di Dario Tiengo – “Il rapporto partito-gruppo si stava ormai deteriorando progressivamente. La situazione era diventata insostenibile. A questo punto, era giusto fare chiarezza”. Enrico Zanetti coì spiega le ragioni dell’addio al gruppo di Scelta Civica insieme ad altri 3 deputati. Dopo l’adesione al Gruppo misto, il viceministro dell’Economia “ha lanciato la costituzione di un nuovo gruppo denominato Scelta civica-verso Cittadini per l’Italia“. La prospettiva è andare oltre Sc, dunque, e iniziare ”un altro percorso politico”, che porterà alla “creazione un soggetto di area liberal-democratica con chi ci sta”.
La situazione è complicata e ovviamente non mancano le polemiche centrate sopprattutto sul fatto che, a detta dei detrattori di Zanetti, il segretario avrebbe aperto le porte a Verdini e ai suoi per l’entrata nel Governo. La lettura univoca dell’operazione non è comunque credibile. La realtà è molto complessa e, sinceramente, confusa. Zanetti conferma il ”sostegno al governo Renzi e alle sue riforme”, ma è pronto a portarsi via il simbolo di quel che rimane di Sc. Porta comunque attenzione a altri parlamentari provenienti da più parti, anche verdiniani.
”Ho lanciato questo gruppo al quale si stanno iscrivendo sia parlamentari provenienti dalla stessa Sc, sia singoli appartenenti ad altre realtà, come l’area ex Pdl e quella ex Lega”. “Nei prossimi giorni faremo il punto della situazione”, assicura il viceministro, che aggiunge: “Al Congresso convocato da Sc il prossimo settembre si aprirà il confronto interno. Noi siamo per il superamento di Sc e mi auguro che sul nostro progetto politico ci siano convergenze le più ampie possibili, sia dentro che fuori il Parlamento ”Se deputati di Ala o provenienti da altre realtà”, sia di centro-destra che di centro-sinistra, “sono interessati alla nostra prospettiva politica di un soggetto politico di centro, liberal democratico, con una propria autonomia”, ben vengano.
Abbiamo incontrato Enrico Zanetti nel suo ufficio di via XX Settembre. C’è stato anche spazio per raccontare il progetto di una forza liberal democratica che vuole attrarre le forze del centro. Ma la partenza è stata tutta sull’economia e sulle sorti del nostro Paese viste dalla posizione di viceministro del MEF
Crisi e situazione delle banche. Dopo la Brexit si sono accentuate le tensioni come era prevedibile. Intervento del Governo, la ricerca di un accordo europeo. Insomma una situazione tutt’altro che tranquilla. Qual è la situazione a partire dalle sofferenze?
Le nostre banche hanno un problema portato dalla crisi economica che ha messo in difficoltà tantissime imprese, molte non ce l’hanno fatta e oggi rappresentano gran parte delle sofferenze bancarie. Indubbiamente nel nostro Paese il problema è più pronunciato che altrove, sia perché la nostra economia ha avuto una crisi più profonda, sia perché – bisogna dirlo con franchezza – c’è comunque una situazione patologica dovuta a una gestione passata assolutamente non adeguata, anche in termini di managerialità bancaria. Per non parlare di innegabili casi di connivenza. Questo enorme stock di sofferenze determina una situazione di difficoltà anche rispetto alla ricapitalizzazione delle banche stesse.
Come si sviluppa l’iniziativa del Governo?
Il governo si sta attivando, e in parte si è già attivato, per consentire da un lato condizioni di mercato non penalizzanti sul fronte delle acquisizioni delle sofferenze come avviene in questo momento. L’obiettivo del Governo è quello di fare in modo che vi siano soluzioni di mercato che amplino i potenziali acquirentie si raggiungano prezzi meno penalizzanti. Tutto questo evidentemente con un miglioramento dei bilanci, che consenta anche di trovare, a migliori condizioni di mercato, soggetti interessati alle operazioni di ricapitalizzazione.
Operazioni complesse ma con rischi che non toccano solo noi. E’ così?
È evidente in questa fase esiste un rischio sistemico, determinato da una congiuntura che va ben oltre i confini del nostro Paese. I rischi e le incertezze di tenuta dell’Europa, dopo la Brexit, alimentano ulteriormente le difficoltà. Si sta lavorando per ottenere anche quelle deroghe che sono previste dai trattati e possono consentire di dare ulteriori garanzie a chi decide di intervenire a livello di mercato. Sapendo che nella peggiore delle ipotesi vi è una garanzia pubblica. Nello specifico la situazione di Monte dei Paschi di Siena è chiaramente un caso su cui mettere particolare attenzione Le deroghe possono già oggi consentire di affermare che i correntisti, ma anche gli obbligazionisti subordinati, nella misura in cui parliamo dei piccoli risparmiatori, si potranno sentire ampiamente tutelati. C’è da ragionare sugli investitori cosiddetti istituzionali.
In Europa è stato ridimensionato il giudizio negativo sulle banche italiane anche perché stanno uscendo dati sulle banche estere. Ad esempio in questi giorni si è detto che Deutch Bank pare abbia derivati per 15-17 volte il pil tedesco. È vero?
Devo dire che su questo punto ho letto informazioni molto diverse fra loro. Comunque quello che sta avvenendo in Europa è quello che il nostro Governo dice da tempo e cioè che sulle banche non esiste un ‘caso Italia’ ma un ‘caso Europa’ che poi si declina con specificità diverse. In altri Paesi ci sono i derivati mentre da noi ci sono le ‘sofferenze’. Aggiungerei che noi ci possiamo considerare più fortunati perché in un’ottica di medio e lungo periodo il problema delle sofferenze ha avuto una maggiore agilità di gestione. Non significa però minimizzare, tanto è vero che riteniamo per questa situazione sistemica di dover comunque utilizzare le deroghe che la normativa consente. Siamo comunque felici di constatare che non siamo noi i malati d’Europa. È assolutamente vero.
Dividere le attività commerciali da quelle finanziarie degli istituti bancari. Una cosa è la raccolta e l’impiego e altro è la speculazione finanziaria. In Europa è un dibattito presente, molto meno in Italia
Su questo fronte a livello di governo non ho ancora avuto il piacere di partecipare a dibattiti strutturali. Posso però esprimere quella che è un’opinione personale e politica. Ritengo che questo tipo di ragionamento meriti di essere approfondito. La separazione secca delle due attività è probabilmente una soluzione troppo drastica che rischia qualche rigidità nella gestione complessiva dell’effetto della finanza. Che vi debbano però essere, quanto meno, delle separazioni nette anche in termini organizzativi e operativi e di risorse umane tra ciò che rappresenta il canale del credito e ciò che invece rappresenta obiettivi di sviluppo, sul fronte del collocamento dei titoli, sono convinto che sia un passaggio molto importante.
Regole e riorganizzazioni, sono le parole d’ordine di questa fase in Europa. Cosa mi dice del Bail in?
C’è una cosa che ci tengo a dire. Il “Bail in” non è una normativa nemica dei cittadini come viene spesso definita, bensì una normativa assolutamente positiva di cui il nostro Paese aveva bisogno. E’ una normativa che impedisce di continuare a vivere in un Paese dove i profitti sono privati, mentre le perdite sono comuni. Con l’ulteriore e non secondario corredo che fino a quando le perdite sono pubbliche, per come ragioniamo spesso purtroppo in Italia, sono di tutti ma anche di nessuno. Alla fine, quindi, tutti coloro i quali hanno compiti di controllo scelgono la politica della polvere sotto il tappeto. In questo modo si annulla la politica di controlli stringenti immediati e resi pubblici velocemente. Non mi stupisce affatto che una parte di chi ha compiti di controllo del sistema bancario non apprezzi questa normativa. Proprio perché li mettono in condizioni di maggiore difficoltà. Invece il nostro Paese ha bisogno proprio di questo.
Sulla vigilanza lei ha avuto molto a che dire…
Credo che non si debbano addossare colpe automatiche a chi c’è oggi, nemmeno sul versante vigilanza. Si impone però una riflessione su quello che è stato fatto negli ultimi quindici anni. Quando io leggo le carte prodotte da Banca d’Italia in cui si dice che, relativamente alla Banca Popolare di Vicenza, dal 2001 Banca d’Italia contestava al Consiglio di Amministrazione di Banca popolare di Vicenza che le metodologie con le quali conteggiavano il valore delle loro azioni erano sbagliate e leggo poi anche che questa contestazione mossa nel 2001 è rimasta nei cassetti del consiglio di amministrazione (non esiste l’obbligo di renderla pubblica) ed è rimasta lì fino al 2014, dico che chi ha assunto quella decisione in quel lasso di tempo ha fatto male il suo dovere. Non è possibile attendere un lasso temporale così ampio. Questo comportamento è proprio figlio di una convinzione che poi prima o poi in un modo o nell’altro tutto si sistema. L’unico aspetto però che deve essere chiaro è che l’unico momento in cui questa normativa deve essere applicata necessariamente in modo flessibile e non rigido è quando ci sono crisi che sono addirittura di sistema. È un paradosso che proprio all’inizio della sua applicazione viviamo in una crisi di sistema.
Tutto questo è figlio forse di una mancanza di una cultura liberale in Italia?
Questo è figlio sicuramente della mancanza di una cultura liberale. Mi capita spesso in queste settimane di assistere nei dibattiti televisivi o nelle situazioni di confronti politici sia pubblici sia privati di importante livello di sentire spesso, talvolta addirittura nella stessa frase, il concetto della nazionalizzazione delle banche con quello della politica che deve uscire dalle banche. Come mettere insieme una banca nazionalizzata con una da cui la politica è fuori resta un mistero. Il punto è molto semplice e cioè avere un approccio che non è quello dogmatico o anti statalista con il rischio di cadere nell’eccesso opposto ma avere un approccio in base al quale da un lato lo Stato è importante ma deve limitarsi a svolgere le sue funzioni essenziali e per il resto essere controllore di regole che a sua volta devono essere essenziali ed essere appunto convinto sostenitore di un’etica della responsabilità che non è il rigore fine a se stesso e che non è l’abbandono del più debole.
Parliamo di Scelta Civica. Dopo gli ultimi avvenimenti lei lascia il gruppo alla Camera e entra nel misto fondando un nuovo gruppo Scelta Civica – Cittadini per l’Italia.
Si tratta di un percorso politico che noi portiamo avanti con coerenza e costanza su cui vorremmo veder convergere altre realtà. Spero che avremo l’occasione di molte richieste di manifestazioni di interesse e di adesione, credo che quello sarebbe il successo più bello per l’iniziativa che stiamo portando avanti.
Il blocco sociale che volete rappresentare vede anche quella parte di ceto medio che oggi vive in una zona grigia ed è toccato sensibilmente dalla crisi. Parliamo di Partite Iva e professionisti, di micro aziende etc, Cosa pensa al riguardo?
Il blocco sociale al quale noi intendiamo rivolgerci è perfettamente riconducibile non a caso a una famiglia politica europea alla quale noi vogliamo appartenere e cioè da un lato quei laici di tradizione liberale e dall’altro i cattolici riformisti. I quali, per l’appunto, sono riconducibili a quell’area cattolica riformista che non è meno popolare dei cosiddetti popolari europei, ma che nel partito popolare europeo non si ritrova più.
E in Italia?
In chiave italiana, se dobbiamo guardare in modo sintetico, l’area liberale, l’area repubblicana e l’area cattolica riformista. Questo blocco sociale è sicuramente composto innanzitutto da chi ama rischiare e quindi i piccoli produttori, i professionisti, ma anche da chi ama fare bene il suo lavoro. La sfida non è data solo dalle Partite Iva, ma dall’essere anche efficiente in un contesto che purtroppo non lo è. Ci sono tanti quadri, dirigenti e funzionari della Pubblica Amministrazione che sono i primi ad essere critici nei confronti di quei loro colleghi che, con comportamenti inopinati, gettano discredito sul loro lavoro e vorrebbero finalmente vedere installato nel nostro Paese un sistema meno protezionistico e più meritocratico. Consapevoli che oltre a dare un contributo al sistema darebbero anche un contributo a se stessi in quanto dirigenti della Pubblica Amministrazione.
Si tratta dunque di rifondare un’area politica?
L’esperienza di Scelta Civica va rilanciata con nomi e simboli diversi segnando una differenza. Va rilanciata dal basso, e quindi non in due mesi, ma lavorando con calma, come stiamo facendo in questi anni e come continueremo a fare nei prossimi. In futuro la classe dirigente del Paese non potrà essere composta semplicemente da persone, anche brave, ma prive di esperienza e disciplina politica. Si tratta di trovare disponibilità a far parte di un gruppo in cui ci sono anche figure nuove, che però hanno accumulato una positiva esperienza di amministrazione nei territori e anche nei consessi regionali. Da questo mix e da questo processo dal basso, l’area potrà ricostruirsi e reinterpretarsi.
Quindi mi sta dicendo che mettersi tutti nel Pd non ha senso?
Mettersi tutti nel Pd non ha senso nell’istante in cui non vi è – e allo stato attuale non vi è – un processo politico che determina una fase nuova di quel partito. Se vi fosse una evoluzione politica da cui potesse nascere un soggetto nuovo, certamente trainato dall’attuale partito democratico, ma aperto in modo davvero nuovo ad altre aree, saremmo di fronte a un processo politico potenzialmente interessante. Ma questo processo politico non è in atto e non c’è nulla che possa far pensare che in futuro si possa determinare.
Se però la sinistra dem scegliesse altre strade...
Sono scenari futuribili rispetto ai quali non è che si può rimanere appesi, bisogna andare avanti con il proprio progetto politico e poi verificare anche possibili evoluzioni che ci dovessero essere sul fronte della legge elettorale. Noi siamo convinti sostenitori da sempre tra altre modifiche migliorative comunque della necessità del premio di coalizione.
Si riparte da Cittadini per l’Italia quindi?
Da questo vogliamo partire. Cittadini per l’Italia è un nome non scelto a caso ma coniuga da una parte il messaggio di impegno civico in politica che noi vogliamo portare avanti e allo stesso tempo richiama in modo chiaro un’iniziativa politica spagnola, di grande successo, (i centristi di Ciudadanos di Alberto Rivera ndr)riconducibile all’area liberal democratica che è esattamente l’area alla quale noi apparteniamo.
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