Storie strane di donne musiciste

di Alfredo Sgarlato – La musica rock è stata, per molto tempo, il genere maschilista per eccellenza. Col punk e soprattutto la new wave degli anni ’80 le cose cambiarono, come abbiamo visto in un articolo precedente (https://www.albengacorsara.it/?s=una+certa+tendenza+della+musica+rock+). Una forte presenza femminile c’è sempre stata però in alcuni filoni, per esempio nel folk rock, soprattutto inglese. Nel nuovo millennio, grazie a internet e alle ristampe in CD, sono state riscoperte figure femminili incredibili, stravaganti, sfortunate. Di alcune di loro andremo a raccontare.


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Vashti Bunyan verso la fine degli anni ’60 incise un paio di singoli. Poi decise andare a trovare il suo amico Donovan, viaggiando con un amico, il cavallo Bess e il cane Blue, attraversando tutto il Regno Unito, finché dopo un paio di anni dopo sparì. Fortunatamente prima di sparire aveva lasciato un nastro Joe Boyd, produttore di Pink Floyd, Nick Drake e di moltissimo folk inglese, che si innamorò di quelle canzoni (probabilmente anche di lei, ma non sappiamo molto di più). Il disco, “Just another diamond day” (1970), per quanto molto bello, non ebbe successo commerciale e Vashti si dedicò a bambini e animali. Nel frattempo il disco divenne di culto, una copia è stata anche venduta all’asta a 2000 dollari, all’insaputa dell’autrice. Col terzo millennio la Bunyan viene cercata da giovani musicisti che la vogliono ospite nei loro dischi, e le producono due nuovi lavori, “Lookaftering” (2005) e “Heartlip” (2014), molto belli.

Vashti Bunyan

Shelagh McDonald, volto bellissimo e voce squillante, incise due album a inizio anni ’70, (“The Shelag Mc Donald Album“, ’70 e “Stargazer” ’71) accompagnata dai migliori nomi della scena folk e del jazz (il grande Keith Tippet, RIP) inglesi. Poi sparisce, si parla di un “bad trip” con l’LSD, viene anche ufficialmente dichiarata scomparsa. Nel 2006 concede un’intervista, dove racconta che era vero, l’acido le aveva procurato a lungo allucinazioni e problemi psichici, oltre alla perdita della voce, ed era tornata a vivere in famiglia. Poi aveva sposato un libraio e condotto con lui una vita vagabonda. Qualche anno dopo, ritrovate la voce e la stabilità mentale, ha inciso un nuovo disco, “Parnassus revisited” (2013), venduto solo ai concerti. Pare abbia inciso nuovo materiale, ma è ancora inedito.

Anne Briggs è una donna molto timida. Questo però non le impedì a soli sedici anni di abbandonare la famiglia, raggiungere Londra in autostop e cominciare a frequentare il mondo del folk inglese, compreso il grande patriarca Ewan McCall. Per tutti gli anni ’60 suona dal vivo e duetta con i grandi del musica tradizionale, oggetto di riscoperta da parte dei giovani rockettari, ma non incide nulla, colpa anche di una vita scellerata tra alcol e compagni violenti. Solo a inizio anni ’70 arriva a incidere tre dischi, “Anne Briggs“, “The time has come” e “Sing a song for you“, il terzo dei quali rimarrà a lungo inedito. Abbandona per molti anni la musica, finché viene riscoperta, tiene concerti, ma a differenza di altre autrici qui citate non ha inciso dischi nuovi.

Anne Briggs

Varchiamo l’oceano e incontriamo Linda Perhacs. Di mestiere fa l’assistente di un dentista, vive a Beverly Hills ed ha modo di conoscere molte celebrità hollywoodiane, clienti del suo principale. Tra questi c’è il compositore di colonne sonore Leonard Rosenman, a cui fa sentire un nastro con le canzoni che scriveva per passatempo. Le viene proposto di incidere un disco, ma per i discografici è difficile accettare le scelte di una donna dal carattere forte. “Parallelograms” (1970), è registrato male e gli arrangiamenti non sono quelli voluti da Linda, che delusa abbandona la musica per tornare al suo lavoro. Nel terzo millennio, navigando su internet, la Perhacs scopre di essere un’artista di culto e, felicemente pensionata, incide due nuovi dischi, “The soul of all natural things” (2014) e “I’m a harmony” (2017)

Linda Perhacs

Alcuni anni fa, leggendo una rivista, scoprii che due miei musicisti del cuore, Andy Partridge (XTC) e Jim O’Rourke, avrebbero portato sulla fatidica isola deserta i dischi dell’a me sconosciuta Judee Sill invece che quelli di Joni Mitchell o Carole King. Doveroso informarsi su chi fosse. Quella di Judee è la più dolorosa delle storie che andiamo a raccontare. Rimasta sola al mondo fin da bambina, vittima di abusi, tossicodipendente, finisce più volte in carcere già da adolescente per prostituzione e rapina a mano armata (!). Durante una delle tante reclusioni la scoperta della musica e la conversione religiosa. Incide due dischi, “Judee Sill” (1971) e “Heart food” (1973). Il materiale destinato al terzo verrà pubblicato solo nel 2005. Nonostante la stima dei colleghi l’eroina ha nuovamente il sopravvento su di lei e alla sua morte, nel 1979, alcuni amici commenteranno che la credevano morta da anni, mentre altri lo verranno a sapere solo grazie alla pubblicazione degli inediti.

Judee Sill

Se per certi versi l’esplosione di internet e del download sono stati una jattura, per altri sono stati manna dal cielo. Oggi possiamo avere una visione completa della musica del ‘900. Ovviamente quelli che ad ogni riscoperta di misconosciuto autore esclamano che la storia del rock dev’essere riscritta e Beatles e Stones sono sopravvalutati sono casi umani, ma c’è tanto materiale valido passato inosservato per insipienza di pubblico e discografici. Le autrici qui citate non avrebbero cambiato la storia del rock, nel loro filone Joni Mitchell e Laura Nyro restano inarrivabili, non sarebbero diventate ricche, e non glie ne sarebbe importato nulla, visto che tutte o quasi avevano uno stile di vita hippie e vagabondo, ma siamo più ricchi noi se ascoltiamo questi ottimi dischi.