Black Mirror, lo specchio di una realtà ancora più nera

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di Alfredo Sgarlato – Tempo fa abbiamo segnalato come film della settimana in TV la miniserie inglese “Black Mirror”. La RAI ha poi sospeso la trasmissione senza rivelarne i motivi: problemi di diritti? Paura della censura? Quale che sia il motivo è stata una mancanza di rispetto verso gli spettatori e un regalo alla pirateria.

In ogni caso vale la pena di tornare a parlarne: “Black Mirror”, tra le serie tv degli ultimi anni, in un panorama di livello piuttosto alto che ha soppiantato quello che una volta si chiamava cinema medio, in grado di parlare sia allo spettatore colto che a quello desideroso unicamente di divertirsi, ci pare sicuramente tra le più geniali. Andata in onda in Gran Bretagna tra il novembre 2011 e il febbraio 2013, si compone di sei episodi autoconclusivi della durata tra i quaranta e i sessanta minuti circa.

L’autore è il giornalista Charlie Brooker, che scrive le sceneggiature di cinque episodi su sei, escluso “The entire history of you”, che è quello tutto sommato meno coinvolgente. Attori da noi sconosciuti, tranne Rupert Everett che ha un ruolo minore nel secondo episodio della prima stagione; Haley Hatwell, vista in “Sogni e delitti” di Woody Allen, interpreta il primo episodio della seconda stagionee. Il genere è quello che si definisce fantascienza sociologica, quella cara a Sheckley e Dick, ma anche Orwell e Huxley sono ben presenti.

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L’ambientazione è un futuro che poi è solo un presente accelerato, in cui la vita è solo un misto di reality show e videogame (“Fifteen million merits”), i ricordi si possono vedere su uno schermo con gli amici (“The entire history of you”), le apps del cellulare diventano persone (“Be right back”). In breve, una serie di schermi/specchi neri di cui noi persone finiamo ad essere un’appendice e non viceversa. Debitore a Sheckley è soprattutto “L’orso bianco”, secondo episodio della seconda serie, quello più avvincente e riuscito, un’agghiacciante e incalzante caccia all’uomo degna del miglior Romero.

Particolarmente degni di nota il primo e l’ultimo episodio, quelli più politici. Nulla si sottrae alla satira di Brooker: politici corrotti, opposizioni inconcludenti, ribelli ingenui e manovrati, pseudo artisti alla Von Trier/Hirst. Si mostra molto bene come ogni tentativo di rivolta viene inglobato dal sistema, che sa come incanalare e monetizzare ogni tentativo di devianza se può aprire nuovi spazi produttivi. Profetico soprattutto l’episodio conclusivo “Vota Waldo”, uscito coincidenza vuole, poco prima delle elezioni italiane.

Per lo spettatore medio o impegnato la serie potrebbe apparire eccessivamente cinica; al contrario la critica più snob l’ha trovata moralista. Del resto si può capire come non vogliano che si sputi nel piatto dove mangiano caviale. Ma non c’è traccia di moralismo: è puro realismo, quello che solo la fantascienza riesce a esprimere.

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato