“Delitto all’isola delle capre”: un noir lirico sulla solitudine e la forza femminile

Il Teatro dell’Opera Giocosa presenta il capolavoro omonimo di Ugo Betti in chiave operistica: un'esperienza moderna, intensa e con un finale dolce amaro.

A Savona il teatro Chiabrera

Sabato 14 ottobre alle ore 20.00 andrà in scena la prima opera lirica protagonista dell’ottobre savonese: al Teatro Chiabrera, Delitto all’isola delle capre, una tragedia intimista tratta dal dramma di Ugo Betti, realizzata in coproduzione con il Teatro Pergolesi Spontini di Jesi.

Una pièce moderna dal gusto, come s’intende già dal titolo, tendente al noir. Grazie all’intensità del libretto di Emilio Jona, alla musica di Marco Taralli, e alla direzione del Maestro Marco Attura, lo spettatore percepisce fin da subito la forza drammaturgica e la potente attualità dell’opera, nonostante si tratti di un’opera di uno dei commediografi più noti e rappresentati degli anni Cinquanta.

Quattro sono i personaggi al centro dello spettacolo: un dramma che vede coinvolte tre donne (Pia, Silvia e Agata), vittime di una violenza psicologica da parte del protagonista dal nome emblematico (Angelo) che entrerà con astuta prepotenza nelle loro vite. Tutta la rappresentazione si svolge su un’isola deserta, in cui risuonano solamente i suoni delle mandibole delle capre che brucano l’erba, del vento che fa sbattere le persiane di una casa in rovina e alcune voci provenienti dal pozzo al centro della scena. In questo desolato contesto, le storie e le personalità delle tre donne si scontrano con la finta innocenza del loro oppressore.

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Si tratta di una tipica situazione di guerra, in cui l’uomo parte lasciando sole le donne di casa, e sempre tipica è la situazione in cui degli estranei cercano (spesso con successo) di entrare in quelle solitudini, provocando esiti infelici e talvolta letali. Una vicenda che scatena e mette a nudo passioni, segreti, inquietudini, conflitti e desideri dell’essere umano: un giallo ricco di emozioni e suspense, ma senza vinti e vincitori.

Il tema, trattato da Taralli con tinte cupe sostenute da un impianto ritmico di grande forza, è in grado di mettere in contrapposizione l’esistenza “libera” delle tre donne in un luogo remoto e senza coordinate, in rapporto al “conformismo” della società alla quale sono sfuggite. La loro dimora decadente (immaginata dalla regia come un camper fatiscente) e l’asprezza del territorio che hanno scelto come “nuova patria”, sono altrettanti simboli di una comunità smarrita e priva di riferimenti.

Da questa originale alchimia – afferma il regista Matteo Mazzoniinsieme al Maestro Attura e ai magnifici artisti del cast, nasce il nostro spettacolo, contemporaneo e iperrealistico, quasi cinematografico, nel quale i personaggi si muovono con il peso specifico delle loro emozioni e colpe, lasciando il quesito a noi spettatori, di cosa avremmo fatto al loro posto, se saremmo stati capaci anche noi di scendere così in basso”.