Political Essay – TRANQUILLI: NON STANNO RIFACENDO LA DC

di Franco Astengo – Il tramestio che sale dalle manovre in corso attorno al centro del sistema politico italiano e alla figura del Presidente del Consiglio “ex-tecnico” molti osservatori hanno tratto l’indicazione ( o il timore, o la speranza?) che ci si stia apprestando a rifare l’antica DC: o almeno un soggetto che, stabilmente, possa ricoprire un ruolo “pivotale” per un lungo periodo, offrendo stabilità e limitata alternanza nei ruoli di governo ad altri, superando la forzatura del “bipolarismo all’italiana” che, attraverso l’avvento di due diversi sistemi elettorali tra il 1994 e il 2005, ha dimostrato di non funzionare se non in chiave di “referendum personalistico” attorno a quello che è stato considerato il personaggio “chiave” per l’intero sistema.

Se dal giudizio negativo sul bipolarismo nasce, indubbiamente, una parte dell’attivismo al centro che stiamo notando in questi giorni, a mio parere non si sta proprio per ricostruire la DC.

Allora ho pensato utile ricostruire, in chiave di comparazione storico-politica, alcuni dei tratti che hanno caratterizzato la presenza della “Balena Bianca” nella vita politica italiana tra il 1945 e il 1992, allo scopo di fornire anche a coloro che fossero eventualmente interessati all’argomento alcuni concreti spunti di riflessione.

Per oltre quarantacinque anni la Democrazia Cristiana è stata il partito dominante in Italia. Tra il 1945 e il 1992, la DC ha avuto il consenso della maggioranza relativa degli italiani, riuscendo a conquistare (almeno sino alle elezioni del 1983) in media circa il 40% dei voti e fornendo di conseguenza, fino al giugno del 1981, tutti i Presidenti del Consiglio. Per tutto questo periodo la DC concluse alleanze di governo con tutti i partiti, salvo che con i comunisti e l’estrema destra, dai quali accettò il sostegno parlamentare, allorquando questo risultò necessario per conservare il potere.

Avvalendosi dell’operato di un’ampia varietà di iniziative collaterali (dalla CISL all’Azione Cattolica) la DC riuscì a penetrare in larghi settori della popolazione.

Nella politica interna il suo maggior alleato fu rappresentato dalla Chiesa Cattolica, mentre nella politica estera dagli USA: entrambi hanno appoggiato la DC in tutte le campagne elettorali del periodo preso in esame.

Il Partito democristiano fu costituito nel 1942, per effetto della fusione di gruppi cattolici antifascisti e resti del PPI, formazione cattolica fondata nel 1919 e sciolta dal regime fascista nel 1926.

Subito dopo la sua costituzione la DC prese parte attiva all’alleanza antifascista, diventandone con il PCI la forza determinante.

Nel Luglio del 1944, con il Manifesto di Milano, la DC elaborò un programma da Partito cattolico interclassista, rivolgendosi a tutti gli italiani non marxisti e non fascisti.

Il gruppo dirigente del nuovo Partito proveniva in prevalenza dal PPI e la sua base, che già nel 1945 contava più d mezzo milione d’iscritti, sin dall’inizio ha rispecchiato pressoché tutti gli strati della popolazione.

Negli anni dell’immediato dopoguerra la DC ebbe qualche vantaggio rispetto ad altri partiti, non solo perché aveva recuperato il personale e l’elettorato del vecchio Partito Popolare, ma anche perché offrì una nuova patria politica ai seguaci del Partito Liberale, il quale dopo essere stato per lungo tempo il Partito della grande borghesia, si era però screditato a causa della collaborazione prestata da molti suoi esponenti allo stato fascista.

Il vantaggio della DC divenne più tangibile grazie all’appoggio della Chiesa che, con un’Azione Cattolica forte di 800.000 iscritti (1946) servì a ricostruire una solida base organizzativa: nel 1945 furono fondate 12.000 sezioni democristiane, due terzi delle quali per iniziativa del clero locale o direttamente dalla stessa Azione Cattolica.

A metà degli anni’50 il vecchio gruppo dirigente, che proveniva in gran parte dal Partito Popolare, venne sostituito dalla nuova generazione dei dirigenti formatisi soprattutto nell’opposizione al fascismo.,

Per la prima volta, allora, emersero chiaramente quelle contraddizioni che poi caratterizzarono a lungo la vita della DC.

I lavoratori cattolici trovarono una loro specifica espressione in due correnti di sinistra, nate nel 1952-53, mentre gli imprenditori e i notabili del Sud facevano capo soprattutto alla destra del Partito.

La distensione tra Est e Ovest e il ritiro del Vaticano dalla politica interna italiana (avvenuta sotto il pontificato di Giovanni XXIII, nelle cui encicliche l’anticomunismo passò in secondo piano, in favore delle dottrine sociali della Chiesa) concorsero, poi, a determinare un clima, grazie al quale nel 1963 la DC poté formare con il PSI una coalizione di centro-sinistra, il cui fine principale era quello di coniugare una modernizzazione del capitalismo (da realizzare, fra l’altro, attraverso una programmazione dell’economia) con il riformismo sociale. Negli anni ’70, dopo aver bruciato ulteriori possibilità di coalizione e di fronte alla svolta a destra dei ceti medi non – dipendenti (commercianti, piccoli proprietari, ecc) così importanti per la DC portarono il Partito, esaurita la fase della solidarietà nazionale (1976-1978) situatasi al centro dell’intensificazione dell’attività terroristica culminata con il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro, al ritorno all’alleanza con il PSI (mutato geneticamente con l’avvento alla segreteria di Craxi e assunta a linea del cosiddetto “decisionismo”) attraverso la formula del “pentapartito” (comprendente anche PSDI, PRI, PLI), ma nel quadro politico si manifestavano già i segnali di una crisi di fondo, dalla quale la DC restò colpita, per almeno tre ragioni principali:

a) La “spoliticizzazione”, ovverosia la liberalizzazione del cattolicesimo, indebolì il più importante fondamento ideologico della DC. Anche l’anticomunismo, che costituì da sempre il cemento più potente dell’eterogeneo elettorato democristiano, perse di forza e di ragione con il crollo dei regimi dell’Est;

b) Il prolungarsi della crisi economica, che mise in pericolo la legittimazione della DC come Partito permanentemente detentore della massima parte del potere politico;

c) L’accentuata divisione in correnti rese impossibile una politica unita e coerente della DC. All’interno del partito operò così una equivalente della cosiddetta “partitocrazia”, che può oggi ben essere definita ( a posteriori) come “correntocrazia”, vale a dire una situazione in cui la politica del Partito dipendeva strettamente dai rapporti di forza di volta, in volta, esistenti tra le correnti interne.

La crisi economica fu, dunque, causa ed effetto della crisi politica.

La perdita di egemonia da parte della DC si tradusse nell’incapacità di adattare tempestivamente la struttura interna dello Stato e delle sue funzioni di sviluppo economico, anche durante il periodo del centro-sinistra e della successiva fase della solidarietà nazionale, nel corso della quale non si produsse il necessario recupero del preesistente deficit d riforme.

Si aprirono così le porte al consociativismo fra i partiti e la decisionismo irresponsabile, che alimentarono la grande “questione morale” che (unitamente ad altri fattori di carattere internazionale: dal superamento della “logica dei blocchi” al trattato di Maastricht) portò, all’inizio degli anni’90 del XX Secolo, a una traumatica modificazione del sistema: la DC, come del resto il PSI e i loro alleati minori e in una dimensione diversa il PCI (mutamento di nome e scissione) implosero aprendo un vero e proprio vuoto al centro del sistema politico, vuoto che fu colmato da una formazione, Forza Italia, dalle caratteristiche affatto diverse e sulle cui origini e storia non è possibile intervenire in questa sede per ovvie ragioni di comodità ‘intervento.

Questo breve excursus ritengo abbia fornito ragioni sufficienti per comprendere che il “rassemblemant” centrista che si sta formando in vista di questa tornata elettorale non potrà essere considerato un momento dell’impossibile ricostituzione della DC, anche se è evidente che si è nuovamente verificato un vero e proprio “vuoto” al centro del nostro sistema politico.

Le ragioni per le quali la DC non potrà essere ricostituita possono, in ogni caso, essere riassunte in questi quattro punti:

1) Il mutamento del quadro internazionale: dal superamento del bipolarismo, all’avvento di una sola supèrpotenza, alla globalizzazione, al ruolo dell’Europa nella crisi;

2) Il cambiamento avvenuto nei riferimenti sociali e nel ruolo stesso dei partiti politici all’interno del sistema italiano;

3) Lo sconvolgimento nell’insieme delle relazioni dei soggetti politici dovuto al mutamento dei sistemi elettorali, soprattutto a livello locale, all’avvento della personalizzazione e di nuove forme di notabilato;

4) Emerge, in particolare nel corso di questa fase, la difficoltà di elaborare un progetto politico di tipo “interclassista”, considerato non solo il già citato mutamento nella struttura di relazione tra la società e la politica, ma il fatto che la qualità della crisi tende a ridefinire la figura del “consumatore” ( socialmente centrale fin dagli anni’80) in una dimensione più netta di stratificazione sociale che, per certi versi, richiama proprio l’identità di classe, almeno sotto l’aspetto della valutazione nella gerarchia dei bisogni sociali.

Al centro del sistema politico italiano si potrà formare, forse, un partito “liberal” fondato sul concetto della “Democrazia di competenza” e sulla figura del leader: tutto diverso, insomma, da quell’effettivo partito di massa che è stata la DC.

* Franco Astengo – Savona, politologo

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