Presenze d’arte in divenire: intervista a Silvia Celeste Calcagno

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di Francesca Bogliolo – Seduta tra le atmosfere suggestive della sala da the Muffin&Cakes di Albenga, intervisto Silvia Celeste Calcagno colta da evidente e sincera curiosità nei confronti del suo lavoro, che mi affascina da tempo. Una sequela di domande e risposte ininterrotte che si trasforma in una chiacchierata piacevole, trasparente e intrigante alla pari delle opere di questa artista originale e indipendente. Nel variegato mondo dell’arte, Silvia Celeste si muove con una delicatezza e una forza che stupiscono per il loro incedere insieme, senza apparenti esitazioni, accompagnati da un’umiltà che cela grandi competenze tecniche e artistiche.

Tutto questo però, parlando con lei, scompare davanti alla sua umana sensibilità, che quasi mi distrae dalle domande che avevo deciso di porre, per regalarmi la curiosità di una bambina, che con autentico stupore chiede quello che vorrebbe sapere ogni volta che si pone davanti alle sue opere. È così che nascono queste domande, le cui risposte voglio condividere con chi, da spettatore, avrà la fortuna di trovarsi davanti alle opere della Calcagno, affinché possa avere degli strumenti in più per comprenderle e apprezzarle in maggiore misura.

D.: Se dovessi dire in poche parole cosa intendi realizzare con il tuo lavoro, cosa diresti?

Silvia Celeste Calcagno: Attraverso il mio lavoro, io cerco di capire se esisto o no. Ho la possibilità di tastare con mano che ci sono, ho la possibilità fisica e mentale di non perdermi.

D.: Van Gogh scriveva in una lettera: “Uno scrittore francese dice che i pittori sono così, un po’ folli, e benché ci sarebbe molto da dire contro una simile affermazione, è certo che la pittura rende distratti, assenti”. Pensi che anche per la tua attività artistica valga questa affermazione?

S.C.C.:  Non del tutto “assente”, ma neppure “sociale”, direi. Mi sento fuori dalla realtà, avulsa dal contesto sociale, ma non perché debba fare la “strana” o mi senta “un’artista”. Non ho la televisione, non leggo nemmeno i giornali, e a volte questo non è bene. Guardo tanto cinema, questo sì. È quello il mio mondo. La mia urgenza, che causa l’essere altrove, è quella di dire delle cose, di raccontarmi attraverso i miei lavori. I tuoi lavori ti raccontano inevitabilmente, anche se non sai se sei un’artista o no.

D.: Quanto è importante per te avere una preparazione tecnica?

S.C.C.: Una forte preparazione tecnica è necessaria. Non credo che esistano artisti per caso. Senza aver acquisito la giusta tecnica non ne sarebbe stato possibile il superamento. Nel mio lavoro è molto importante il procedere per fasi. L’acquisizione degli stadi tecnici, che nel mio procedere artistico sono vincolanti, permette di acquisire un particolare senso del tempo. Nel mio caso è più difficile rispettare le fasi di vita normali (i ritmi regolari della vita, come mangiare, dormire, eccetera) piuttosto che quelle del lavoro. Il mio fare artistico mi assorbe in maniera meticolosa e maniacale, e mi conduce in una dimensione dove si perde tuttavia il senso del tempo, dove ci si dimentica della dimensione esterna.

D.: Come vivi questa forte dualità data da un tempo necessario e vincolante di cui a volte ci si dimentica?

S.C.C.: Vivo questa forma di dualismo con serenità. Se non sai fare altrimenti, vuol dire che è giusto così. Bisogna perdonarsi.

D.: Quanto c’è di conscio e quanto di inconscio nella tua arte?

S.C.C.: Nella mia arte c’è molto di conscio, è un’arte consapevole. Tuttavia, il conscio passa attraverso l’inconscio. Non sei del tutto consapevole di quello che dici, finché non hai finito un’opera che te lo racconta. Questo non vuol dire che un’opera sia casuale. Dico solo che ti sfugge sempre una parte del significato fino a che non è finita. Si lavora in un particolare stato di sospensione, da cui ci si distacca solo quando un’opera è finita.

D.: Le tue opere sono autobiografiche. Come mai è così importante questa particolare componente, per te?

S.C.C.: Per me è importante che i lavori rimangano nel tempo, e che lascino una traccia. Se il lavoro resta vuol dire che io esisto. Per me l’arte è un percorso psicanalitico. Il mio nuovo lavoro, Rose, è una mappatura degli stati emozionali attraverso il volto. Svolgo lavorando una sorta di transfert: ho lavorato prima sul mio corpo, ora sono giunta al volto. Voglio arrivare a fare una mappatura dell’esistenza attraverso la mia fisicità. Per me, in questo contesto, è fondamentale il lavoro svolto sull’autoscatto, la capacità di cogliermi in un determinato momento e stato emotivo attraverso una precisa tecnica.

D.: Nelle tue opere si assiste spesso a un ripetersi della stessa azione. Cosa significa?

S.C.C.: Per me la reiterazione è importante. Attraverso la ripetizione faccio i conti con le ossessioni che ho, che sono tante. Mi serve per sciogliere il nodo delle ossessioni, per trovare il senso del tempo. L’azione è ripetuta ma non è mai la stessa. In questo momento, ad esempio, sto lavorando sulla distanza che esiste tra due respiri. Lo sapevi che sessanta secondi sono il tempo clinico di sopravvivenza senza respirare? Sono affascinata dai risvolti clinici. La reiterazione è una presa di coscienza, serve per rendersi conto del qui e ora.

D.: Il tuo lavoro è il risultato di una tecnica sperimentale che unisce ceramica e fotografia. Quale di queste tecniche artistiche ti appartiene di più?

S.C.C.: Sono entrambe importanti, si compenetrano. Sono due mezzi di espressione che mi servono per fare la mappatura di me stessa, anche se confesso di essere attratta dall’uso dell’immagine. Sono una grande appassionata di cinema, per me è importante conferire alle mie opere una dimensione cinematografica. Adoro il buio e le suggestioni che porta con se. Per quello che riguarda l’utilizzo dei mezzi, io non mi sento una fotografa (magari la fossi!), mi sento un tecnico.

D.: Non ti senti un’artista?

S.C.C.: Non sono io a dover dire se la sono (sorride…)

D.: Cosa ne pensi dei concorsi tra gli artisti?

S.C.C.: Io non sono mai stata una persona competitiva: avevo paura. Devo confessarti che i concorsi mi hanno permesso di mettermi in gioco, hanno tirato fuori ciò che prima era sopito. Permettono di avere un confronto con altri che svolgono il mio stesso mestiere, che è fonte di conferme. Credo nella piena libertà di espressione. Non mi preoccupo molto di ciò che posso comunicare: ad alcuni i miei lavori non piacciono. L’importante è che non lascino indifferenti gli spettatori, ma principalmente che non lascino indifferente me. Se un lavoro finito mi lascia indifferente lo distruggo, o lo accantono, quasi sempre lo rifaccio. È importante che le mie opere abbiano un significato.

D.: Ultima inevitabile domanda: quali sono i tuoi riferimenti artistici, i tuoi maestri?

S.C.C.: La body art degli anni settanta, in particolar modo Gina Pane. Mi colpisce il suo lavorare con il corpo senza quasi mai spogliarsi. Il suo era un lavoro puro, di una poesia struggente, ossessivo ma candido. Esercita su di me un’attrazione totale. Mi affascina anche il lavoro di Orlan. Sono cresciuta ad Albisola, dove l’arte si respira. Soprattutto, ho avuto dei grandi maestri, che mi hanno dato una formazione tecnica eccellente, che mi ha permesso poi di poter sperimentare.

» L’interessante sperimentazione di Silvia Calcagno dà origine a opere fotoceramiche di indiscutibile fascino. L’intero profilo dell’artista è visionabile sul suo sito, www.silviacalcagno.it . Per quanto mi riguarda, resto seduta, ad aspettare. Gina Pane, se ben ricordo, diceva che il corpo è una scrittura a tutto tondo. Se questa affermazione è vera, Silvia Celeste Calcagno scrive libri che sono ansiosa di leggere.

Silvia Celeste Calcagno (Genova, 1974) ha il suo atelier di lavoro tra Albissola e Celle Ligure. È stata presente in numerose delle principali manifestazioni d’arte nazionali, dove ha ricevuto segnalazioni e riconoscimenti per le sue opere: Festival Internazionale della Maiolica, Primo Premio Opera pubblica, Albissola 2010; 54° biennale di Venezia 2011; 57° Concorso Internazionale della Ceramica d’Arte Contemporanea Premio Faenza 2011; BAAC Prima Biennale d’Arte Ceramica Contemporanea Scuderie Aldobrandini, Roma 2012; A Red Carpet for Italian Interiors a cura di Ellequadro Documenti, Londra 2012; La linea gotica MIAAO Torino a cura di Enzo Biffi Gentili, 2012; Premio Arte Laguna – Venezia 2013 Vincitrice Premio Speciale Artisti in Residenza; Targa del Presidente della Repubblica, 58° Concorso Internazionale Premio Faenza, MIC Faenza 2013.

Tra le sue mostre più recenti, si distinguono Nerosensibile (Studio Lucio Fontana, Albissola 2012, a cura di Luca Beatrice), Hilaria (Galleria PH-Neutro, Verona 2012), Celeste, so happy (Il Pomo daDamo, Imola 2013, a cura PH- Neutro). Vincitrice del Premio Speciale Artisti in Residenza all’Arte Laguna Prize (Venezia 2013), presso il Loft Gallery dell’azienda Miramarmi a San Pietro Mussolino (Vicenza) ha avuto nel 2013 la possibilità di confrontarsi per la prima volta con un nuovo “supporto” e materiale per lei inedito: il marmo.

Sull’opera dell’artista nel 2013 è stato pubblicato lo studio monografico a cura di Angela Madesani “Silvia Celeste Calcagno” (Silvana Editoriale).

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