Nasce il primo inventario dei licheni delle Dolomiti, consultabile online

Nella foto: Scorcio di paesaggio nel Parco Nazionale Dolomiti Bellunesi con vista sulla catena delle Vette Feltrine e sullo sfondo il gruppo roccioso del Cimonega. Un territorio ricco di biodiversità e di notevole interesse biogeografico che ospita molte interessanti specie licheniche.

Un database consultabile online, in continuo aggiornamento, che offre un inventario dei licheni delle Dolomiti: circa 75.000 dati riferibili a circa 1750 specie, più della metà di quelle note per l’intero arco alpino. Presentato sulla rivista MycoKeys, il database nasce grazie al progetto Dolichens, coordinato dai lichenologi dell’Università di Bologna.

“Nonostante la regione dolomitica sia tra le aree italiane meglio conosciute ed esplorate dai lichenologici, fino ad oggi non esisteva una sintesi con dati consultabili pubblicamente”, spiega Juri Nascimbene, professore di Botanica Sistematica al Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali dell’Università di Bologna che ha coordinato lo studio. “Ma inventari di questo tipo sono di estrema importanza per sviluppare ricerche in ambito naturalistico e promuovere la conservazione della biodiversità”.

Nonostante il loro prezioso contributo al funzionamento degli ecosistemi e nonostante siano organismi molto sensibili ai cambiamenti climatici e all’inquinamento, i licheni sono infatti ancora relativamente poco conosciuti e vengono spesso esclusi dalle azioni di conservazione.

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Da qui nasce il lungo e complesso lavoro degli studiosi dell’Alma Mater, che hanno aggregato dati da numerose fonti dall’inizio del 1800 fino ai giorni nostri.

“È stata consultata tutta la letteratura disponibile, compresa la letteratura grigia come le tesi di laurea, che contengono dati non facilmente accessibili”, aggiunge Nascimbene. “Sono stati poi consultati e revisionati erbari storici di interesse locale e sono stati aggiunti anche i dati inediti provenienti dall’attività scientifica del nostro gruppo di ricerca”.

Non solo: tutte le segnalazioni presenti nel database sono state accuratamente geolocalizzate, con una grande opera di georeferenziazione a posteriori.

“Ogni località di raccolta è stata individuata su mappa, assegnando così una coppia di coordinate, quando non presenti”, conferma Nascimbene. “Per i dati storici questa operazione si è rivelata una vera sfida: è stato necessario consultare mappe antiche, in quanto i toponimi sono frequentemente cambiati nel tempo o sono stati abbandonati”.

L’area delle Dolomiti vanta una lunga tradizione di esplorazione lichenologica, che dura da ormai due secoli: i dati più antichi provengono dai campioni di erbario di Alberto Parolini (1788-1867), botanico italiano che esplorò soprattutto le Prealpi venete durante la prima metà del 1800. Si sono poi susseguiti alcuni altri studiosi che hanno prodotto preziosi cataloghi e raccolte. Fino agli anni ’80 del secolo scorso, quando il ritrovato interesse nazionale per la lichenologia ha portato a frequenti esplorazioni, attività di monitoraggio e collaborazioni con le aree protette e gli enti territoriali. Il complesso di tutti questi dati, storici e recenti, è confluito ora nel nuovo catalogo online curato dagli studiosi dell’Università di Bologna.

“Questo progetto non solo amplia il nostro sapere scientifico, ma promuove futuri studi volti alla conservazione e alla valorizzazione dei licheni”, dice in conclusione Nascimbene. “Avere a disposizione dati di due secoli di esplorazioni, con informazioni accurate sulla località di raccolta, ci fornisce infatti gli strumenti fondamentali su cui basare future ricerche di tipo biogeografico, tassonomico e floristico, finalizzate a comprendere a fondo le risposte dei licheni ai cambiamenti globali”.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista MycoKeys con il titolo “The Dolichens database: the lichen biota of the Dolomites”. Per l’Università di Bologna hanno partecipato Juri Nascimbene, Luana Francesconi, Gabriele Gheza e Chiara Vallese del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali, mentre dall’Università di Trieste, Dipartimento di Scienze della Vita, hanno partecipato Stefano Martellos, Matteo Conti e Pier Luigi Nimis.