Politica e deglobalizzazione

di Franco Astengo – “Ne consegue allora. Sempre con altrettanta semplicità, che dirsi favorevoli alla deglobalizzazione, non è altro, genericamente parlando, che un modo per dichiarare di averne abbastanza di tutto questo”: così Frederic Lordon, conclude un suo importante intervento pubblicato sul numero di Settembre de “Le monde diplomatique”.

L’argomento trattato nell’articolo è quello della “deglobalizzazione” considerata una concreta ipotesi “antagonista” all’adagiarsi sulla crisi che pure ha contraddistinto, sul piano dell’analisi, anche spezzoni importanti del movimento no-global, contribuendo alla cancellazione del fattore “politico” e, di conseguenza, alla caduta verticale del concetto di democrazia.

Vale la pena, allora, approfondire alcuni passaggi e tentare anche un’indicazione conclusiva, sommaria ma proiettata “in avanti”. Si tratta, allora, di partire da un primo punto di riconoscimento comune: la sinistra deve cercare, prima di tutto, di ritrovare se stessa recuperando un collegamento andato smarrito con l’andare del tempo.

Schierarsi con le sofferenze dei lavoratori dipendenti e giudicare insopportabili disuguaglianze, precarietà e infelicità non basta se non s’intrecciano questi fenomeni alle loro cause strutturali: la liberalizzazione finanziaria e il potere degli azionariati, la realizzazione di un’Europa che sceglie deliberatamente di esporre le politiche economiche alla disciplina dei mercati finanziari, ecc., ecc.; insomma tutto l’armamentario dell’enorme processo speculativo in atto ormai da molti anni, senza contrasto alcuno.

In secondo luogo occorre riconoscere come sia ancora valida l’idea che la comunità umana, in senso ampio, è necessariamente attraversata da antagonismi, alcuni dei quali nascono dal vissuto delle nazioni (l’accantonamento totale dell’idea dello “Stato-Nazione” è apparso, perlomeno, frettoloso e improvvido); egualmente, però, deve essere ricordato come non tutti gli antagonismi rispondono alla realtà nazionale, ma anche a elementi trasversali: “in primis” l’antagonismo di classe. In questo senso non esiste una “primazia” tra antagonismo” nazionale” e antagonismo “trasversale”, ma esistono condizioni specifiche che pongono lo stesso antagonismo di classe in relazione a diversi “specifici” dell’assetto capitalistico, ponendo settori del proletariato, situazioni in una diversa condizione geo-politica, in una condizione di mutuo antagonismo, che non può essere negato.

In queste condizioni, riprendiamo Lordon, può accadere che in alcuni paesi piuttosto che in altri le strutture della finanza degli azionisti e delle pensioni capitalizzate pongano obiettivamente in conflitto diverse frazioni dello stesso mondo salariale.

E’ assolutamente inutile richiamare tutta questa gente ad astratte solidarietà di classe contro le strutture che le distruggono concretamente e che obiettivamente configurano i propri interessi creando questi rapporti antagonistici (si sarebbe detto un tempo “contraddizioni in seno al popolo”).

Sarebbe più utile, invece, ricostruire le strutture (cancellare la finanza dell’azionariato, sostenere con costanza la redistribuzione) per creare le condizioni concrete capaci di ricostituire le unità infrante e, a quel punto, far prevalere l’idea dell’antagonismo di classe sulle altre ipotesi.

Così come va smentita l’asserzione sostenuta dai globalizzatori di un protezionismo ragionato e negoziato che finirebbe con il nuocere agli interessi dei salariati dei paesi emergenti (si noterà, di sfuggita, che sistematicamente, in queste discussioni, la sorte dei salariati nazionali è considerata assolutamente trascurabile. Un discorso simile a quello di coloro che puntano al conflitto tra generazioni sulla questione pensionistica, ignorando completamente la condizione materiale d’intere generazioni di lavoratori.)

Un recupero, ripetiamo: ragionato e negoziato, del protezionismo potrebbe invece permettere di disincentivare il sistema al puntare tutto sulle esportazioni, con un passaggio a regimi di crescita più autocentrati (nell’idea non tanto di una “decrescita”, ma di un modello di “società sobria” da contrapporre a quella basata sull’individualismo consumistico).

Regimi di crescita più autocentrata che richiederebbero funzionalmente l’estensione e la stabilizzazione del reddito salariale. E’ solo quando i salariati nazionali sono sottratti ai rapporti antagonistici, imposti dall’iper-liberismo, che possono esprimersi solidarietà transnazionali.

Ma la questione della deglobalizzazione non può per niente esaurirsi nel protezionismo (dove i globalizzatori vorrebbero tanto accantonarla): deve essere invece, affrontato in pieno il problema fondamentale attraverso cui il tema – appunto – della deglobalizzazione prende veramente senso: quello, propriamente politico, della sovranità e delle sue diramazioni.

A questo proposito Dani Rodrik ha individuato (“La Repubblica, 8 Settembre 2011) il “trilemma” dell’economia globale, partendo da un’affermazione di fondo: non è possibile perseguire simultaneamente la democrazia, l’autodeterminazione nazionale e la globalizzazione economica.

Rodrik non ha dubbi, e noi con lui: la democrazia e la determinazione nazionale devono prevalere sull’iperglobalizzazione. Questa è la risposta all’analisi di Lordon, sulla sovranità e la deglobalizzazione.

Le democrazie hanno il diritto di proteggere i loro sistemi sociali, e quando questo diritto entra in conflitto con le esigenze dell’economia globale, è quest’ultima che deve cedere.

Lordon e Rodrik, nella sostanza, si pongono lo stesso interrogativo: quello del ruolo della politica, contrastando la tesi che i tempi dell’emergenza imposti dalla crisi globale impongano di scardinare le regole, distorcere le istituzioni, ridurre i diritti.

Il contrasto con questa idea della cessione di sovranità ai meccanismi della globalizzazione finanziaria e del soggiacere della “politica” alle sue logiche dovrebbe rappresentare, in questa fase, l’imperativo delle forze che intendono collocarsi “a sinistra”, ancorandosi alla realtà materiale della condizione delle lavoratrici e dei lavoratori, costruendo un’ipotesi “altra” di fuoriuscita dalla crisi.

Non intendiamo tediare ulteriormente i nostri interlocutori e non entreremo nel dettaglio di una possibile “pars costruens”, limitandoci a due indicazioni di fondo: per quel che riguarda l’Europa urge un collegamento tra tutti i soggetti che intendano misurarsi sull’idea della “deglobalizzazione” del recupero di una “sovranità democratica” attorno all’ idea della “Europa politica”; nella realtà del “caso italiano” sarebbe importante, nella situazione di confusione totale in cui ci si trova, un collegamento unitario attorno all’idea di una “ri-costituzionalizzazione” della Repubblica, partendo proprio dal disegno che la Costituzione Repubblicana traccia attorno alla realtà del sistema politico.

1 Commento

  1. Democrazia,ma quale democrazia??Chi ci governa è libero di fare cio che crede meglio,con stipendi che i comuni mortali non se li sognano neppure,acquistando case e appartamenti in giro per il mondo,in oltre a prezzi “stracciati”,alcune volte forse regalati,poi vediamo i casi Cirio, Parmalat, Argentina, Alitalia ecc.ecc. elenco infinito,che combinazione vi han rimesso i cittadini forse convinti da banche e consulenti ad acquistare, carceri ospedali strade costruite e mai ultimati,abbadonati a se stessi, palazzi storici ristrutturati ed abbandonati,mentre vi sono enti,uffici dello stato,che pagano affitti stratosferici a privati,non faccio nomi per non avere querele,ma la realtà e questa,pensano alla saccocia loro, dei parenti ed amici degli amici,il popolo una volta sovrano,non è stupido, ridotte le ferie,ridotti i ponti festivi,addirittura si vogliono togliere delle festività,aumenti delle tasse quindi aumenti dei prezzi,bene fà chi per necessità evade ,costi stratosferici nel meridione,carenza dei servizi,tagli alle scuole e alla sanità,la totale mancanza di una nuova economia,banche che strozzano le piccole imprese,insomma è ora di dire basta,si volta pagina con chiarezza e sincerità,cosa che forse i politici al solo sentir parlare gli si raccapona la pelle.Tutto questo non è qualunquismo ,ma la pura e semplice VERITA’ ,per cio che riguarda la RAI perchè mai un cittadino deve essere obbligato a mantenerla,mentre le altre televisioni si mantengono da sole,in democrazia si deve poter scegliere,quindi se non si paga il canone si vengano tolti pure i canali RAI,visto l’inserimento del decoder, con l’offerta che vi è oggi se ne puo fare a meno,oltre tutto e palese che l’informazione va in una direzione,esattamente cio che i governanti decidono di dire o non dire,far credere o no,troppo monopolizzata,come d’altronde molti organi di informazione !!!Viva la Libertà di opinioni e di stampa,senza dover essere perseguitati!!

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