Quando la storia entra… dai piedi: riscoprire la via Iulia Augusta (II parte)

di Francesca Giraldi – Dalla soglia di Porta Molino possiamo avere una visuale di quello che fu il cardine massimo dell’antico centro urbano. Subito si nota che l’asse viario, che presumiamo essere rimasto invariato dall’epoca romana alla moderna, grazie alla persistenza degli edifici medievali affacciati sul corso, non segue precisamente l’orientamento della via esterna alle mura, ma si inclina verso sud-ovest. Questa evidenza suggerisce l’esistenza di un centro urbano anteriore alla costruzione della via Iulia Augusta, che ha influito sull’orientamento della strada. Anche le fonti storiche confermano il dato, infatti grazie alla lex Pompeia dell’89 a.C., le comunità di Albenga, Alba (Alba Pompeia) e forse Genova, divengono municipi di diritto romano e ciò inevitabilmente presuppone che vi fosse un centro urbano, molto probabilmente già dotato di apparato amministrativo, con funzioni di coordinamento del territorio rurale limitrofo.

(foto)L’impianto della città rispetterebbe il modello definito a “castrum”, termine che significa “accampamento” e che è comunemente ed erroneamente collegato all’idea di un preesistente campo militare. In realtà, nella letteratura antica, per assetto castrense si fa riferimento alla sola distribuzione viaria comunemente utilizzata negli accampamenti e caratterizzata da una viabilità principale definita dal cardine massimo e dal decumano massimo, che si incrociano ortogonalmente. Dai corsi principali si dipartono una serie di vie minori che, incrociandosi ortogonalmente anch’esse, danno origine a quartieri isosomi, quadrati o rettangolari. Nel caso di Albenga il cardine massimo è costituito dall’attuale via Medaglie d’Oro, mentre il decumano massimo è costituito da via Ricci e via d’Aste. Le innumerevoli trasformazioni avvenute in epoche successive all’interno del centro storico non permettono con certezza di individuare il numero esatto dei cardini e dei decumani minori, che sicuramente non furono inferiori a quattro totali.

La sovrapposizione tra la città antica, quella medievale e la moderna, ha reso difficile reperire testimonianze di strutture antiche, pertanto la maggior parte delle tracce di epoca romana sono reperibili all’interno del lapidario di Palazzo Vecchio, nelle sale del Museo Navale Romano e nella più recente esposizione Magiche Trasparenze, presso Palazzo Oddo, o inglobate in murature più recenti. Rimane però tutt’ora visibile e visitabile il Battistero della fine del V sec., rinomato per essere il principale edificio paleocristiano della Liguria e per ospitare il mosaico più esteso dell’Italia nord-occidentale.

Secondo i canoni del modello a castrum, l’area pubblica e il foro erano situati all’incrocio tra le vie principali. Al momento attuale però non vi è alcuna prova archeologica che possa confermare l’esistenza dell’edificio forense in quel luogo, non essendo possibile condurre scavi.

Giunti a Porta Arroscia il percorso della via Iulia Augusta diviene incerto a causa della profonda trasformazione del territorio effettuata dallo spostamento del fiume Centa. Tuttavia l’allineamento della porta con i lacerti di mura di cinta risalenti al periodo della tarda repubblica, rinvenuti sia nell’angolo sud-est, in prossimità del vecchio ospedale, sia nell’area sud-ovest, affacciata su via Mameli, e con i monumenti rinvenuti nell’alveo del fiume, consentono di supporre una continuazione della via verso Vadino. La strada verosimilmente costeggiava i recinti funerari romani, infatti in antichità e soprattutto durante il periodo romano era consuetudine erigere i monumenti ai defunti lungo le principali vie extraurbane, perché ciò consentiva ai forestieri di individuare immediatamente le famiglie dominanti appartenenti alla città in cui si stavano recando. A breve distanza dai sepolcreti sono stati ritrovate anche le fondazioni dei piloni dell’acquedotto, sempre di epoca romana, ma a causa dell’esiguità dei resti non attribuibili con certezza ad una fase in particolare. Sul lato sinistro della strada, vi erano invece le terme pubbliche, delle quali oggi è visibile solamente la palestra, infatti la piscina e il frigidarium (la piscina con acqua fredda) risiedono al di sotto del nuovo argine e le restanti zone, come il tepidarium e il calidarium (piscine con acqua tiepida e calda) sono state obliterate da aree sepolcrali tardo antiche e alto medievali e dall’impianto della Chiesa di S. Clemente.

Non essendo possibile ricostruire sulla base dei dati archeologici il tratto di via Iulia Augusta che attraversa il centro abitato di Vadino, ripartiamo dalle pendici del Monte San Martino, più conosciuto come il “Monte”. Nella prima parte del percorso non è ben definito quale fosse il corso principale della via e i monumenti non suggeriscono una direzione univoca. Lungo la strada carrozzabile che conduce al Monte, sulla sinistra si nota l’innesto per una strada carrozzabile privata lungo la quale si incontrano le rovine dell’anfiteatro romano, luogo deputato a spettacoli gladiatori e agonistici, datato al II sec. seppur con molte incertezze. Gli anfiteatri erano allocati all’esterno dei centri urbani per motivi di pubblica sicurezza. Proseguendo su questa stradina si giunge ai resti mutili di un’edicola a più piani, che racchiudeva all’interno del basamento tre cinerari, datata tra la fine del I e l’inizio del II sec., e nota a tutti come il “Pilone”.

Ritornando sulla via principale, superata la chiesetta della Madonna di Fatima, prendendo una diramazione sulla destra si giunge al complesso di San Calocero, le cui prime strutture risalirebbero al II sec. La chiesa è rinomata per essere l’unica in Liguria sorta sul luogo di sepoltura di un santo, San Calocero appunto, martirizzato in Albenga.

Se invece di imboccare la deviazione appena citata si segue la strada, sulla sinistra si trova una breve salita mattonata, che conduce alla “passeggiata romana”, lungo la quale si possono individuare i resti dei monumenti funerari 02noti come necropoli meridionale. Le evidenze archeologiche sono molto compromesse, oltre che dal normale degrado dovuto all’esposizione ad agenti atmosferici, anche a causa dei numerosi terrazzamenti per la coltivazione dell’olivo, che fin dal Medioevo hanno obliterato le strutture murarie, e a causa della speculazione edilizia degli anni ’60 a cui si era posto un limite sottoponendo a vincolo l’intera zona. Purtroppo in tempi recenti, l’incuria e la poca tutela hanno ridotto la zona, connubio tra patrimonio archeologico e naturalistico di rara bellezza, ad uno stato di degrado al quale si dovrebbe porre rimedio in tempi brevissimi, al fine di evitare che i già ingenti danni divengano irreparabili.

Seguendo il percorso di mezzacosta della via Iulia Augusta si scoprono nove monumenti funerari, dei quali la maggior parte è costituita da un recinto rettangolare, edificato con blocchetti di pietra disposti in filari orizzontali e legati per mezzo di malta. All’interno della recinzione trovavano posto le urne cinerarie di tutti coloro che erano legati, a vario titolo, da vincoli famigliari.

03Differente è il monumento C, costituito da un podio su cui si imposta una cella quadrangolare. All’interno, ancora oggi, si possono osservare nove nicchie intagliate nel muro, le quali ospitavano altrettanti cinerari. Si tratta di un colombario, l’antenato della nostra tomba famigliare.

Proseguendo verso Alassio, a poche decine di metri dal recinto funerario A, si conserva un tratto di strada selciata, non attribuibile con certezza all’età romana, essendo stato 04probabilmente ristrutturato in epoca medievale, ma che sicuramente ricalca un tratto della via. Tale segmento stradale ha una ampiezza carrabile di 2,90m e inoltre conserva traccia degli antichi marciapiedi pedonali. Sia la posa delle pietre che compongono i marciapiedi, sia i piccoli gradini trasversali che si intermezzano alla strada erano un efficace espediente per il deflusso dell’acqua, che veniva così incanalata nelle fosse di scolo laterali.

Lo stato di conservazione e di mantenimento di tutte le strutture di interesse archeologico è piuttosto compromesso, come già accennato in precedenza, ma è proprio questo tratto di selciato a vessare nelle condizioni peggiori. A causa dello slittamento idrogeologico e, con molta probabilità, del passaggio abituale 05di alcuni motocicli, dei quali si possono individuare le tracce lasciate sul terreno anche a breve distanza, il margine sinistro del lastricato è inesorabilmente franato, portando via con sé una parte della testimonianza dell’antica via. Nonostante l’anno scorso sia stata deliberata dal Comune di Alassio e da quello di Albenga una collaborazione, al fine di dare agli interventi sulla via un coordinamento univoco, ad oggi nessun progresso è stato effettuato in tal senso, purtroppo però il tempo tiranno e l’incuria erodono progressivamente le testimonianze del passato.

Seguendo la strada si giunge ad Alassio, dalla chiesetta di Santa Croce. Da qui il percorso verso Ponente diviene più incerto e difficilmente ricostruibile.

* Terre e Orizzonti: la rubrica Corsara di Francesca Giraldi


2 Commenti

  1. ….GD …. Gidi…. Non te la cantare e non te la suonare …. Giovani Democrats ! Comunque condivido e pensa che, senza scomodare la vicina Francia, ci sono comuni italianissimi che hanno l ufficio marketing ! Da noi pero non serve perché a fare comunicazione integrata ci pensano le veline “verdi” del Minculpop di Piazza San Michele . W Guttemberg !

  2. Fosse in Francia chissà come sarebbe valorizzato un pezzo di acciotolato originale di epoca romana.

    Le parti, dopo 2000 anni so sono invertite: ora i barbari siamo noi e loro i civili.

    Che vergogna!

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