{"id":264462,"date":"2022-05-08T10:26:16","date_gmt":"2022-05-08T08:26:16","guid":{"rendered":"https:\/\/www.albengacorsara.it\/?p=264462"},"modified":"2023-09-12T12:16:21","modified_gmt":"2023-09-12T10:16:21","slug":"la-lingua-che-abito","status":"publish","type":"post","link":"https:\/\/www.albengacorsara.it\/2022\/05\/08\/la-lingua-che-abito\/","title":{"rendered":"La lingua che abito"},"content":{"rendered":"\n

di Alfredo Sgarlato<\/strong> \u2013 La settimana scorsa scrivevamo di Giorgio Scerbanenco, nato in Ucraina (allora Russia), che scrisse in italiano: ma poich\u00e9 si era trasferito in Italia da pochi mesi si pu\u00f2 assolutamente considerare scrittore italiano. Ma ci sono stati molti scrittori che hanno scelto di scrivere in lingue che non erano quella natale, e sono diventati tra i massimi esponenti di una letteratura per scelta e non per nascita. Due esempi simili e opposti vengono immediatamente alla mente.<\/p>\n\n\n\n

Il primo \u00e8 quello di Italo Svevo: nato Aron Hector Schmitz, in casa parlava dialetto triestino; cresciuto nell’Impero Austroungarico, diviene cittadino italiano sono negli ultimi anni di vita; fin da bambino studia italiano, tedesco e inglese e parla fluentemente tutti e tre. Quando si d\u00e0 alla scrittura sceglie l’italiano, bench\u00e9 non lo scriva perfettamente e spesso usi forzature linguistiche: sui banchi di scuola si apprende che Svevo \u00e8 un grande scrittore anche se \u201cscrive male\u201d. E lo \u00e8, per la novit\u00e0 (per l’epoca) dell’approccio psicoanalitico, per come anticipa l’esistenzialismo con la sua visione ironica e smagata dell’esistenza. Quale contrasto con la retorica dannunziana dei suoi tempi! Ma, volendo, potremmo chiederci quanti scrittori italiani siano effettivamente di madrelingua italiana, visto che fino almeno agli anni ’50 in casa si parlava solo dialetto, la televisione non esisteva e l’italiano si imparava a scuola come una lingua straniera.<\/p>\n\n\n\n

Il secondo \u00e8 ovviamente Vladimir Nabokov, esule russo e americano di adozione. Scrive in ambedue le lingue, ma \u00e8 dell’inglese, che pure \u00e8 la lingua appresa, che diviene un virtuoso, al punto che terr\u00e0 corsi di scrittura creativa in quel linguaggio, avendo tra gli allievi addirittura Thomas Pynchon, uno che quanto a virtuosismo non \u00e8 secondo a nessuno. Molti pensano che il suo romanzo pi\u00f9 famoso, \u201cLolita<\/em>\u201d, molto pi\u00f9 che una storia d’amore o un romanzo erotico sia la storia dell’innamoramento di Nabokov per la lingua inglese, e lo scrittore stesso fornisce questa chiave di lettura.<\/p>\n\n\n\n

Il pi\u00f9 noto esempio di scrittore che scrisse in una lingua appresa \u00e8 quello di Joseph Conrad: nato in Polonia, studia il francese e l’italiano; poi, dopo i vent’anni, quando inizia a lavorare come marinaio, impara l’inglese e legge opere in quella lingua che lo segnano per sempre. Cos\u00ec, quando a 36 anni abbandona la vita avventurosa per dedicarsi alla scrittura di romanzi, parzialmente autobiografici, \u00e8 l’inglese che sceglie come narratore. E oggi \u00e8 considerato tra i maggiori scrittori in quella lingua, che pure apprese da autodidatta e gi\u00e0 adulto.<\/p>\n\n\n\n

Infine non possiamo dimenticare Samuel Beckett, irlandese, che si trasferisce definitivamente a Parigi nel 1939, dopo lunghi vagabondaggi per l’Europa. Beckett studia francese e italiano, lingue che padroneggia bene fin da bambino, scrive le prime opere in inglese, ma \u00e8 tra i maggiori epigoni della poesia irlandese. Ma \u00e8 in francese, lingua in cui, dice, trovava pi\u00f9 facile scrivere “senza stile”, che scrive quelli che saranno considerati i suoi capolavori, come \u201cAspettando Godot<\/em>\u201d e la trilogia dei romanzi. Chiudendo il cerchio potremmo citare James Joyce, irlandese come Beckett e amico di Svevo negli anni vissuti a Trieste, in cui aveva imparato a parlare con facilit\u00e0 italiano e dialetto. Nel suo capolavoro molto citato e pochissimo letto, \u201cFinnegans wake<\/em>\u201d, Joyce usa oltre quaranta lingue, con cui inventa continui giochi di parole.<\/p>\n\n\n\n

Facendo ricerche per scrivere questo articolo scopro che il primo tentativo di tradurre in italiano Finnegans wake \u00e8 di Juan Rodolfo Wilcock, argentino naturalizzato italiano. Amico di Borges e Bioy Casares con cui viaggi\u00f2 a lungo, traduttore dal francese, inglese, tedesco, italiano, scelse nel 1957 l’Italia come patria e l’italiano come lingua, scrivendo romanzi e traducendo un altro irlandese intraducibile, Flann O’Brien.<\/p>\n\n\n\n

Scrive Emil Cioran, filosofo rumeno di nascita e francese di adozione, anche lui perfetto bilingue: \u201cNon si abita un paese, si abita una lingua. Una patria \u00e8 questo, e niente altro.\u201d Molti non saranno d’accordo, eppure \u00e8 il caso di rifletterci su.<\/p>\n","protected":false},"excerpt":{"rendered":"

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