Amico libro

libro mondo

di Carlo Linati — Rileggo il Saggio di Montaigne sui libri e finito che l’ho, ripenso al tempo presente. Mio Dio, che diversa funzione hanno oggi i libri nella nostra vita, da quella che avevano ai suoi giorni e nelle mani di un tanto uomo.

Je n’y cherche que la science qui tracte de la connoissance de moy mesme et m’istruise à bien mourir et à bien vivre. Chi oggi legge più un libro con quell’intento? Ben vivere, lo sappiamo che vuol dire, oggi: bruciare le tappe, sgobbare e godere alla disperata. E quanto al ben morire, faccia Dio che questo avvenga il più tardi possibile.

Evidentemente, dunque, quello che formava un tempo il nutrimento di un libro, il suo midollo, questa profonda scienza del vivere e del morire, sono interamente perduti, volatizzati via sulle strade dei secoli. Lo scopo per cui si legge, oggi, è soprattutto divertirsi, scacciar cure e fastidi da una testa che n’è fin troppo pesa.

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Occorre dire che anche qui, come in tutte le istituzioni umane, si osserva una legge: che la frequenza ha ucciso l’eccellenza. Milioni di libri che dall’epoca di Gutenberg hanno invaso il mondo e l’arte dello scrivere ridotta in mano di chiunque possegga una penna stilografica han fatto sì che una tal merce si sia venuta sempre più deteriorando, svalutando, sino a diventare una specie di pestifera paccottiglia, da cui il mondo vorrebbe pur liberarsi.

Un’altra degenerazione che va subendo il libro è quella del libro diventato unicamente oggetto di lusso e di bellezza. E questa mi par tendenza la quale appunto perché arricchisce la materia del libro, mira a svuotarlo del suo spirito. Conoscerete il mondo dei bibliofili che fanno del libro unicamente un argomento di ricerca e di curiosità, senza minimamente preoccuparsi del suo contenuto: e avrete osservato in tutte le ricche famiglie borghesi quelle magnifiche biblioteche nelle quali fanno sfoggio le più costose e rare edizioni di classici e di moderni, con le rilegature più sopraffini, le incisioni e i tipi più eleganti. Oggi è di prammatica in casa borghese una ricca biblioteca. Il padron di casa ve la suol mostrare con orgoglio, come il pezzo più importante del suo arredamento.

«Guardatemi quest’Aretino del 700, in carta pergamena, con tavole fuori testo che bellezza!… Oh poi, poi, ho qui tutta la Pleiade: venti volumi. M’è costato un occhio della testa…». Poi vi mostrerà tutti i Numerotées di Gide e di Valery… È proprio in quel momento ch’io vorrei chiedergli a bruciapelo: – Ma, scusate, voi li avete letti questi libri? Nel quale caso son certo che mi risponderebbe che li ha appena sfogliati. Ma neanche quello ha fatto, perché la maggior parte sono intonsi.

In conclusione quei libri son lí soltanto per far figura, al posto del paravento o del panneggio o del quadro, o per mascherare una parete, o nella miglior ipotesi, per dare un bel tono spirituale alla casa. Poi c’è l’immobilizzo del capitale: ché quadri, gioielli e libri par servano benissimo a questo scopo.

Io confesso che non so amare un libro che per il suo contenuto o per la sua intensità d’arte e di pensiero, e che dei libri belli non m’importa proprio niente. Anzi più i libri sono sfogliati, scartabellati, macchiati e postillati più mi son cari, più vi annuso l’odor della mente che se li è fatti propri e ne ha cavato virtù, pensiero e umanità. E più le edizioni son modeste più mi vanno a pennello. Giacché i libri mi piace portarmeli dietro e che sieno maneggevoli come i breviari, e potermi nutrir di loro in ogni occasione. Soprattutto ne amo pochi e sien sempre quelli. Mi pare che un po’ di Shakespeare, un Pascal, un Montaigne, un Dante, un Leopardi e un Sofocle possano fornire un bagaglio sufficiente per il più esigente letterato.

Penetrato in tutti gli strati sociali, avidamente sfogliato da una massa sempre crescente di persone per un’isterica necessità d’istruzione o di svago, mentre satura di sé ogni angolo del panorama cittadino, il libro ha perduto qualunque supremazia o decisivo influsso sullo spirito dell’uomo e sulle sue direttive morali; è diventato in conclusione poco più di un passeggero e piacevole balocco. La sua storica missione sta finendo in una specie di orgia cartacea e di turbine tipografico. E basta, per accertarsene, osservare le bancherelle sulle quali, agli angoli delle strade, si rovesciano giornalmente quintali di libri d’ogni genere, che vengon poi scartabellati dalle mani distratte di cento passanti. Che faccia farebbero Lucrezio e Catullo se si abbattessero a passare da quelle parti!

Non vogliamo negare però che quando un libro è onesto, un vivo sedimento di pensieri e d’emozioni lo lascia nell’animo dei lettori. Come parole mormorate all’orecchio da un amico prudente, il libro può operare ed agire su una coscienza sensibile, come un buon farmaco.

L’Età Moderna ha un po’ l’aria di sopportarli, di compatirli. «Sí, ci stieno pur anche loro, dice, ma non si prendano tutte quelle libertà che si pigliavano una volta, che non si mettano in mente di governare il mondo con le loro chiacchiere: ma se ne stieno lí bonini, a paro a paro con l’altre opere dell’uomo: le salumerie, i tabacchi, i trams. Solo cosí noi tollereremo questa loro petulante genia».

E, naturalmente, i libri, per evitar di peggio, si sono rassegnati. Però avendo perduto il loro dominio sulle anime, si son fatti forti a sbraitare in molti. Cosicché se nell’antichità classica bastò l’Ipse dixit ad alimentare lo spirito dei sapienti, oggi non bastano milioni e milioni di libri a sfamare la voracità delle moltitudini.

Quando mi trovo in una biblioteca e mi guardo attorno e osservo l’immensa congerie dei libri che mi circondano, scuoto la testa e dico: «Avete pur servito così poco, amici miei, a render l’uomo migliore! Si direbbe anzi che a furia di popolargli il cervello di fantasmi l’avete reso arido, questo poveraccio, smanioso e falotico, e, infine, malvagio contro sé e contro altri. Perché si son scritti tanti libri allora? E perché tanti ancora se ne scriveranno?

È pur una dannazione questa che quando un uomo incomincia a scrivere libri non l’abbia a smettere che con la morte. Irresistibile impulso ad esprimersi? desiderio di notorietà? guadagno? illusione di mutar testa alla gente? Abitudine? gioco? Ecco, l’hai detta: «gioco».

Una delle gioie più pure, più colme di divino appagamento, è pur quella dell’amatore di libri che scovato dopo lunghe ricerche un vecchio in-quarto se lo va sfogliando beatamente seduto in una poltrona di casa sua, accanto al fuoco, sotto la lampada, fumando la sua pipa. Credo che nessun profumo al mondo dei più squisiti valga per lui l’odor di vecchiume che esalano quelle povere pagine ingiallite ed erose, che nessun contatto umano, anche il più erotico, varrebbe a supplire in lui la deliziosa vibrazione che egli prova nell’approdare, attraverso il suo libercolo, alle spiagge di quel caro mondo antico dal quale esso è emerso come un naufrago, ancor tutto sapido e caldo dell’aroma della sua grandezza.

Lo contempla, se lo rigira voluttuosamente fra le mani, osserva con la lente i caratteri, la carta le vecchie postille di qualche ignoto pedante, guarda l’anno, la tipografia, le piccole incisioni: poi legge, e a poco a poco s’immerge e sprofonda nella fidata, immota esistenza dei secoli… Abolito il tempo, l’uomo è felice.

di Carlo Linati, “Amico libro”, in Id., Decadenza del vizio e altri pretesti, Milano, Bompiani, 1941