Anniversari: Albert Camus l’umanista in rivolta

di Alfredo Sgarlato – Quando scrivo di anniversari preferisco ricordare le nascite e non le morti. Ma in questo mese ricorrono i sessant’anni dalla morte di Albert Camus, scrittore fondamentale per la mia storia di lettore e pensatore, e forse oggi un po’ trascurato. È il destino di quegli scrittori che escono dalla piccola nicchia del culto e arrivano a un maggior numero di lettori, che fa tendenza sminuire, derubricare a minori, sottovalutare rispetto a nuovi culti sconosciuti. Non posso pensare a chi ha scritto “Lo straniero“, “La peste“, “La caduta” come a un minore. Chi ha pensato i formidabili incipit e finale de Lo straniero è sicuramente in grande scrittore, non un minore.

Parlando di Camus è inevitabile parlare del rapporto di amicizia/scontro con Sartre. Li divise il giudizio sull’Unione Sovietica e i crimini staliniani, da cui Sartre non seppre prendere le distanze. D’altra parte si preferì spesso il filosofo accademico Sartre al libero pensatore Camus. Eppure è Camus quello invecchiato meglio. In vita Sartre fu spesso anche feroce nei suoi giudizi sull’ex amico, per poi pentirsene quando morì in un incidente, a soli 46 anni.

A Camus si rimprovera l’essere autodidatta, il carattere più metafisico che politico dei suoi scritti, specie nel fondamentale “L’uomo in rivolta“. Camus cerca l’umanesimo, il senso della vita è l’unica questione per lui da porsi. Ateo e anarchico, rifiuta anche queste definizioni, non vuole essere irregimentato. Lotta appassionatamente per la libertà dei popoli africani, ma teme che all’indipendenza possa seguire l’antimodernismo del fondamentalismo islamico, e anche in questo fu profeta. Aderì al Movimento Federalista Europeo di Altiero Spinelli.

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In pratica le aveva tutte, e le avrebbe ancora di più oggi, per farsi odiare: nessuno delle idee oggi alla moda, sovranismo, veteromarxismo, antimodernismo, new age, sarebbe compatibile col suo pensiero. Eppure il suo essere “anti”, perennemente in rivolta, non sfocia mai nel nichilismo: l’umanesimo è il suo faro, la solidarietà la salvezza. La critica letteraria per un certo periodo lo intruppò tra gli scrittori che piacciono agli adolescenti in cerca di sé, come se questo fosse un insulto, quando invece è un successo.

Camus soffrì per tutta la vita di tubercolosi, e forse fu questo a farne uno scrittore: in gioventù aveva mostrato talento sia come attore teatrale, che come calciatore, portiere per la precisione, carriere che dovette abbandonare. Spesso scherzando diceva che l’aver avuto successo come scrittore impegnato gli impediva di scrivere di rugby e di ciclismo, gli sport nazionali francesi (il calcio esploderà con l’immigrazione), cosa che l’avrebbe divertito assai di più. Vinse il Premio Nobel nel 1947. Alla fine possiamo dire che la definizione più corretta per lui sia quella di classico.