liguria oggi si“riassesta” grazie alla formazione “sul campo” svolta quotidianamente nelle aziende artigiane verso i neo assunti. Una formazione che vale 47 milioni di euro in Liguria, pari all’1,04% del valore aggiunto prodotto dall’intero settore sul territorio regionale: «Dagli oltre 37 mila dipendenti dell’artigianato ligure – conclude Grasso – potrebbe ipoteticamente “risorgere” il settore, sempre che la pressione fiscale, la burocrazia, la stretta creditizia e i lunghi tempi della pubblica amministrazione non ne impediscano la rinascita: ricordo che nella classifica del miglior contesto favorevole a fare impresa, realizzata dalla Banca Mondiale, l’Italia è solo al 65esimo posto su 139 Paesi».