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di Claudio Nassisi, Dottore Commercialista e Phd in economia e socio Aidr | Con un messaggio inviato a oltre 2 miliardi di utenti, WhatsApp ha comunicato lโaggiornamento dei propri termini e lโinformativa sulla propria politica riguardo la privacy.
Lโavviso ha avuto un significativo e forse inaspettato impatto tanto che si รจ avviato un esodo massivo verso altre applicazioni di messaggistica. In primis Signal e Telegram (questโultimo nel solo mese di gennaio ha avuto un incremento di 90 milioni di iscritti).
Tenuto conto del pericoloso trend, la scadenza รจ stata prontamente spostata dallโ8 febbraio al 15 maggio 2021.
Per capire lโesigenza reale che si cela dietro questa iniziativa รจ bene precisare che nel febbraio del 2014 Facebook ha acquisito WhatsApp nellโintenzione di sfruttarne le enormi potenzialitร e di far gravitare ogni utilizzatore nellโambito delle proprie aziende.
Ognuno di noi si รจ interrogato almeno una volta sullโuso che viene fatto dei propri dati personali e sui soggetti che effettivamente ne hanno accesso. Un altro dubbio piรน che legittimo รจ se i nostri dati personali hanno un valore economico per il loro utilizzo da parte di terzi.
Considerando che nel 2017, negli Stati Uniti, i proventi pubblicitari sono stati pari a circa 83 miliardi di dollari per 287 milioni di utenti attivi, il โvalore di mercatoโ annuale dellโutente medio per gli operatori commerciali รจ stato di 300 dollari.
In sostanza, tralasciando in questa sede la questione dei prezzi richiesti sul dark web per acquistare informazioni illecitamente raccolte mediante tecniche di raggiro, รจ pacifico sostenere che le informazioni personali hanno un chiaro valore economico tanto che diventano oggetto di specifica attivitร da parte di alcuni operatori specializzati: i data broker. Questi soggetti comprano le informazioni personali, oppure le raccolgono dai vari canali, li analizzano per rivenderli come una qualsiasi materia prima da riutilizzare.
I cittadini europei possono considerarsi protetti dal GDPR (General Data Protection Regulation) del 2018, ovvero il Regolamento Ue 2016/679 relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento e alla libera circolazione dei dati personali.
Al di fuori del perimetro dellโUnione europea, il messaggio che WhatsApp ha inviato ai propri iscritti riguarda la condivisione dei dati al fine di una maggiore personalizzazione degli avvisi pubblicitari (proposti di volta in volta in maniera pressochรฉ โsartorialeโ).
Si puรฒ quindi sdoganare lโidea di una crescente e inesorabile โpatrimonializzazioneโ dei dati.
In accordo con questa idea si segnala la recente sentenza n. 261 del 10 gennaio 2020 con la quale il Tar Lazio โ Sede di Roma ha in parte confermato la sanzione irrogata dallโAutoritร Garante per la Concorrenza ed il Mercato a Facebook per avere adottato una pratica commerciale ritenuta โingannevoleโ.
Il giudice ha sostanzialmente smentito lโassunto promosso dal famoso social network secondo cui, per i dati personali, non sussisterebbe alcun corrispettivo patrimoniale e conseguentemente un interesse economico dei consumatori da tutelare.
ร quindi indispensabile che gli operatori rispettino, nelle relative transazioni commerciali, quegli obblighi di chiarezza, completezza e non ingannevolezza delle informazioni previsti dalla legislazione a protezione del consumatore qualora questโultimo decida di utilizzare un qualsiasi servizio digitale.