Intervista a Sergio Pennavaria

Domani sera a Laigueglia, si tiene il terzo appuntamento con l’interessante manifestazione “Queste piazze davanti al mare”. Nell’ambito della serata “Il Tenco ascolta”, si esibirà il cantautore savonese di adozione Sergio Pennavaria.


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Abbiamo rivolto alcune domande a Sergio ad alcuni mesi dall’uscita del suo nuovo disco “Ho più di un amo nello stomaco”, che sta avendo un buon riscontro di critica:

In questo tuo nuovo disco si sente un profondo scavo interiore, ci vuoi raccontare come nasce? Nacque prima dalla necessità direi fisiologica di rifugiarmi nella composizione, per il semplice scopo di curarmi alcune ferite rimaste aperte per anni. Poi, per la voglia di allontanarmi da quel personaggio legato a “Senza Lume A Casaccio Nell’oscurità” che ai tempi del concepimento di “Ho più di un amo nello stomaco”, trovai fuori contesto, subentrò in me il desiderio di non arrivare più agli altri urlando o per mezzo della follia e da subito, pensai di cambiare i riferimenti metaforici e l’uso del simbolismo cinematografico e pittorico dei quali mi servo quando scrivo i testi. Per fare un esempio è come se ad un tratto fossi passato dal cinema surreale, satirico e grottesco di Emir Kusturica al surrealismo malinconico, onirico ed accattivante di Federico Fellini. Un ritornare indietro nel tempo, quasi come a voler dimostrare tutto quanto il mio dissenso riguardo la direzione verso la quale la composizione di canzoni sta andando. Ho voluto raccontare in quest’ultimo album il parallelismo e l’affinità che ho riscontrato tra la profondità malinconica del mare  e quella dell’anima. Durante il concept riemergo solo poche volte, giusto per ricaricarmi di ossigeno, nuvole e cielo.

Mi sembra che emerga anche una componente teatrale nella scrittura e nell’esposizione dei testi, sei d’accordo? Il teatro, chiaramente sempre nell’ambito amatoriale, l’ho frequentato ed amato sin dalla giovane età. All’età di undici anni ebbi la fortuna di ritrovarmi al cospetto di un’insegnante di italiano appassionata di teatro, che riuscì ad avviare un corso di recitazione triennale nell’ambito didattico scolastico. Per tre anni presi lezioni di recitazione da attori professionisti del Teatro Stabile di Catania. Per tre anni studiammo e poi interpretammo con i compagni di classe di allora, personaggi delle rispettive opere di Molière : “Monsieur de Pourceaugnac”, “Il malato immaginario” e “L’Avaro”. Successivamente, intorno ai 20 anni, una breve parentesi con il Cabaret per poi verso i 25, età che coincide con l’iscrizione presso l’Accademia di Belle Arti, sono passato ad un teatro impegnato, sociale con riferimenti al già noto Teatro dell’Assurdo, tanto da spingermi poi a scrivere e discutere una tesi di laurea dal titolo “La maschera del volto”. Credo di aver risposto in maniera dettagliata alla tua domanda. Se hai riscontrato riferimenti al mondo del teatro, si, ci sono e non per mia scelta, ma per un processo oggi assolutamente naturale, derivante da un’esperienza vissuta sul campo.

I musicisti formano una vera all star band della scena savonese, e non solo, ci parli un po’ di loro? Parlare dettagliatamente di tutti i musicisti che hanno partecipato all’album significherebbe non limitarmi solo ad una semplice intervista, dato che ognuno di loro ha una formazione ed una personalità talmente ricca di sfumature, che richiederebbe la stesura di un manoscritto. Basta quindi, vista la bravura ed il prestigio dei quali sono pregni, citare i loro nomi e questo vale naturalmente anche per gli ospiti presenti nel CD. La band è composta da Lorenzo Piccone alle chitarre, Max Matis al basso elettrico, Martino Biancheri alla tromba, trombone, bombardino, Marco Moro al flauto traverso, Simone Rossetti Bazzaroviolino, viola, Giorgio Bellia batteria e aiuto mixer. Gli ospiti: Finaz(in Rebus) che tutti conosciamo come il grande chitarrista dellaBandabardò, Marco Berruti (chitarra classica e voce Nel mondo senzatempo), Davide Geddo (voce in L’amore invisibile) Loris Lombardo (congas, tabla, hang, rispettivamente in Un cuore sul viso, Ho più di un amo nello stomaco, Bufera), Matteo Profetto (armonica a bocca, ukulele in Il tappeto volante, Due parti precise di me), Gabriele Fioritti (violoncello in L’amore invisibile, Dove nasce la libertà), Giovanni Ruffino (contrabbasso in L’amore nell’armadio, Dove nasce la libertà, L’amore invisibile), Mirco Rebaudo (clarinetto in Il palamito), Luca Pino (baritono intro Nel mondo senza tempo). Tutti grandi professionisti che grazie al loro talento e alla preziosa disponibilità dimostratami, hanno arrecato grazia e sapienza alle mie canzoni.

Gli arrangiamenti sono molto ricchi e raffinati, li ho apprezzati molto, in tanta musica di oggi al contrario sento troppi suoni standardizzati e troppo puliti, cosa ne pensi? Penso che il lavoro in studio come l’ho concepito io per questo album, appartenga ad una corrente di pensiero distante da quella più rivolta all’effetto che al processo, all’evoluzione. In sintesi, a me un disco piace vederlo nascere ma anche crescere nei tempi che richiederà la sua formazione completa, lo sviluppo finale, la maturità in sintonia con uno scrupoloso equilibrio. Per questo amo collaborare con musicisti che reputo oltre che dei meravigliosi artisti anche minuziosi artigiani. Non ho un bellissimo rapporto con la tecnologia e l’elettronica e forse perché non riesco a far rientrare questo mondo fatto di congegni e pulsanti, nel mio piccolo giardino di limoni ed aranci che suona di zagara e gelsomino.

Una canzone è in siciliano, vivi da molto in Liguria ma sei sempre molto legato alla tua terra d’origine… La canzone alla quale ti riferisci è Bufera, scritta in dialetto siciliano ed inserita in quest’ultimo album, per seguire una sorta di ritualità.
La stessa cosa accadde per il brano Calìa  in Senza Lume A Casaccio Nell’oscurità. La scelta di inserire un brano scritto in dialetto tra le dodici tracce, oltre ad avere un significato affettivo nei confronti della mia bella ed importante Sicilia, verte verso quel parallelismo dove la metafora ed il simbolismo raccontano di una bufera sentimentale legata ad una relazione difficile ma allo stesso tempo sublime. Per raccontare questa storia in canzone, mi accorsi che il tutto, da subito mi si presentò con scenari, visione e pensieri legati alla mia esistenza ventennale siciliana. Credo che per esprimere emozioni, descrivere scenari, paesaggi, il dialetto siciliano sia perfetto, perché è pregno di immagini e gode, grazie ad una ricca simbologia, del privilegio della sintesi, che come sappiamo, nel momento in cui si voglia restare nei quattro minuti di una canzone, diventa fondamentale.

Una canzone secondo te può essere poesia, letteratura, o è qualcos’altro ancora? Secondo me una canzone di certo può essere qualunque cosa abbia a che fare con la lingua scritta e nel caso specifico espressa con l’interpretazione canora. Dipende chiaramente dall’artista ma soprattutto dal bagaglio culturale e di esperienze di questo. La canzone può essere poesia soltanto se la si affronta poeticamente e per riuscire in questo a mio avviso, devi nascere con una certa inclinazione ad affrontare la vita poeticamente. Mi riferisco alla relazione che instauri con il mondo, le cose, le persone. Una canzone può rappresentare e raccontare, può essere teatro e letteratura. Un gioco ma anche un impegno molto serio. Il giudizio universale michelangiolesco sembra volerci ricordare l’incontro tra testo e musica ed il canto diventa
inesorabilmente il pittore e la sua mano.

Hai anche un attività di organizzatore di concerti, con tutte ledifficoltà che comporta, ce ne vuoi parlare? Quattro anni fa mi venne in mente di dar vita a due rassegne cantautorali: “Canzoni Fuori Dal Cappello” e “Porto Musica e Parole”. Il primo anno mi dedicai a Canzoni Fuori Dal Cappello che partì in Maggio per poi terminare a Settembre, solo per quell’anno la location fu il Re Mescio ad Albisola marina. L’intento fu quello di creare una rete di scambio con cantautori di tutta Italia per creare un’alternativa promozionale, utilizzando la formula “Io ti faccio conoscere qui, tu proponi me ed altri cantautori nella tua zona di provenienza”, formula che ammetto non fu efficace, perché solo un paio di artisti ricambiarono il favore.
L’idea voleva essere quella di scavalcare le agenzie booking che normalmente si fan pagare fior di quattrini. Chiaro pure che il desiderio mio fu quello di portare il cantautorato in zona con il fine di educare il più possibile il pubblico all’ascolto di questo genere. La risposta del pubblico fu immediata, partecipando in maniera molto rispettosa (cosa parecchio difficile in un locale). Successivamente ho trasferito la rassegna nella darsena di Savona e precisamente nel locale Extraomnes ai tempi ancora Fuoritutti, dove però grazie al sostegno economico e passionale di Massimo Veronesi e Raffaella Capraro la rassegna si strutturò e concretizzò in maniera più dettagliata e professionale, tanto da diventare nota a livello nazionale. Stessa cosa accadde per Porto Musica e Parole che ereditata la partecipazione del pubblico soddisfatto già della precedente rassegna, fece rientrare  questa seconda, come appuntamento fisso ed imperdibile durante la settimana. Il giovedí a Savona divenne presto, l’appuntamento artistico dedicato al cantautorato e presto iniziò ad arrivare pubblico anche da altre regioni. Più di 50 artisti arrivati da tutta Italia e tutti con alle spalle esperienze e riconoscimenti importanti, il meglio del cantautorato libero ed indipendente in circolazione su tutto il territorio nazionale. Le due rassegne sin da subito coinvolsero altri linguaggi artistici, come  grafica, illustrazione, pittura, poesia e letteratura, insomma  una gran bella soddisfazione per me, gli artisti, il marchio Extraomnes e naturalmente per la regione Liguria.

I social: prezioso alleato o portatore di confusione per chi si cimenta nel mondo della musica e della cultura? Credo che i social facciano tanto bene alla musica, perché comunque sono uno strumento che ti permettono di arrivare agli altri in maniera immediata ed inoltre puoi gestire il tutto in prima persona. Come dicevo prima, il mio rapporto con la tecnologia è parecchio conflittuale anche se non posso negare d’esserci cascato pure io. In linea di massima trovo che i social siano comunque un’opportunità ulteriore per chi vuol promuovere un progetto. Il mio disco sta avendo un buon riscontro: interviste a Radio RAI 1 Isoradio RAI intervistato da Ida Guglielmotti, Radio RAI 1 Sat list intervistato da Ugo Coccia, Radio RAI 1 Un giorno da gambero intervistato da Duccio Pasqua e Marcella Sullo, Radio Elettrica intervistato da Giampaolo Castaldo, Radio Città Aperta intervistato da Alessandro Sgritta, Recensione di Michele Neri di Ho più di un amo nello stomaco per la rivista musicale bimestrale Vinile. Convocato direttamente dal Club Tenco e Massimo Schiavon per presentare a Laigueglia alcuni brani dell’album nella rassegna Il Tenco Ascolta.

*Foto di Alberto Marchetti (primo piano live) e Max Billìa