Intervista esclusiva a Valeria Fedeli: “parità di genere? non c’entra con il politically correct, è riconoscere la realtà. Chi non lo fa è miope”

di Dario Tiengo – 33 anni vissuti da sindacalista. Entrata al Senato in questa legislatura ne è diventata Vicepresidente. Si è distinta per equilibrio e determinazione e per la presenza sempre puntuale e attenta sui temi che riguardano la parità di genere. Dopo l’intervista concessa a tribunapoliticaweb.it nell’ottobre 2015 l’abbiamo incontrata nuovamente nel suo studio a Palazzo Madama per un intervista “senza rete” sul tema della parità di genere e sulle donne. Ne è uscito un quadro particolarmente interessante, a partire dall’uso del linguaggio che, spesso sottovalutiamo.

Con la realizzazione della riforma istituzionale e del Senato tempo fa aveva dicharato a tribunapoliticaweb che si sarebbe dedicata ancora più decisamente alle battaglie per le donne. Conferma o ci ha ripensato ?

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Intanto bisogna dire che mi sono sempre occupata in tutta la mia attività politica – 33 anni di sindacato prima e in questa legislatura poi – di fare politiche per promuovere e superare diseguaglianze e violenze sulle donne. Dopo il superamento del Senato andrò avanti a farlo. In quale ruolo, in termini volontari o meno non so, ma sicuramente intendo proseguire questa scelta accompagnata anche da due elementi centrali. Per primo la questione che riguarda la difesa dei diritti umani – in particolare verso le donne – un tema non solo italiano ma anche europeo e internazionale. Voglio farne anche uno spunto di riflessione dopo l’estate, in particolare sulla considerazione del ruolo femminile nelle diverse religioni. È un tema molto serio. Sono rimasta particolarmente colpita – e mi auguro che oltre a me lo siano state anche le donne dei Paesi liberi occidentali – dalla negazione non solo dei diritti delle donne nel mondo e nelle altre religioni in generale, e in particolar modo la violenza verso le donne che i terroristi utilizzano per le loro azioni.

Oltre a questi aspetti la tematica delle donne passa anche attraverso il linguaggio? De Luca che dà della bambolina alla Raggi, le polemiche sulla gravidanza della Meloni. Sono segni di una cultura che non riconosce la parità di genere o peccati veniali?

Negli ultimi anni abbiamo assistito a una recrudescenza del linguaggio di alcuni politici e di alcune forze politiche. Lo dico perché il tema del linguaggio dovrebbe porselo in particolare chi ha responsabilità pubbliche e politiche. Si dovrebbe sapere che un linguaggio non rispettoso dell’avversario, che incita all’odio e alla negazione della diversità, è un linguaggio mai utilizzabile per chi ha responsabilità pubbliche perché dall’odio poi si può passare alla violenza. Un esempio è il caso del del segretario della Lega su cui sono intervenuta anche sul Corriere della Sera. Quando tu dici che vuoi “cacciare le persone con la ruspa, con i forconi”, quando usi immagini violente, generi violenza. Lo dico perché per me la questione del linguaggio è generale.

Sono da sanzionare i politici che usano un linguaggio violento e aggressivo e, nel caso, quali sanzioni?

Sono sempre per una sanzione pubblica/sociale, non mi interessano le pene e le condanne. Non serve dare tre giorni di carcere, però penso che su questo punto ci dovrebbe essere una straordinaria alleanza tra i media, le piattaforme digitali, ma soprattutto i politici, oltre che tutti quelli che fanno opinione e che possono essere seguiti dalle giovani generazioni. La sanzione pubblica è il dibattito pubblico. E’ creare, su questo, una sanzione sociale.

Eccessi nel linguaggio anche riferito al genere…

C’è un linguaggio che rappresenta una cultura ancora molto profonda e sessista che, mediamente, percorre tutti gli uomini. Anche del mio partito Ho preso subito posizione contro De Luca e il suo linguaggio nel caso della Raggi. Intanto perché chi fa il presidente della Regione Campania deve rispettare donne e uomini, in questo caso donne che presiedono un’istituzione pubblica. Considerarla una “bambolina” è proprio il classico modo maschile, maschilista, di denigrare il fatto che una donna abbia una responsabilità pubblica. Cioè il potere per agire. Considero tutto questo una cosa davvero negativa. Devo dire, però, che sono stata molto soddisfatta: De Luca ha utilizzato quell’espressione durante la Direzione nazionale del Pd e il fatto che il Segretario, nonché Premier, nelle sue conclusioni abbia immediatamente sanzionato le frasi di De Luca mi ha resa particolarmente orgogliosa di far parte del Partito Democratico. Così come sono rimasta ovviamente soddisfatta – ma su questo non avevo dubbi – dalla presa di posizione della ministra Boschi. Questo è un tema molto serio, infatti non mi sono sottratta neppure alla difesa di Giorgia Meloni

Sulla Meloni si è detto che era meglio non si candidasse perché era incinta. Berlusconi, Bertolaso, Brunetta: si è levato un coro di dissenso alla sua candidatura

Certo, perché la logica del disprezzo della donna in quanto donna (perché può diventare madre) è un tema generale e molto serio. Il giorno in cui sono state dette queste frasi, sono stata raggiunta per telefono da una giornalista delCorriere della Sera. Ho accettato immediatamente di fare l’intervista. Nel prendere le parti di una donna non faccio differenze tra difendere la ministra Boschi dal linguaggio usato da alcuni quotidiani e da espressioni sessiste e difendere Giorgia Meloni.

Coniugare il genere nelle posizioni di potere è una cosa che spesso irrita i maschi, ma ha suscitato delle reazioni negative anche da parte delle donne. Ministra, assessora, segretaria generale e via dicendo. Spesso appare come una forzatura inutile non crede?

Proprio in questo periodo a Potenza ho partecipato a uno dei tanti dibattiti che sto facendo sui 70 anni del voto delle donne e su cosa questo ha significato. Mi sono ritrovata nel dibattito con Lidia Menapace, 92 anni. Lei ha riaperto il tema del linguaggio, sui cui sono assolutamente d’accordo. Ma perché? Innanzitutto tu, donna, continui a usare un genere scientemente neutro quando hai una posizione di responsabilità o di potere, ti connotano come se fossi un maschio. Ti chiamano negando il tuo corpo: significa che ti stanno escludendo, ti stanno discriminando e stanno dicendo che tu non sei nel posto giusto. Perché quel posto è tipicamente ed esclusivamente per maschi. Quando tu, donna, non riconosci che i due generi fondamentali dell’umanità sono donne e uomini e il linguaggio non è inclusivo del riconoscimento dei due generi tu per prima usi violenza, usi esclusione e discriminazione.

Ma forse è più nell’uso comune che non in un utilizzo cosciente di una discriminazione. Non crede?

La questione è molto profonda. Il linguaggio e la mancata coniugazione di genere è uno degli elementi che discriminano le donne. Da qui si può arrivare anche a elementi di sopraffazione e di dominio che poi degenerano. Alcuni uomini si sentono forti del consenso culturale dell’habitat sociale, questo a volte porta anche alla sopraffazione e alla violenza fisica. Perché se tu, donna, non esisti nel linguaggio quando vieni chiamata, non esisti neppure negli altri ambiti. Non è una cosa banale, ma al contrario molto seria. Lo dico perché è esattamente questo il conflitto con la cultura e con la prassi dominante degli uomini di una società a dominio maschile. Io sono stata considerata una rarità, non solo nel mio attuale incarico, ma anche nel mio lavoro nel sindacato: appena sono diventata Segretaria Nazionale dei tessili della Cgil sul mio biglietto da visita c’era scritto Segretaria Nazionale o dopo “la Presidente del Sindacato Europeo”.

Segretaria però si presta a interpretazioni diverse…

Molti mi dicevano: le segretarie sono quelle addette alla segreteria. Rispondevo che era sbagliato ed ero “la Segretaria Generale così come in Senato sono “la Vice presidente del Senato”

Ma il “Segretario della Cgil”?

So benissimo che ci sono donne, compresa chi oggi dirige la Cgil (Susanna Camusso, ndr) che continuano a farsi chiamare “il Segretario Generale”. Faccio questo esempio perché mi ha particolarmente colpito. Ho molto spinto per la sua elezione. Lei ha una storia ed è stato un risultato importante che per la prima volta – dopo cento anni – in uno tra i più grandi sindacati europei, e soprattutto in Italia, una donna sia diventata Segretaria Generale della Cgil. Il segno dell’inclusione e della differenza sta anche nel linguaggio. Perché non ti devi chiamare Segretaria Generale della Cgil? Lei è assolutamente forte e autorevole per la sua funzione, ma così non sta dando un segnale alle giovani generazioni e alle altre donne. Se non ti fai nominare per quello che sei come uno dei due generi dell’umanità, stai dicendo che nei posti di responsabilità ci possono andare di norma gli uomini e che le donne sono eccezioni. E non che di norma anche per le donne è giusto che in base alle competenze, alle capacità e alle scelte democratiche ti faccia eleggere e venga eletta Segretaria Generale. Nominare il genere è inclusivo e io voglio un linguaggio inclusivo.

Difficile affermare questi principi nel nostro Paese?

In Italia si fa fatica. Ho un disegno di legge depositato all’inizio della legislatura e firmato da tutti ma non si riesce a metterlo all’ordine del giorno e a incardinarlo in prima commissione.

Di cosa tratta?

Dice che dobbiamo avere un osservatorio, una regola e che ogni politica che si decide di fare deve avere ex-ante la verifica di impatto su donne e uomini. Sul lavoro se si vuole superare le discriminazioni sulle giovani donne, si deve sapere quando si prende un provvedimento qual’è il suo impatto su uomini e donne. Bisogna nominare uomini e donne. Questo vale per le pensioni e per tutti gli altri temi. Ma se nel linguaggio, nella cultura e nella procedura corrente tu usi solo il genere linguistico scientemente neutro – che in realtà è maschile – non sei attrezzato nemmeno sulle tue scelte politiche, che hanno ricadute differenti su donne e uomini. Utilizzare il linguaggio in modo non neutro è corretto, la lingua italiana ci aiuta in questo. Si dice operaia e operaio ma appena sali nelle gerarchie diventa tutto maschile. Vuol dire che c’è un connotato di potere e di dominio che è una negazione della possibilità anche per le donne di ricoprire i ruoli importanti.

Queste battaglie e il fatto che rientrino spesso nella percezione del politically correct non rischiano di costruire dei luoghi comuni?

Non c’entra nulla il politicamente corretto. È invece giusto, equo e inclusivo. Quando parliamo di tanti soggetti, parliamo di inclusione. Non è politicamente corretto, è – insisto – riconoscere la realtà. Chi non la riconosce non è politicamente scorretto. È miope e bisogna che vada dall’oculista perché se io presiedo l’aula e mi si dice “Signore Presidente”, quando sono in buona rispondo “Lei stamattina non è passato dall’oculista. Mi dispiace ma io sto presiedendo e ho un corpo da donna”. E d’altra parte, se uno continua a dirti “Signor Presidente” in realtà ti sta insultando perché, praticamente, ti sta dicendo che sei lì a ricoprire impropriamente quella funzione. È un dato di realtà e, aggiungo, anche di conoscenza della lingua italiana. Per fortuna l’Accademia della crusca questa cosa comincia a riprenderla. Noi riconosciamo il genere maschile: non si capisce perché quello femminile non debba essere riconosciuto dal maschile. Non è una banalità, ma è mai possibile che ogni volta che leggo un testo, trovo sempre Senatore (perché non c’è Senatrice) e devo, ogni volta, correggere. Una battaglia che stiamo facendo e che si fa fatica a vincere perché ci sono sempre altre priorità. E perché lo zoccolo di potere maschile è forte e radicato e questa è un’altra parte di quel potere .

Le donne amministrano meglio, sono più affidabili nella gestione politica. Vero o esagerato?

In merito esistono studi internazionali che verificano soprattutto nel campo dell’imprenditoria. Non conosco studi sulla politica. La caratteristica delle imprenditrici, delle donne che si prendono delle responsabilità, è che in genere sono meno corruttibili – lo dicono i dati – più prudenti negli investimenti e per questo fanno valutazioni e si impegnano rispetto all’azienda su un periodo medio lungo o, diciamo, più efficiente e più efficace. Detto questo, ho sempre sostenuto che le donne non sono una categoria così come gli uomini non sono una categoria: sono diversi. È evidente, però, che la distorsione corruttiva oltre che riferita a gestioni negative del potere è stata, ed è ancora, prevalentemente maschile. Il cambiamento ti porta a dire: proviamo, diamo più spazio e non solo perché sia giusto in termini democratici, ma perché può favorire caratteristiche che appartengono di più, insisto – dati alla mano – per quello che sono state sperimentate, alle donne.

Nel panorama delle donne famose ci sono le artiste, le attrici, persino le scienziate ma non le politiche e non le imprenditrici. Prendiamo due esempi: Nilde Iotti e Marisa Belisario e pochissime altre. Da che cosa dipende secondo lei?

Dipende assolutamente dalla politica e dall’economia. Anzitutto le donne imprenditrici hanno portato cambiamento. A volte semplicemente per il fatto che lo fanno da donne, magari affrontando e introducendo caratteristiche di gestione aziendale – e credo che Marisa Belisario lo abbia fatto – attente al fatto che ci fosse presenza di donne e uomini. Anche per questo fu innovativa, per il suo tempo, per la sua epoca e per la sua modalità di contesto. Così come le politiche. Siccome dici la prima donna Presidente, la prima donna Ministro, anche questa logica vuol dire che sei un’eccezione, quindi in questo senso non stai dentro al percorso di normalità di potere degli uomini.

Sono segmenti della società in cui è particolarmente difficile per gli uomini riconoscere normalità alla presenza ai vertici delle donne?

Il campo della politica e quello dell’impresa – che poi sono il campo dell’economia e della decisione per la vita di tutti – sono i due luoghi in cui per gli uomini è più difficile riconoscere, e quindi lasciare lo spazio necessario, alle donne. Ma soprattutto riconoscerle. Credo siano i noccioli duri del potere maschile perché poi sono quelli che condizionano la vita. Non vengono in mente nemmeno nomi di donne Presidenti nella comunicazione. Non abbiamo direttrici di grandi testate di quotidiani. Ci sono, secondo me, grandi luoghi dei poteri maggiori – come l’economia, l’impresa, la politica e la comunicazione – dove questo tema viene rimosso. Nel momento in cui viene rimossa significa che si sta lavorando perché quella sia un’eccezione, un’icona da mettere lì ma non deve diventare normalità, cioè non deve diventare il luogo della condivisione sia nel fare impresa sia nel fare politica, sia nella comunicazione. Questo è il vero nocciolo. Quindi rispondo alla domanda: sì, è esattamente conseguenza di questo conflitto di ridistribuzione di opportunità e poteri.

Che mondo sogna?

Un mondo senza conflitti. Per i bambini voglio un mondo in cui non ci siano conflitti perché le diversità vengono riconosciute. Se riconosci le differenze e le valorizzi in un contesto democratico in cui nessuno viola la libertà e dignità di ciascuno il mondo è più tranquillo, più pacificato. Sono per un mondo senza conflitti; poi per il mio modo di essere, per la mia cultura e per la mia storia, sono da sempre legata all’attuazione piena, completa dell’art. 3 della Costituzione italiana che, nel secondo comma, dice che lo Stato deve rimuovere tutti gli ostacoli sostanziali che di fatto impediscono la libertà di tutti e la discriminazione.

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