Per una vera festa delle donne

di Sandra Berriolo e Alfredo Sgarlato – «Bisognerebbe che loro stesse educassero i loro figli maschi utilizzando affetto e non protezione, educazione all’indipendenza psicologica e non soffocamento da campana di vetro, abitudine a mettersi nei panni degli altri e non convinzione di essere il migliore…». Questo ho scritto d’impulso questa mattina sulla mia pagina di Facebook pensando ai frequenti episodi di violenza sulle donne da parte di uomini (spesso compagni o ex, comunque non estranei) di cui abbiamo notizia. Perché continuo a pensare che se i maschi son figli delle femmine – e se è noto che il legame madre-figlio è importantissimo – queste ultime un po’ di responsabilità dovrebbero averla nel mostrare loro come si tratta con l’altro sesso.

Bene, dopo la mia esternazione ci sono stati momenti di polemica a seguito di alcune risposte. Tra donne. Perché di questo argomento disputano le donne. Coinvolgere gli uomini è molto difficile. Quindi se l’una asseriva che «è genetico: tutte le madri dei maschi sono iperprotettive», l’altra ribatteva: «conta enormemente il fattore caratteriale dei figli. Il fattore educativo e ambientale sulla formazione dei ragazzi è spesso sopravvalutato».

Chiedo al collega di Corsara che cosa ne pensa. Mi dice Alfredo Sgarlato, psicologo: «Il primo legame come tutti sappiamo è quello con la madre ed è la cosa più forte nel determinare la personalità. È anche provato che in qualsiasi relazione un essere umano preferisce rapportarsi con individui dell’altro sesso, anche al di fuori di una relazione puramente fisica. Inoltre il rapporto tra padre e figlio è meno competitivo (e prima o poi si ricompone) rispetto a quello tra madre e figlia che spesso resta conflittuale tutta la vita».

Una delle signore affermava che «nella vita quotidiana ci si trova di fronte a individui diversi che allo stesso tipo di modello educativo reagiscono anche emotivamente in modo che può addirittura essere opposto. Due fratelli possono essere come il sole e la luna. Le dinamiche tra fratelli entrano in gioco ed entra tantissimo in gioco il carattere innato che ciascuno esprime anche rispetto all’autonomia personale». Ma Sgarlato afferma: «L’ordine di nascita influisce sul comportamento perché involontariamente i genitori hanno condotte diverse; il primogenito in genere è più tranquillo e introverso mentre il secondo è più allegrone e casinista perché sente di doversi far notare».

Una delle signore affermava che «I figli non vengono come noi li plasmiamo, semplicemente perché noi non possiamo ritenerci i demiurghi di nessun altro essere umano. Ognuno ha la propria specificità. Dire che l’ambiente incide per il 99 % è sbagliato». Ma Sgarlato mi dice invece che «gli studi sul DNA affermano che questo è responsabile solo dell’1% della personalità, specialmente per quanto riguarda gravi psicosi. Le neuroscienze affermano che il comportamento è frutto per il 95% della risposta all’ambiente in due periodi fondamentali della vita, ossia le fasce 3/6 e 10/13 anni, e per il restante c’è una predisposizione non ancora precisamnte spiegata, ma probabilmente dovuta alle modificazioni ormonali della madre durante la gravidanza».

O mamma mia! (penso, e qui l’esclamazione è azzeccata) Io mi limitavo a pensare che le madri fossero spesso – soprattutto oggi – troppo protettive nei confronti dei maschi per un innato senso che li fa sentire da coccolare maggiormente delle femmine, un po’ come fossero i loro fidanzatini. E scopro che magari tutto nasce già nella pancia. Chiedo ad Alfredo come mai secondo lui oggi ci arrivano tutte queste notizie di violenza sulle donne. Mi risponde: «sicuramente oggi si denuncia di più quando succede, però è anche vero che rispetto a molti anni fa ci sono tanti uomini che si sentono minacciati dalla maggiore libertà femminile. Il violento è una personalità disturbata, con carenza di immedesimazione con l’altro quindi non capisce che sta facendo del male. In passato, periodi magari in cui le guerre si succedevano oppure il modello maschile doveva denotare forza a tutti i costi, la loro violenza era incanalata in squadre dittatoriali, gruppi di guerra, ecc. Oggi paradossalmente che c’è più pace non hanno canale di sfogo».

Quindi se le cause di queste violenze non sono genetiche cosa devo pensare? Sgarlato mi informa scientificamente che «i nostri geni non influenzano la personalità ma l’unico aspetto che sicuramente ha una componente ereditaria sono i disturbi bipolari dell’umore. Per la schizofrenia, ad esempio, c’è una costellazione di geni che dà la predispone però deve essere unita ad altre cause sociali. Quindi nei tratti di personalità non c’è ereditarietà (che è la certezza di trovare lo stesso disturbo fisico o psichico) ma piuttosto familiarità, ovvero c’è qualche possibilità che uno erediti un tratto di carattere o una predisposizione a una malattia fisica».

Ma perché sono più gli uomini a usare violenza? Lo psicologo mi spiega: «l’uomo è più abituato a esprimersi con la forza trattenendo le emozioni. La donna invece si esprime di più con la parola e si sfoga col pianto. Se non butti fuori le emozioni o viene una malattia psicosomatica o esterni in altro modo. Oggi poi c’è anche crisi del pensiero: son rare le nevrosi in cui si continua a rimuginare e si presentano sintomi precisi. Sono più frequenti disturbi della personalità in cui manca la mentalizzazione per cui il sintomo è centrato sul corpo; ne sono esempi l’anoressia o i gesti distruttivi per sé tipo tossicodipendenza o la violenza sull’altro». Infine mi domando che responsabilità possano avere i padri oggi verso comportamenti disturbati. Sgarlato mi ricorda che «spesso un padre caotico senza comportamento lineare (alterna affetto e accudimento ad assenze psicologiche) è peggio di un comportamento disturbato ma costante (es. l’ubriacone da cui ti aspetti certi atteggiamenti o disinteresse)».

Mamma mia!

* La Nonna del Corsaro Nero: la rubrica Corsara di Sandra Berriolo

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