Political Essay – NON SOLO IMU: PROPOSTE DI POLITICA ECONOMICA E INDUSTRIALE

di Franco Astengo – L’avvio della campagna elettorale si colloca in una fase di ulteriore inasprimento della crisi finanziaria ed economica globale che, in Europa, sta assumendo connotati davvero drammatici, in termini d’impoverimento generale, crescita della disoccupazione in tutte le fasce d’età, di smarrimento d’interi settori produttivi che si verificano non semplicemente per effetto dei meccanismi della delocalizzazione.

Siamo di fronte ad una situazione di crisi strutturale di un intero modello di sviluppo, acuita dalle scelte compiute in sede di costruzione dell’Unione Europea, in particolare attraverso le rigidità monetariste presenti nel testo del trattato di Maastricht e non compensate e corrette nel quadro di un avanzamento di una “Europa Politica” in grado di colmare, gradualmente, il “deficit democratico” via via accumulato e che, oggi, presenta il conto nei termini appena indicati.

L’Italia soffre in particolare di questo stato di cose per un motivo molto preciso, non derivante semplicemente dall’accumulo del debito pubblico e dalla scarsa credibilità a livello internazionale: questi due elementi hanno portato, negli ultimi tempi, all’esasperazione di politiche neo-liberiste, molto aggressive sul piano ideologico, che hanno fornito un esito del tutto disastroso come dimostrano tutti gli indicatori economici in nostro possesso, sia in riferimento ai temi di dinamiche economiche interne, sia in riferimento agli elementi fondamentali di vincolo esterno.

In questo quadro, dal punto di vista politico, appare almeno sconcertante, se non peggio, l’atteggiamento del PD, che dopo aver approvato tutti i provvedimenti assunti dal governo dei cosiddetti “tecnici” e rivolti esaustivamente nella sola direzione di colpire i redditi medi e medio-bassi, oltre all’inasprimento delle condizioni di precarietà del lavoro e della recessione di diritti fondamentali proprio in materia di relazioni industriali e di rapporto di lavoro, sta cercando, in vista di una possibile assunzione di un ruolo di governo, di mettere assieme Confindustria, Sindacato (diviso come sappiamo) categorie professionali, in una logica – prima di tutto è bene ricordarlo – di spettacolarizzazione delle candidature e, in secondo luogo, accettato appunto il quadro liberista in una visione che, secondo un minimo di plausibile logica interpretativa, che potrebbe anche assomigliare (mutatis, mutandis) a un meccanismo di tipo corporativo tenuto assieme proprio dalla logica dei parametri monetaristi imposti dalla Banca Centrale Europea e da meccanismi quali quelli del “fiscal compact” e dell’introduzione nell’articolo 81 della Costituzione del vincolo al pareggio di bilancio.

Si arena qui definitivamente quell’idea di una presenza, almeno, di tipo “socialdemocratico” che sarebbe presente nello stesso PD con l’intento di attenuare l’impatto liberista, ricercando gli opportuni collegamenti europei per tentare così una strada diversa di fuoriuscita dalla crisi.

Quanti, a sinistra, hanno pensato (e stanno pensando, anche all’interno di schieramenti che si proclamano per l’opposizione) che la strada di una progressiva, moderata, “socialdemocratizzazione” del PD potesse verificarsi, almeno nel medio periodo, non si trovano così di fronte a spazi plausibilmente usufruibili nella direzione di poter influire all’interno di una dinamica sufficientemente positiva.

Occorre predisporsi, invece, a una fase di opposizione netta e senza sconti, probabilmente ancora al di fuori del Parlamento (e si tratterà di una carenza molto grave), ma cercando di mobilitare il massimo di soggetti, fuori e dentro il mondo del lavoro, offrendo loro non semplicemente una possibilità di lotta, ma anche di prospettiva alternativa sul piano politico.

In questo senso, molto schematicamente, credo debbano essere individuate della priorità di contenuto.

Sul piano europeo ritengo di aver già espresso quelli che dovrebbero rappresentare i punti salienti di un’iniziativa, sul terreno della democratizzazione politica e della lotta al monetarismo e alle politiche recessive esemplificate nel fiscal compact.

Sul piano interno appaiono, invece, centrali e assolutamente prioritarie le drammatiche vicende legate al progressivo processo di ulteriore de-industrializzazione in atto nel nostro Paese che chiamano a una riflessione attorno alla possibilità di avanzamento di una proposta di politica economica tale da rappresentare un’alternativa, aggregare soggetti, fornire respiro a un’iniziativa “di periodo”.

Il concetto di fondo che è necessario portare avanti e rilanciare è quello della programmazione economica, combattendo a fondo l’idea che si tratti di uno strumento superato, buono soltanto – al massimo – a coordinare sfere private fondamentalmente irriducibili.

Una programmazione economica condotta con riferimento all’irrinunciabile valenza europea e avente al centro l’idea dell’iniziativa pubblica in economia attorno ad alcuni fondamentali campi d’intervento:

  1. Il territorio. Serve un piano straordinario per il ripristino dell’assetto idro-geologico del territorio che va franando dappertutto, dal Nord al Sud, sulle coste e nell’entroterra. Eguale urgenza ha, ovviamente, il tema della difesa dell’ambiente nel suo complesso, dello smaltimento dei rifiuti, della cementificazione;
  2. Le infrastrutture. La situazione delle ferrovie italiane è semplicemente disastrosa, così come quello delle strade e autostrade, in particolare al Sud;
  3. Il nodo energetico, non risolvibile, ovviamente, con un ritorno al nucleare;
  4. Il finanziamento della ricerca destinata soprattutto verso l’innovazione di processo nell’industria;
  5. Il rilancio del settore industriale. La Fiat può esercitare il suo ricatto perché questo Paese è privo, da anni, di politica industriale. Siamo, per varie ragioni, pressoché privi di siderurgia, chimica, agroalimentare, elettromeccanica, elettronica. In questa situazione ormai sono asfittici e sottoposti al processo di delocalizzazione anche quei settori “di nicchia” sui quali si era basato lo sviluppo anni’80- anni’90;
  6. Il rientro della programmazione pubblica nel settore bancario, con l’obiettivo principale del credito nella media e piccola industria;
  7. Il rientro dal precariato e l’inserimento stabile della manodopera extracomunitaria;
  8. Il recupero della gigantesca evasione fiscale
  9. La messa all’ordine del giorno di forti investimenti sul terreno del rapporto tra pezzi fondamentali della struttura industriale esistente e la difesa dell’ambiente. Un tema emblematizzato non soltanto dalla vicenda dell’ILVA Taranto che, comunque, ha messo in luce anche altri limiti di fondo posti sul piano delle dinamiche nel processo produttivo in settori fondamentali.

Accanto a questi punti del tutto irrinunciabili ci sono da valutare anche gli elementi di spreco che vengono principalmente da due parti: il gigantismo dell’apparato politico portato soprattutto dalla personalizzazione della politica (pensiamo alla dimensione gigantesca del debito delle Regioni, elefantizzatosi dal momento dell’elezione diretta dei Presidenti), e il processo di spreco e di diseguaglianze già causato dal cosiddetto “federalismo” così come questo, in maniera del tutto raffazzonato e legato a egoismi di parte è stato concepito, e il tema della riconversione ecologica di parte dell’apparato produttivo e delle prospettive di uso del territorio che pure vanno considerate con grande attenzione.

Lasciamo anche da parte, per motivi di economia del discorso, i temi dell’intreccio inedito che si sta realizzando, ormai da qualche anno, tra struttura e sovrastruttura, in particolare nell’informazione: si tratta comunque di un tema assolutamente decisivo nella lotta sociale e politica di oggi.Come può essere possibile avviare un programma di questo tipo nelle condizioni di crisi globale dentro cui, oggettivamente, ci stiamo trovando?

Se esiste ancora, anche in forma surrettizia dal punto di vista della presenza politica ed elettorale, una sinistra che intenda portare avanti, assieme, un programma di opposizione e di alternativa, senza cadere nella trappola dell’omologazione ai modelli dell’avversario e senza legarsi a settori politici dai quali possono venire soltanto elementi di ulteriore sopraffazione per il movimento operaio, si ha il dovere di pensare, appunto, nei termini dell’opposizione per l’alternativa, lavorando prima di tutto sul tema della propria autonomia politica, programmatica, organizzativa.

* Franco Astengo – Savona, politologo

2 Commenti

  1. Che dire.. Accolgo con piacere questa ennesima analisi del Prof. Astengo che stigmatizz ain modo IMPLACABILE e INAPPELLABILE la politica condotta sin ad oggi dal PD nel suo processo di mutazione in atto.
    Complimenti per il Suo solito autorevolissimo scritto e grazie.
    Sarebbe da declamare in televisione in prima serata a reti unificate.
    (non so come si possano rappresentare gli applausi..:-)

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