Political Essay – LE RAGIONI DELL’ASTENSIONISMO (DIMENTICATO?)

di Franco Astengo – I risultati delle elezioni amministrative di primavera, in particolare l’esito delle elezioni regionali siciliane, avevano mostrato il fenomeno dell’astensionismo quale vero e proprio “convitato di pietra” all’interno del sistema politico italiano, in grado di fare davvero la differenza tra i diversi schieramenti.

Oggi, nel clangore sollevato dai mezzi di comunicazione di massa (ed anche dal web) circa le vicende preparatorie alla prossima fase elettorale che si concluderà il 24 Febbraio, pare ci si sia sostanzialmente dimenticati del fenomeno che i sondaggisti, unanimi, stanno valutando come in calo, così come in calo appaiono i rappresentati della protesta anti-politica che pure anch’essi, nei mesi scorsi, parevano in decisa risalita nel favore dell’opinione pubblica.

Abbiamo avuto due mesi interamente occupati dalle primarie del PD, con un esito di tre milioni circa di partecipanti, in calo rispetto ad analoghe occasioni e senza ricordare che nelle liste elettorali sono iscritti circa 50 milioni di elettrici ed elettori (quanto alle primarie il fenomeno appare già in calo, probabilmente i numeri della tornata in corso in queste ore per la “scelta”, si fa per dire, dei candidati al Parlamento risulterà alla fine assai ridimensionata rispetto ai numeri); poi si è trattato di “scendere di nuovo in campo”, oppure di “salire in politica”, quindi – proprio nell’attualità – un ritorno prepotente del fenomeno della personalizzazione della politica, accompagnato dal protagonismo soggettivo di magistrati che scelgono, come già in passato, la via del Parlamento per combattere fenomeni criminogeni e mafiosi.

Quanto alle “primarie” verificheremo in seguito quanto il loro esito corrisponderà all’effettiva formazione delle liste: un elemento che risulterà particolarmente interessante in SeL. Insomma: la scena sembra proprio presa dalla politica “politicienne”, autoreferenziale all’interno del suo bicchier d’acqua scambiato per il Mar dei Sargassi e si tende a far dimenticare le ragioni vere della profonda disaffezione che continua a pervadere (e non ci sarebbero motivi perché fosse diversamente) larga parte del corpo sociale.

Provo a ricordarne alcuni di questi motivi, partendo da un presupposto fondamentale: da alcuni anni gli analisti politici non solo considerano legittima la scelta astensionista quale elemento di effettiva scelta politica (e non di semplice neghittosità soggettiva, anche se l’astensionismo “politico” è sempre stato ridotto di dimensioni ma presente: dagli anarchici, ai bordighisti, a Lotta Comunista) spostandone l’obiettivo dal “lasciar fare, tutto va ben madama la marchesa” (come si pensava fino a qualche anno fa, in particolare nel caso statunitense) all’espressione di una dimostrazione di motivata protesta (un po’ come nel caso del “voto contro tutti” di derivazione prima sovietica, e adesso russa).

Verifichiamo, allora, le più importanti ragioni che possono spingere l’elettorato italiano, in questo momento, verso un astensionismo che, rispetto ai precedenti riguardanti le elezioni politiche, si preannuncia comunque da record: ricordo che, in Italia, all’epoca del proporzionale contraddistinto dagli 8 partiti “classici”, la partecipazione al voto, tra il 1948 e il 1987 aveva sempre superato il 90% e che il calo, assai netto, verificatosi fin dall’avvio del sistema maggioritario era stato giudicato, un po’ incautamente, come un semplice “riallineamento” verso le medie europee, quindi quasi come un segno di modernizzazione dell’elettorato non più costretto nella gabbia dell’obbligo verso i grandi partiti di massa, che nel frattempo implodevano lasciando spazio ai partiti acchiappatutti, azienda, personali, ecc,ecc. Dunque procedo per ordine:

1) L’effetto pesante della crisi economica, della crescita della disoccupazione, di condizioni di vita in costante peggioramento. Sarà difficile convincere i minatori del Sulcis della bontà di questa o di quella ricetta, oppure i giovani che al 33% sono disoccupati, o i pensionati che si trovano, al 50% della categoria al di sotto dei 750 euro mensili. Ma altre questioni, dalla qualità dei servizi, a quella delle infrastrutture, alla difesa ambientale, non appaiono certamente come temi forieri di una campagna elettorale favorevole alle diverse forze politiche, salvo affrontarli con il piglio populista, da un lato di tipo imbonitorio e dall’altro di tipo per così dire “distruttivo”;

2) In quest’ultimo scorcio di tempo è emerso il fenomeno dei privilegi del “ceto politico “ (mi scuso del tono giornalistico, ma non ho reperito migliore definizione, se non quella, un po’ sarcastica di Giannini degli “ottimati”) con relativi scandali. Ricordando che nulla è stato fatto su questo terreno, se non provvedimenti davvero “foglia di fico” come quello dell’incandidabilità (sul quale andrebbe aperto un lungo discorso) vale la pena citare soltanto il “caso Lusi” quale emblema di una situazione davvero imbarazzante (ce ne sarebbero tantissimi altri, “er Batman”, la famiglia Bossi e affini, ecc, quasi tutto il Consiglio Regionale della Lombardia). Soprattutto sono le cifre che corrono, assolutamente offensive per tutti i cittadini e non soltanto per quelli che ho citato al punto 1. Questo eccesso di privilegi determina anche il fenomeno di queste ore, della resistenza a lasciare il seggio dopo decenni di Parlamento, l’affollamento all’iscrizione nella lista dei possibili candidati, ecc,ecc.;

3) La mancata modifica del sistema elettorale. Credo non ci si ancora piena consapevolezza, tra le elettrici e gli elettori, che si torna per la terza volta alle urne nel giro di sette anni senza che esista alcuna possibilità di scelta rispetto alle candidate e ai candidati presenti in lista. Ritengo si tratterà di un fattore del tutto dirompente, in questo tipo di situazione.

In sostanza: in questo momento che il fenomeno dell’astensionismo pareva nascosto come la polvere sotto il tappeto dalla funzione corifea svolta dai mezzi di comunicazione di massa, il fenomeno dell’astensionismo appare ancora non semplicemente presente all’interno delle dinamiche politiche del nostro Paese, ma anche in grado di determinarne l’indirizzo, ricordando in ultimo che i passaggi di fronte sono sempre stati, in Italia, molto limitati numericamente al momento del voto.

* Franco Astengo – Savona, politologo

1 Commento

  1. E’ ormai giunto il momento di integrare il corredo democratico comprendendo il fenomeno astensionistico come insopprimibile manifestazione di protesta.
    Se una corrente di pensiero vedeva l’astensione come menefreghismo credo che non tenere conto della protesta che si esprime con una “non azione” come l’astensione rappresenti effettivamente un comodo alibi per evitare un confronto sul piano politico con il popolo non organizzato.
    Ma come poterlo fare?
    Il non esercizio del voto dà diritto a meno considerazione?
    Sarebbe praticabile un eventuale legittimazione del “peso politico” di chi stà a casa per protestare.
    Una norma semplice potrrebbe esser quella di invalidare elezioni di qualsiasi tipo che non vedano votare almeno il 50.01% della popolazione avente diritto…ma potrebbe anche essere una pecentuale troppo bassa, visto che se la democrazia è il governo del popolo e questo si rifiuta di votare e quindi di governare, lasciar governare chi non gode di sufficienti poteri di rappresentanza, pare essere altrettanto poco democratico.
    Un altra regola fors eun po insolita ma comunque tesa alla ricerca della democratica rappresnetanza di tutti potrebbe essere quella di assegnare alla quota di elettori astenuti i corrispondenti seggi in Parlamento, scegliendo i parlamentari a sorte tra coloro che non si sono recati alle urne. …
    Una maniera forse un po forzosa di indurre i disaffezionati dalla politica ad esecitar eil loro diritto-dovere, che potrebbe contenere l’altro fenomeno del voto di protesta assegnato per disperazione primo che passa pur non condividendone la politica.
    Resto comunque dell’idea che un paese il quale conta le nostre percentuali di astensione dovrebbe indurre nei politici una dovuta riflessione su quanto sia a loro carico la deriva raggiunta dal sistema.

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