Cinquant’anni fa… il ROCK

di Alfredo Sgarlato – Su quando sia nato il rock si disputa da tempo. Generalmente si prende in ipotesi l’uscita del primo 45 giri col termine rock nel titolo, “Rock around the clock”(1954) di Bill Haley. Ma attenzione, quello è il primo disco di rock “bianco”: i neri suonavano rock già da anni, e si considera prima incisione “Rocket girl” di Ike Turner (1951). Però quello era rock’n’roll, musica adolescenziale, un misto di rythm and blues e country suonato con le chitarre elettriche, con testi basati su metafore sessuali.

Nel 1962 tutto cambia. Bob Dylan pubblica “Blowin’ in the wind”. Il 12 luglio si esibisce per la prima volta dal vivo un gruppo formato da Mick Jagger, Keith Richards e Brian Jones, che da quella sera si chiameranno The Rolling Stones. Ad agosto Ringo Starr si unisce ai Beatles che a settembre entrano finalmente in sala di incisione. Per anni la stampa musicale vivrà della rivalità Beatles- Stones, dimenticando Who e Kinks, altrettanto importanti. Gli Stones brutti (ma Jagger è un sex symbol), sporchi cattivi e drogati, i Beatles carini e baronetti, sebbene le loro storie di droga e sesso non se le siano mai risparmiate mentre alcune dichiarazioni di Lennon scatenavano roghi di dischi, in Europa.

La musica in quegli anni è ancora acerba: blues rivisitato per gli Stones, figli del soul e del vaudeville (l’equivalente d’oltralpe del Varietà) i Beatles. Poi col ’66/’67 cambia tutto: Beatles e Stones iniziano a contaminare, debuttano Velvet Underground e Frank Zappa e quindi Doors, Pink Floyd, Jimi Hendrix. Van Morrison e Tim Buckley pubblicano capolavori assoluti come “Astral weeks” e “Happy sad”, che non sono più solo rock ma musica totale. Fino al 1982 circa il rock è la vera avanguardia, con filoni come progressive, psichedelia, kraut rock, new wave. Poi cala la creatività, inizia l’era del revival e si impongono stili come metal, grunge, emo, sulla carta un ritorno al rock sporco e cattivo, in realtà molto commerciali e reazionari.

Intanto i Beatles si sono sciolti e John e George sono morti (e Paul?). Gli Stones sono ricchissimi, hanno perso Brian Jones annegato, mentre Keith Richards afferma: non ho mai avuto problemi con la droga, solo con la polizia. Ne gli anni ’60 i musicisti rock cantavano slogan come “non fidarti di chi ha più di trent’anni” o “I hope I die before i get old”. Hanno cambiato idea.

* il trend dei desideri: rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato

2 Commenti

  1. Aggiungo all’ottimo articolo la situazione che era degli USA. Il rock era un movimento giovanile che si contrapponeva al movimento folk. Si odiavano e si differenziavano per vestiti e atteggiamenti. Si menavano addirittura. Poi Dylan ha scritto “Like a rolling stone”. Un brano rock intelligente fatto dal re del folk ( con grande disapprovazione del “suo” pubblico ) che dava testa alle gambe, un senso al ritmo. Per me il rock nella sua accezione moderna e migliore è nato lì e secondo me resta in gran salute. L’italia, politicizzata e culturalmente emarginata, sottomessa a Sanremo e incapace ( come ancora ora) di identificare la musica come cultura ed espressione non capirà un piffero e classificherà l’alternativo nel girone del bizzarro e del giovanilistico con la solita stolta morale dell’ “un giorno cresceranno”; posizione mai cambiata.

  2. L’intervento di Sgarlato – come al solito – è puntuale e consapevole; la mia opinione a riguardo è semplice, e mi permetto di condividerla coi lettori.

    Mezzo secolo sono un bel numero di anni per impossessarsi di quel fattore determinante nella valutazione di qualsiasi fenomeno (culturale, politico, economico, geografico, ecc…): la PROSPETTIVA STORICA. Se, cinquant’anni dopo le prime esibizioni live degli Stones, migliaia di persone in tutto il mondo continuano a suonare la loro musica, e milioni di persone continuano ad ascoltarla, vuol dire che ciò che appariva “rivoluzionario” in tempo reale, oggi è entrato a far parte delle abitudini musicali (attive o semplicemente di fruizione) della gente comune.
    La commercializzazione musicale si basa su dinamiche differenti da quelle della creazione musicale, e queste dinamiche sono a loro volta basate sulla rapida alternanza di hits e tormentoni del momento: Internet, carta stampata e scaffali di negozi di dischi si riempiono (e si svuotano…) di prodotti (confezionati a tavolino) che non durano più di tre-quattro mesi.
    Se proprio vogliamo dare un merito alle rock bands di cui si parla nell’articolo, credo che questo merito vada ricercato nell’assoluta artigianalità della loro musica (almeno agli esordi). I messaggi che mandavano, poi, erano espressione diretta della società di quel tempo, in cui la gioventù non faceva altro che ripetere un copione già visto in altre epoche: acquisire credibilità e ruolo determinante in una società gerontocratica. Invecchiando, è abbastanza naturale che proprio coloro che inneggiavano al morire giovani debbano ricalibrare le proprie convinzioni in funzione del mutato scenario.

    Vasco insegna, a questo proposito: tour sospeso per motivi di salute, annuncio del ritiro dalle scene… E poi? Una rivisitazione in chiave sinfonica, con l’Orchestra della Scala, delle sue hit più famose, e la promessa di un tour nei palazzetti per il 2013.
    Voglia di svecchiare un repertorio il quale lui stesso è obbligato a proporre per non scontentare i suoi fans?
    Tentativo di arrampicata sociale?
    Nuova linfa ad un marchingegno che ha perso la creatività degli inizi?

    Quando c’è di mezzo il mercato, la qualità artistica non copre un ruolo predominante, e – citando Battiato – risulta difficile restare calmi ed indifferenti mentre tutti intorno fanno rumore.

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