Liguria, Benzi e Rossi (Sel): “A rischio il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza”

Alessandro Benzi, Capogruppo Regionale di SEL, interviene su quanto Alessandro Benziaccaduto sabato scorso a una ragazza di 19 anni che, recatasi al San Martino per completare l’iter di interruzione di gravidanza (IVG), si è sentita rifiutare la prestazione perché il medico di guardia è obiettore: “La scelta di interruzione di gravidanza è una scelta sempre difficile e dolorosa. Quanto accaduto a questa giovane donna è gravissimo ed è venuto meno il principio dell’assistenza sanitaria garantita dalla Costituzione; oggi stesso Sel ha presentato un ordine del giorno per garantire a tutte le donne la libertà di scelta in tema di IVG (interruzione volontaria di gravidanza) e ci impegneremo affinchè la Regione si faccia garante dei contenuti della legge 194/78 e crei un’apposita commissione di controllo e verifica”

Con la proposta presentata in Regione Liguria “si impegna il Presidente Burlando e la giunta regionale a garantire una presenza di almeno il 50% di personale non obbiettore nelle strutture sanitarie liguri, consultori compresi, e a costituire una Commissione consiliare di controllo e verifica”.

“La questione dell’alto tasso di obiezione di coscienza per l’aborto tra il personale sanitario è una questione che va risolta in fretta”, prosegue Benzi: “Ad oggi la situazione è preoccupante: quasi tre ginecologi su quattro, negli ospedali liguri, si rifiutano di praticare l’interruzione volontaria di gravidanza. E il ricorso all’obiezione di coscienza – come riportato anche da una recente relazione del ministero della Salute – è sempre più diffuso anche tra anestesisti e personale non medico. Secondo gli ultimi dati ufficiali, i ginecologi obiettori sono il 66,9% del totale, gli anestesisti il 35% e il personale non medico il 20,7%”.

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“Percentuali che pregiudicano l’accesso al servizio da parte delle pazienti. La possibilità di obiezione è prevista dall’art.9 della legge 194/78. Lo stesso articolo, però, impone agli enti ospedalieri di assicurare l’effettuazione degli interventi di ivg e alle Regioni di controllarne l’attuazione attraverso la mobilità del personale. Inoltre secondo i dati di forniti dalla Fiapac, Federazione Internazionale degli operatori di aborto e contraccezione, entro tre anni ci sarà un ulteriore crollo del medici non obbiettori, la maggior parte dei quali ha oggi tra i 50 e i 60 anni. È quindi necessario che la Regione Liguria intervenga immediatamente”.

Sulla questione è intervenuto anche Matteo Rossi, assessore e consigliere regionale Sel. “Quello che è accaduto al Ist-San Martino di Genova sabato scorso conferma quanto sia necessaria un’attenta vigilanza affinché sia garantito a tutti il diritto ad abortire in maniera sicura e controllata. Negli ospedali liguri, in base ai dati forniti dalle Asl e a quelli del ministero della Salute, quasi tre ginecologi su quattro si rifiutano di praticare l’interruzione volontaria. Una scelta che viene seguita, sempre di più anche da anestesisti e personale paramedico”.

«È necessario – spiega Matteo Rossi, assessore e consigliere regionale Sel – che chi è responsabile della programmazione della rete sanitaria ospedaliera pubblica vigili affinché l’obiezione di coscienza non diventi un ostacolo al diritto all’aborto, sancito dalla legge 194 del 1978 e che, a distanza di trentasei anni, rischia di essere messo in discussione dallo stato degli eventi. In questo caso una 19enne ha atteso per ore che un medico portasse a termine l’iter di Ivg, ed è stato necessario l’intervento della Polizia perché ciò accadesse. Come capogruppo di Sel mi ero è occupato del tema già un anno fa, presentando un ordine del giorno che qualcuno non sottoscrisse, in parte per ragioni ideologiche. La vicenda di cronaca di questi giorni e l’indagine interna avviata nel reparto di Ginecologia del Ist-San Martino ci dicono che avevamo ragione. Sappiamo che anche a Genova è tutt’altro che debellato il fenomeno degli aborti clandestini, alimentato dalla difficoltà per una certa fascia di popolazione di accedere alle prestazioni del sistema pubblico (a causa delle lunghe attese) e dal non potersi permettere un ricovero in strutture private. Tutto questo è inaccettabile in un  sistema sanitario pubblico».