Confessioni di un appassionato di musica giunto a cinquant’anni di ascolti

di Alfredo Sgarlato – Nel 1970, avevo sette anni, avvenne nella mia famiglia un evento minimo ma fondamentale per il mio futuro: mio zio arrivò portando con sé un disco a 33 giri dalla copertina fantasmagorica. Lo mise sul giradischi, anch’esso nuovo, e io sentii partire un urlo primordiale proveniente dalle profondità della terra e un selvaggio, alieno suono di chitarra. Il disco, non so se si può intuire dalla concisa descrizione, era “Led Zeppelin III” e, come abbiamo detto in tanti, la mia vita fu salvata dal rock’n’roll. Passò qualche anno sino al momento in cui cominciai ad ascoltare dischi spontaneamente, ma ormai l’imprinting c’era stato. Quando iniziai a farlo, 1976 circa, il gruppo “mitico” per eccellenza erano i Pink Floyd, e da loro iniziai il mio viaggio. Diversamente da chi è un po’ più vecchio o un po’ più giovane, il punto di partenza era già piuttosto sofisticato, per cui non ho mai amato musiche troppo di pancia come l’heavy metal e, pur apprezzandoli, non ho il mito dei cantautori. Al contrario, essendomi formato su generi complessi, psichedelia e prog, con lunghe parti strumentali, alla passione per il rock si è aggiunta quasi subito quella per il jazz.

L’imprinting

Sono sempre stato attratto dalle musiche più colte e contaminate, e sempre portato a cercare il nuovo. Così il passaggio dai ’70 agli ’80 fu quello dal prog alla new wave, che al liceo ascoltavamo solo io e Claudio Tomati (per sempre nei nostri cuori), riuscendo a convertire solo pochi eletti. La maggioranza degli amici, anche quelli più rockettari, dicevano che non poteva piacerci quella roba inascoltabile, che la ascoltavamo solo per tirarcela. Noi waver, alfieri del nuovo e del diverso, ci sentivamo contemporaneamente rivoluzionari e aristocratici, che cosa impensabile in questi tempi populisti e neobigotti. Buffo come tanta di quella musica inascoltabile risentita oggi non appare poi così diversa da quella dei decenni precedenti, e tanta musica all’epoca futuristica oggi appaia datata.

Il primo disco comprato

Le novità non durano per sempre, e così a metà anni ’80 cominciarono i revival. Prima quello degli anni ’60, quindi novità per me che all’epoca ero troppo piccolo. Fu soprattutto nel mio caso riscoperta della black music, le vere radici di un rockettaro, anche quella roba da n***i f***i che il ragazzo europeo medio non avrebbe mai ascoltato. Poi la novità fu il rap, e devo dire che i primi gruppi, i più impegnati, sperimentali, contaminati, come Public Enemy o De La Soul, per quanto non il mio genere non mi dispiacevano. Questo filone durò poco: ben presto esplose quello più commerciale, il “gangsta rap”, quello inneggiante a droga, armi e sottomissione delle donne, di cui la trap è l’ulteriore degenerazione. Sfondava in America, non in Europa: perciò le grandi case discografiche fecero una massiccia campagna per imporlo anche da noi, così oggi in tutto il mondo il rap (ma quello più commerciale e noioso) impera in tutto il mondo.

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Una svolta nella mia storia di ascoltatore

Per questo non sono d’accordo con chi dice che le critiche che si fanno alla trap sono le stesse che si facevano al punk: non è musica, esprime contenuti violenti. Il punk era musica che usciva dalle cantine e si diffuse nel mondo, diventando anche moda; ma parlava anche di anarchia e rivoluzione. Oggi rap e trap sono generi imposti dall’alto e in realtà innocui, per quanto scandalo possano fare. Certo, il maschilismo dei testi è fastidioso, e pernicioso, ma è poi così diverso dal maschilismo che impera in tv o sui quotidiani? Non credo che l’ascolto di una canzone o la visione di un film possano cambiare radicalmente una persona: io ho ascoltato tutta la vita musicisti tossicodipendenti, gay o afroamericani e non sono diventato né tossico né gay né afroamericano. E poi ci si pone di fronte al problema dei problemi: cosa è più pernicioso, i testi violenti o la censura? Innanzitutto che esistono contenuti violenti bisognerebbe saperlo sempre, non qualche giorno prima di un festival quando le polemiche sono create ad arte per polarizzare l’attenzione; e spesso chi critica testi violenti e misogini fino al giorno prima ha difeso politici violenti e misogini: anche l’apologia di fascismo è reato, e non viene mai perseguito. E cosa va censurato e cosa no? Sareste favorevoli a censurare i no vax o i terrapiattisti? Il cattolicissimo critico Farinotti scriveva “tutto è meglio della censura, anche Ciprì e Maresco” (che io peraltro adoro).

Riscoperte

Negli anni ’90 stavo rischiando di diventare un non ascoltatore di musica, perlomeno di rock. Precario, non avevo soldi per comprare dischi. Le radio passavano soprattutto generi per me inascoltabili, metal e simili, o il già citato gangsta rap. Quando stavo per diventare un quarantenne che ascolta solo la musica dei suoi tempi una sera beccai alla radio un breve special su una scena di gruppi strani provenienti dalla città di Louisville, Kentucky. Quella musica mi piaceva. Un amico mi prestò una cassetta di uno di quei gruppi, i Tortoise. Stavolta fu un profondo giro di basso a scatenare la passione come in un ragazzino. Ricominciai a comprare dischi, a leggere riviste, scoprendo che gli anni ’90 non erano il deserto ma c’era un bellissimo mondo sotterraneo.

Una seconda giovinezza

Nel terzo millennio sono ritornato ad essere un ricercatore di novità musicali, mettendomi persino a scrivere di musica, cosa che non avevo mai pensato di fare prima (quando si riusciva ad essere pagati per farlo). Sono arrivato al dubstep, che mi piaceva, e all’hypnagogic sound, che non mi diceva niente. E poi a un certo punto l’ossessione per la novità è passata, forse perché non esistono più vere novità in campo stilistico, o perché non vorrei, in nome del nuovo dover difendere la trap, che comunque nuova non è, che aldilà dei contenuti trovo mortalmente noiosa. Non che non escano dischi molto belli, anzi, ma potrebbero essere stati incisi nell’85 o nel ’72. Sarà l’età, ma difficilmente trovo cose che mi entusiasmano, leggo lodi sperticate di alcuni artisti, e poi mi piace solo qualche loro canzone, o non capisco se mi piacciono o no, oppure dischi che mi soddisfano, come quelli di Michael Kiwanuka, di cui tanti scrivono “ok, bello, ma queste cose le faceva già Terry Callier”, dimenticando che Terry Callier è morto e comunque il 99% degli umani non sa chi sia. Per oggi basta, vi lascio vado a sentire il nuovo disco degli Oval, un gruppo di elettronica glitch, che non saprei neanche spiegarvi cosa vuol dire, e mi piace anche se queste cose le facevano già negli anni ’90 i Mouse on Mars, anzi negli anni ’70 i Kraftwek, anzi…