Albenga… sconosciuta! Il riciclo e i riusi architettonici

di Francesca Giraldi – Esiste un’Albenga riciclata, un po’ nascosta, che fa capolino all’interno dell’attuale Albenga. Non è facile individuarla perché il nostro occhio è abituato a vederla e, si sa, il nostro occhio è cieco per le cose che vede tutti i giorni, come quando si cerca il barattolo dei biscotti nella credenza, è proprio lì, davanti a noi, dove è sempre stato, ma noi non lo riconosciamo. Bisogna quindi allenare l’occhio a ricercare, insomma rimetterlo in forma.

Spesso si sente dire, per le vie cittadine, che ogni volta si fa un buco per terra si scopre sempre qualcosa. Ciò è sostanzialmente vero e corrisponde alla realtà, oggi come ieri. Infatti la città ha una lunghissima vita, le prime testimonianze di un probabile insediamento ligure, ricordato da Plutarco, potrebbero risalire alla fine del IV-inizio III sec. a.C. Da allora lo sviluppo urbano si è concentrato per lungo tempo nella medesima porzione di territorio, l’attuale centro storico, che nel corso del tempo ha visto sorgere e scomparire edifici, a causa di alluvioni, di incendi e di ammodernamenti urbanistici. Tutte queste vecchie Albenga si trovano sepolte, strato su strato, sotto l’attuale basolato. Per farci un’idea di quanto ci sia sotto i nostri piedi basta affacciarsi dalla balaustra che delimita il Battistero, l’edificio infatti si trova a circa 2m dal manto stradale, ciò significa che dal V sec. d.C. il piano di calpestio si è innalzato notevolmente.

Iniziamo, adesso, la nostra caccia all’elemento riciclato dalla Cattedrale S. Michele, uno dei monumenti più importanti della nostra città, osservata e fotografata ogni giorno. L’impianto originario della Chiesa risale al V sec., contemporaneo al Battistero, insieme al quale doveva formare un complesso episcopale, completato anche dall’Episcopio, probabilmente localizzato all’incrocio tra via Ricci e via Medaglie d’Oro, per il quale però non esistono ad oggi sicure testimonianze archeologiche. Nel periodo che intercorre tra l’età longobarda e quella carolingia (VIII-IX sec.) la Chiesa era costituita da un’unica sala, la moderna navata centrale, mentre la parte esterna, corrispondente alle attuali navate laterali, era occupata dall’area cimiteriale. Il presbiterio, l’area che ospita l’altare ed è riservata agli officianti, era delimitato da una balaustra marmorea. Durante i successivi rifacimenti tale recinzione venne obliterata, ma non del tutto dismessa, infatti un pannello andò a costituire un elemento decorativo della facciata esterna. Dove? Nella duecentesca lunetta ogivale che incornicia l’entrata laterale alla navata sinistra, prospiciente il battistero. L’architrave di marmo, decorato con una treccia di vimini e un fregio spiraliforme, presenta un motivo tripartito con bassorilievi ad intreccio, cerchi e croci.

Non è l’unico elemento di rimpiego in facciata: mimetizzato nella parte inferiore del campanile, appartenente al IX sec. (antecedente al campanile vero e proprio dell’XI sec.), si intravede infatti anche una piccola testa in marmo bianco, fissata alla facciata. Si tratta verosimilmente di parte di un bassorilievo che decorava un sarcofago. La figura rappresenta il volto barbato di un uomo e, a seguito dell’analisi dello stile, l’espressionismo e il realismo della raffigurazione è attribuibile all’età imperiale romana. È possibile che durante gli scavi per l’ampliamento della Chiesa si siano intaccate le sepolture localizzate nelle zone limitrofe e che questa testolina, ormai avulsa dal sarcofago, sia stata inserita nella facciata a scopo decorativo.

A qualche passo di distanza si trova la chiesa di Santa Maria in fontibus, edificata durante l’XI sec. La parete del campanile mostra in bellavista una strana iscrizione marmorea inserita all’interno della muratura. Si tratta di un cippo funerario, cioè una stele che commemora la morte di M. Vibullio Proculo vissuto per soli diciassette anni. Nel II sec. indicava il luogo di sepoltura del ragazzo ma, durante i lavori di edificazione del campanile settecentesco, venne riportata alla luce e riutilizzata come pietra angolare della struttura.

È più evidente da individuare, forse perché crea una nota stonata con il contesto, una colonna marmorea a sezione subcircolare localizzata dietro la canonica di San Michele, in Piazza dei Leoni. È difficile attribuire una datazione puntuale a questo manufatto perché non presenta l’utilizzo di peculiari tecniche di realizzazione o particolari decori. È verosimile però supporre che possa essere stata sfruttata come pilastro dell’antica Chiesa paleocristiana.

Sono invece perfettamente integrate nell’ambiente circostante, le due colonne in granito che formavano il portale della chiesa domenicana di S. Domenico, oggi sfruttate come elemento architettonico decorativo che incornicia l’entrata al chiostro. Il complesso era formato dalla chiesa e dal convento dei Padri predicatori di San Domenico e fu fondato durante il XIII sec (la prima fonte a citarlo risale al 1287, ma si suppone sia anteriore di almeno un decennio). Per molti secoli fu la chiesa prediletta di tutta la nobiltà ingauna, che oltre a frequentarla per i riti religiosi, sfruttava la grande sala del refettorio per le riunioni e i cenacoli culturali. Dall’Ottocento l’intera struttura del convento è adibita ad uso abitativo, mentre della chiesa, quasi totalmente obliterata, rimangono solo il portale e la struttura superiore dell’abside appoggiata al muro di cinta della città.

Albenga ha molta storia da offrire a chi la sa leggere, ma se a fianco di questi piccoli camei vi fossero delle targhette esplicative, anche sintetiche, chiunque potrebbe avere un più facile accesso alle informazioni e forse la storia e la cultura sarebbero più alla portata di tutti. Gli esempi che abbiamo analizzato sono solo una parte di quelli esistenti e avevano lo scopo di togliere il velo dai nostri occhi e farci guardare, non semplicemente vedere, i segreti di Albenga. Concluso l’allenamento vi lascio con un piccolo test: le foto di seguito immortalano un riuso architettonico presente nel Centro Storico, sapreste individuare dove si trova? E quale poteva essere il suo impiego originale? Vediamo che bravi detective della storia siete diventati!

* Terre e Orizzonti: la rubrica Corsara di Francesca Giraldi

10 Commenti

  1. Abbiamo un vincitore! Bravo zio Jo!
    Qualcuno si lancia anche nell’indovinare cosa potessero essere queste lastre prima di divenire stipiti?

  2. Un piccolo aiuto… si trova in una via tra p.zza dei Leoni e via Medaglie d’Oro…

  3. E invece un percorso degli “orrori” con tappa iniziale Piazza dei Leoni dove recentemente ho contato sette macchine parcheggiate?

    Partenza del percorso ovviamente dallo ex-Caffè Letterario di Piazza del Popolo giustamente riconvertito a IAT nell’interesse turistico dell’intera città

  4. @Chicca: fuochino…
    @Agostino: hai ragione, l’idea è molto carina, magari realizzare un “parco pubblico a tema”, tipo quello di Collodi, con delle installazioni. Anche la proposta di rivalorizzare il Parco Foce è più che interessante, anche se prima sarebbe opportuno disboscare e mettere in sicurezza!

  5. Complimenti all autrice per il lavoro di ricerca e l articolo. A leggere il resoconto, da ingauno d adozione innamorato di questa nostra bellissima ed unica città, mi viene in mente che potrebbe essere davvero bello e di attrattiva costruire un percorso per questa Albenga nascosta. Ma non solo. Abbiamo molti angoli poco valorizzati, anche agli occhi dei bimbi come ad esempio la storia di Capucetto Rosso e Pinocchio lungo la riva del Centa.

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