Referendum, Cociancich: “I veri risparmi sono controllo spesa regionale”

Referendum – Intervista a  Roberto Cociancich, senatore del Pd e membro delle commissioni Affari Costituzionali e Politiche Europee del Senato |

di Dario Tiengo  – Roberto Cociancich, senatore del Pd e membro delle commissioni Affari Costituzionali e Politiche Europee del Senato, ha molto a cuore questa riforma. È suo l’emendamento che un anno fa permise di sbloccare la situazione in aula facendo arrivare la riforma all’approvazione. Cociancich sta seguendo il cammino della riforma portandone i contenuti in Italia oltre che nelle comunità italiane all’estero, che parteciperanno alla votazione del 4 dicembre. Tra un viaggio e l’altro, tribunapoliticaweb lo ha sentito proprio su questi temi.


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Senatore Cociancich sta viaggiando molto per questo referendum. Chi ha incontrato?

Ho incontrato molte comunità di Italiani all’estero. Dalla Svizzera, agli Stati Uniti, dal Canada al Regno Unito. Ci sono numerose comunità italiane all’estero che votano e che hanno chiesto di essere messe al corrente dei contenuti che riguardano il referendum. Con alcuni colleghi stiamo cercando di spiegare cosa dice la riforma.

Quali sono state le reazioni dei nostri connazionali alle presentazioni che ha fatto?

Ci sono grandi interessi e aspettativa. Il fatto che l’Italia conquisti maggiore credibilità all’estero si riflette immediatamente sulla loro stessa posizione sociale e lavorativa. E’ un problema molto sentito perché, purtroppo, a causa di problemi legati al passato – come la cattiva leadership o anche la cattiva rappresentazione di quello che era il governo italiano – l’Italia non gode di considerazione adeguata.

Il fatto che il nostro Paese abbia intrapreso un cammino di riforme viene visto positivamente. Il cammino iniziato dovrebbe contribuire a sciogliere alcuni nodi di tipo strutturale sull’organizzazione dello Stato, sulla burocrazia, sugli aspetti economici. Tutto questo fa crescere la speranza che l’atteggiamento nei confronti del nostro Paese possa mutare. In parte è già avvenuto. Basta guardare alla cena alla Casa Bianca con Obama. A volte si sottovaluta l’impatto che questo tipo di riconoscimenti ha sulle comunità all’estero. Invece è molto importante.

Quale comunità ha reagito in modo più positivo?

Sono sempre stato accolto in modo molto accogliente e cordiale da parte delle comunità italiane. Non me la sento di fare classifiche. Devo sottolineare, poi, la grandissima attenzione, dovuta anche alla conoscenza dei temi. Molti Italiani seguono le trasmissioni televisive e i dibattiti

Anche se i dibattiti televisivi a volte non aiutano a capire…

È vero. Succede quando diventano bagarre, quando ci si limita alle frasi fatte… Da parte mia cerco sempre di entrare nel merito della riforma. Oggi noi andiamo a votare non sul Governo Renzi, sulle varie politiche, a partire dal jobs act. Bisogna votare su questioni che riguardano la costituzione, le regole. E’ qualcosa di molto diverso. C’è chi vuole trasformare questo dibattito in un’occasione per cambiare il Governo. Noi in realtà vogliamo cambiare l’Italia: mi pare un’ambizione diversa.

Lei è stato nel Regno Unito. Oltre a referendum, avrà parlato anche della loro situazione. Come vivono la Brexit gli Italiani?

Con molta preoccupazione, ansia e incertezza su quanto può accadere, soprattutto alle giovani generazioni. L’immigrazione italiana nel Regno Unito che ho incontrato è composta da giovani professionisti, persone che hanno studiato in Italia e poi sono andate a completare la formazione all’estero e, magari, sono rimaste lì per lavorare. Non è la stessa immigrazione che c’è negli Stati Uniti, dove la comunità italiana è radicata da più generazioni. Nel Regno Unito siamo molto spesso alla prima generazione e quindi tutti guardano a cosa succederà con l’avvio formale della pratica di “divorzio” da parte della premier May. Per quanto riguarda il nostro referendum, c’è preoccupazione che anche in Italia possa succedere la stessa cosa che è si è verificata nel Regno Unito e cioè che alcuni vadano a votare senza rendersi conto di quello che veramente votano.

In Italia si è formato un fronte trasversale che definisce la riforma “autoritaria”. Berlusconi afferma che la riforma crea un regime e rilancia il presidenzialismo. Che cosa ne pensa?

Berlusconi dovrebbe mettersi d’accordo con se stesso. Il presidenzialismo è il sistema dato il quale se il Capo dell’esecutivo si stanca del Parlamento lo manda a casa, mentre la proposta che facciamo noi è di un Governo parlamentare. Se il Parlamento si stanca del Capo del Governo, lo manda a casa. Berlusconi fa confusione e forse non si rende conto che il modello che egli propose alcuni anni fa è molto più autoritario di quello che oggi noi abbiamo messo in campo.

Ad esempio…

Nella riforma è presente una forte valorizzazione delle rappresentanze regionali che saranno quelle che compongono il Senato, così che tante materie saranno sottratte alla competenza del Governo. Tutte le materie di competenza del Senato sottraggono al Governo la possibilità di imporre la propria volontà con il voto di fiducia. Come si fa a non vedere questi elementi? Mi pare che in certi schieramenti il tratto comune sia confondere le acque e fare manipolazione.

Anche sui risparmi c’è un grande dibattito: si gioca su 50 mln o 500 mln. Qual’è la verità?

La verità è che, innanzitutto, si mette sotto controllo la spesa regionale, che oggi è la principale fonte di spesa pubblica che abbiamo. Al netto della spesa per la previdenza, il 55% della spesa pubblica è fatta dalle Regioni, in grande parte per la sanità. Questa riforma mette sotto controllo – attraverso strumenti adeguati – la spesa regionale. Ci sono regioni virtuose, altre che non lo sono affatto: abbiamo regioni che spendono tre volte quanto producono, altre che spendono il 70%. Così non può funzionare. I veri risparmi passano attraverso l’introduzione dei costi standard, la possibilità di revocare gli amministratori che hanno i bilanci in dissesto nelle proprie Regioni, la possibilità di ampliare o ridurre l’autonomia legislativa delle regioni, a seconda che abbiano o no i conti in ordine. Questo è il primo grande risparmio, poi ci sono l’abolizione delle province, l’abolizione del Cnel, poi c’è l’abolizione degli stipendi dei consiglieri regionali, dei contributi ai gruppi consigliari regionali. Non stiamo parlando soltanto dell’abolizione dello stipendio dei senatori ma di punti molto più importanti. Anche la maggior chiarezza tra competenze dello Stato centrale e regionali porta con sé una serie di risparmi che si riveleranno molto consistenti.

Per ultimo: se vince il sì cosa cambia nel Pd?

Nel Pd ci sarà maggior chiarezza, dato che c’è una leadership che ha saputo interpretare nel fondo i sentimenti del Paese.

E la minoranza?

Io sono per un partito plurale. Mi piacerebbe, però, ci fosse anche rispetto per la maggioranza. Noi abbiamo dimostrato di avere rispetto per la minoranza. Nelle dichiarazione che leggo non vedo sempre reciprocità. Sarebbe il caso di darsi una calmata: molte dichiarazioni e certi atteggiamenti non sono facilmente comprensibili se non attraverso una logica strumentale.

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