La trinità aniconica del Battistero di Albenga

Nel mosaico di Albenga, a parte per la croce gemmata, che denuncia con la sua presenza l’appartenenza ad un secolo più tardivo, viene fatta la consapevole scelta di utilizzare un’iconografia che ci riporta alla purezza delle origini del culto cristiano

Trinità aniconica del Battistero di Albenga V-VI secolo

di Barbara Simari | Albingaunum ha una storia antica e interessante, eppure questa storia suscita poco interesse. I visitatori si recano in questi luoghi per godere delle spiagge e spesso sono le località marittime limitrofe ad avere maggior successo. Così, di quel che resta dell’antico splendore di Albenga importa veramente a pochi e il suo prestigio storico soccombe sotto la dolce melodia dell’infrangersi delle onde.

Eppure, all’ombra della torre del comune e del campanile della cattedrale di San Michele ancora sopravvive l’unica testimonianza di arte paleocristiana della Liguria: Il battistero. Questo splendido monumento, nonostante i rimaneggiamenti, si conserva nella sua architettura originale del V secolo – VI secolo. Per molto tempo si è pensato essere stato costruito dall’imperatore Costanzo III e sua moglie Galla Placidia ma pare che, invece, sia stato eretto successivamente al tempo di Odoacre e Teodorico.

Caratterizza il battistero una nicchia mosaicata con una trinità aniconica. Questa assenza di immagini antropomorfe la rende, al nostro occhio moderno, piuttosto atipica. Non compare nessun uomo barbuto nelle vesti del padre, nessun giovane uomo a rappresentare Gesù e di colombe, alias lo spirito santo, ce ne sono fin troppe.

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La trinità di Albenga si presenta invece come un Chi Rho accompagnato dalle lettere alfa e omega, ripetuta tre volte in cerchi concentrici dai colori degradanti, contorniati da dodici colombe. Compaiono rami d’alloro e sotto l’arco, un po’ più nascosta, anche una piccola ancora. Infine, una croce gemmata tra due agnelli. Il Chi Rho sarebbe composto dalle prime due lettere intrecciate della parola Christos, ovvero Cristo in greco. Questo simbolo venne adottato dai cristiani del IV secolo e da Costantino come simbolo cristiano per eccellenza.

Trinità aniconica del Battistero di Albenga V-VI secolo
Trinità aniconica del Battistero di Albenga, V-VI secolo

Perché non rappresentavano la croce come facciamo noi? Il culto della croce esisteva eccome, ma all’inizio si preferì non utilizzarla come simbolo ufficiale, per il semplice motivo che la croce era un simbolo di tortura e nel mondo romano era visto come un oggetto disgustoso e poco virtuoso.

Per farla breve è come se nel vessillo di una nuova religione mettessimo due manette e un manganello, sarebbe quantomeno un po’ strano. Infatti, la croce veniva anche usata dai pagani per prendersi gioco dei cristiani, come suggerito da questo famoso graffito del 200 d.C. trovato nel Paedagogium sul colle Palatino di Roma, in cui Alexamenos viene preso in giro perché adora un asino che si è fatto crocifiggere.

Vignetta trovata sul Palatino a Roma 200 dC

L’alfa e l’omega sono la prima ed ultima lettera dell’alfabeto greco, indicherebbero dunque l’eternità di Dio, il suo essere inizio e fine di tutto, concetto ribadito dal cerchio che non inizia e non finisce. Il tutto ripetuto tre volte a simboleggiare le tre persone della trinità: il padre, il figlio e lo spirito santo.

Le dodici colombe sarebbero gli apostoli, che sono stati spesso rappresentati in forme zoomorfe di colombe o agnelli. L’agnello è anche il simbolo di Cristo e del suo sacrificio, l’ancora è simbolo di salvezza, la palma o l’alloro sono simbolo di martirio e del trionfo sulla morte.

Basta fare un giro nelle catacombe per incontrare questi simboli e rendersi conto che venivano utilizzati dai primi cristiani.

I motivi per cui i primi cristiani si esprimevano con simboli, piuttosto che con immagini complesse, era perché volevano distinguersi dai pagani, che di immagini ne facevano largo uso e per il passo dell’Esodo interpretato come proibizione a raffigurare Dio: “Non avrai altro Dio all’infuori di me. Non fabbricare nessun idolo e non farti nessuna immagine di quello che è in cielo, sulla terra o nelle acque sotto la terra”.

Le cose cambiano, successivamente, quando anche i pagani si convertono e portano i loro costumi iconografici in ambito cristiano. Molti temi pagani, come l’Orfeo, vengono risemantizzati ed interpretati in chiave cristiana.

Nel mosaico di Albenga, a parte per la croce gemmata, che denuncia con la sua presenza l’appartenenza ad un secolo più tardivo, viene fatta la consapevole scelta di utilizzare un’iconografia che ci riporta alla purezza delle origini del culto cristiano.

Questa specifica scelta serve a contrastare la crisi che si stava affrontando nel V secolo. Un secolo complicato, in cui oltre ai conflitti e alle invasioni barbariche, che di lì a poco porteranno al crollo dell’impero romano d’occidente, erano presenti le eresie. Le eresie erano dottrine alternative a quella ufficialmente riconosciuta ed erano all’origine di spaccature profonde all’interno della chiesa.

La prima dottrina ad essere stata condannata fu quella di Ario, che predicava la natura umana di Cristo piuttosto che quella divina e umana insieme. Venne condannata nel 325 al concilio di Nicea. Ma le eresie erano molte e l’arianesimo in particolare, anche se condannato, continuò ad essere professato soprattutto dalle popolazioni barbariche.

Per questa ragione, a volte, si parla di arte ariana e antiariana ma francamente non credo sia una definizione validabile, visto che, le stesse iconografie sono spesso usate da entrambi i lati. Basterebbe confrontare il battistero degli ariani con quello degli ortodossi di Ravenna per vedere che non esiste differenza.

Tornando ad Albenga, mi sembra chiaro che la decorazione del battistero si ispiri a quella dei cristiani dei primi secoli, in particolare quelli del II e III secolo. Quando i cristiani avevano ben altri problemi di sopravvivenza e non pensavano a scannarsi tra loro per questioni di lana caprina. Quando la comunità cristiana era la vera chiesa.

Ed è quella antica unità che i regnanti del periodo vogliono richiamare. Regnanti che, spesso, si trovano ad affrontare dei conflitti, che diventano delle vere e proprie guerre religiose.

Insomma, lo scopo della nicchia di Albenga, così come di altre decorazioni del periodo, è il disperato tentativo di tenere unito un impero sgretolato, che di lì a poco sarebbe caduto: nel 476 Romolo Augusto venne deposto ponendo fine all’impero romano d’occidente.