Elogio della laicità: religione, scienza e libero pensiero

di Carlo Pascal – I. Il sentir parlare di libero pensiero ispira oggi a molti, anche di mente aperta ed elevata, diffidenza, preoccupazione e sospetto. Essi non sanno raffigurarsi altro tipo di libero pensatore, se non come congiurante nel pensiero di conventicole settarie ai danni dell’ordine morale e religioso, se non come tronfio di vana superbia e di più vano dispregio, pronto ad accogliere con un indefinibile sorriso di commiserazione chi della religione parli come di un fattore primario nella vita dei popoli. Mi preme dir subito che chi ha il vero culto del libero pensiero rispetta innanzi tutto la libertà di coscienza. Giacché le varie professioni religiose sono tuttora, per la grande maggioranza dell’umanità, l’unica fonte di vita morale. Certamente, anche all’infuori di esse, gli spiriti devoti alla serena e severa investigazione del vero, raggiungono un grado eccelso di altezza e dignità morale, e spesso anche portano nella vita tutto il tesoro di una bontà semplice e sorridente, di un candore indulgente e soave. Ma nelle condizioni della vita che ne circonda, per milioni di coscienze l’adorazione religiosa significa pur sempre conformare la condotta del vivere ad una immagine sublime di purità, di sacrifizio e di amore e dalla elevazione quotidiana dello spirito verso tal tipo e modello non è possibile che non derivino all’umanità tutta benefici effetti. Che cosa daremmo noi, quando togliessimo conforti e speranze, a milioni di anime, cui le intime compiacenze intellettuali furono negate, ma che pur conservano vivace questo bisogno dello spirito, di tendere verso una forma più luminosa di bene, tendenza dalla quale deriva alla loro vita tanta virtù di morali benefici?

Libertà di pensiero, dunque, significa prima di tutto libertà di coscienza. La coscienza è patrimonio sacro, alla cui maestà non debbono attentare né violenze repressive, né inani dispregi, né derisioni invereconde. Trovi ciascuno, nel segreto dell’anima sua, le energie della sua vita morale; trovi nell’intimo sentimento della sua fede le acri punture dei rimordimenti salutari, le liete soddisfazioni del bene compiuto. Il libero pensiero è anzi vigile tutore e custode della libertà di coscienza, in quanto impedisce che uno dei culti acquisti siffatto imperio sugl’istituti civili da spingere i pubblici poteri a perseguitare e sopprimere tutte le altre forme religiose, e cioè a violare la libertà individuale in ciò che essa ha di più sacro e di più intimo. Uno Stato che adotta una religione ufficiale e la impone ai cittadini, è uno Stato teocratico, pur quando della teocrazia non ha le parvenze esteriori. Lo Stato invece deve assicurare esistenza libera e decorosa ad ogni forma di vita sociale, scientifica e religiosa.

La religione non accetta tal concezione dello Stato. Ogni forma religiosa è, per sua natura, esclusivista, inquantoché crede di essere la sola in possesso della verità, e stima fallaci le altre credenze tutte. E il cristianesimo, fin dal suo primo trionfare, cominciò ad essere intollerante di qualsiasi altra forma di adorazione divina. In ciò i suoi propugnatori erano logici e conseguenti; erano, soprattutto, animati da sincero desiderio di bene. La dottrina che essi possedevano, era, per essi, la verità assoluta, rivelata da Dio: ogni altra dottrina era l’errore e il peccato. Essi credevano quindi opera di carità sopprimere, anche con la forza, ogni altro culto, giacché il far ciò equivaleva per essi ad estirpare la mala pianta dell’errore e stabilire il regno della verità sulla terra. Ovunque fosse un fermento di contagio peccaminoso, si doveva agire senza esitanze e senza riguardi. Non parlo ora dei mezzi adoperati, delle crudeltà cui si trascese, delle tenebre che ne seguirono: parlo del principio che ispirava tutto questo moto di repressione e lo giustificava.

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Si aggiunga che il cristianesimo non fu soltanto un organismo di dottrine morali, ma volle essere altresì un organismo di dottrine scientifiche e partì in tal campo dal concetto che ogni umano sapere fosse stoltezza innanzi al sapere divino: sicché anche per questa parte esso doveva ripudiare la libertà della ricerca scientifica ed impedire che la stoltezza si propagasse per il mondo. La scienza vive di dubbi e di lente affannose conquiste, non parte da dogmi fissi ed assoluti, non preclude il campo alla ricerca: tutto ciò era in contrasto evidente con una dottrina che si annunziava rivelata da Dio stesso, che escludeva ogni dubbio, che imponeva il suo dogma, che chiamava stoltezza ogni umano sapere. Tutta questa condizione di cose dura tuttora, per quanto dissimulata con abili temperamenti e docile ormai alle esigenze dell’età nostra; ma ancora oggi chi ha spirito cristiano non può ammettere che si conceda la libertà di altri culti e di altre dottrine, giacché questo equivale per i cristiani al concedere la libertà del male e dell’errore, al far propagare il peccato, al mandare in perdizione anime traviate, all’assicurare l’imperio del mondo ai dèmoni maligni, allo spregiare la parola e il comando di Dio. Il dissidio adunque tra religione e libero pensiero non è dovuto a speciali contingenze odierne, non è dovuto a disgusto dell’una per intemperanze dell’altro, o ad irriverenza dell’altro verso la secolare maestà dell’una: il dissidio è più intimo, è nel principio stesso cui la religione s’informa e da cui trae la sua forza d’imposizione sulle coscienze degli uomini.

II. Risponde ai fini umani, ai fini, dico, di progressivo miglioramento umano, che lo Stato tuteli la libertà del pensiero. La superba pretesa di essere in possesso della verità, immutabile ed eterna, e d’imporla quindi agli uomini, ha per effetto di spegnere nei secoli ogni energia della mente, di annebbiare la vita morale, d’irrigidire in forme consuetudinarie le attività dello spirito. Al libero esame che affina l’intelligenza e ne promuove le nuove conquiste si sostituisce l’acquiescenza al dogma, che raddormenta. Alla iniziativa individuale, che sviluppa la coscienza degli atti propri e crea il senso della responsabilità e quindi della moralità umana, si sostituisce l’osservanza docile e cieca alle norme consuete ed imposte, l’indolenza del tentare nuove prove, il terrore del varcare i confini negati, l’assopimento dello spirito in questo quietismo increscioso di pensiero e di lavoro. Quella superba pretesa ci ha dato, dopo gli splendori della scienza e dell’arte classica, la notte del medio evo. Quella superba pretesa ha diffuso le tenebre sulle nazioni dell’Oriente, che già furono culla della civiltà umana. Esse ebbero fulgori di gloria; ora sembrano trascinare la vita in affannoso letargo. Tra i fulgori di un tempo e le tenebre di oggi ponete i secoli di schiavitù intellettuale che esse hanno vissuto, il cieco asservimento all’autorità sacerdotale, che pervadendo ogni lato della vita, imponeva a tutti modi e leggi uniformi pei secoli, l’irrigidirsi di ogni manifestazione del pensiero nelle forme sancite da quell’autorità, la scienza diventata dogma, il potere emanazione di Dio, l’uomo nell’assenza di ogni desiderio, di ogni passione, di ogni volontà, perfetto!

La storia dunque di questo decadimento è la storia dell’asservimento intellettuale di quei popoli. E per contro la storia del libero pensiero è la storia stessa del progresso umano. Da che le teorie bibliche prevalsero, e chiusero come in un cerchio di ferro le intelligenze, facendo cadere in discredito e in oblio tutte le conquiste della scienza greca, cominciò questo immenso dramma dell’umanità. E per ogni nuova affermazione ribelle quante lotte e quante persecuzioni! Poi, a mano a mano che sopra i singoli punti la spiegazione teologica perdeva terreno, s’iniziavano i tentativi della resa, e si ritornava sui passi biblici e si dichiaravano errate le interpretazioni antiche e si cercava di conciliare le nuove conquiste con la Bibbia, e si cerca tuttora! Cosi attraverso le tenebre secolari rifulge questa luce gloriosa di pensiero, di ribellione al giogo antico; e per virtù di tal ribellione l’umanità è passata dalla genesi alla geologia, dalle idee teologiche sui segni e sui presagi celesti alla conoscenza delle leggi degli astri, dalla vecchia teoria sacra dell’universo alla dottrina eliocentrica, dalla credenza nel principe delle potenze dell’aria alla meteorologia, dalle leggende sulla caduta dell’uomo alle scienze antropologiche ed etnologiche, dalla magia alla chimica e alla fisica, dalla credenza nelle ossessioni demoniache alla psichiatria, dalla leggenda sulla origine delle lingue babeliche alla glottologia, dalla dottrina della creazione alla dottrina della evoluzione, e in una parola dal dogma alla scienza. Ad osservare da lontano e con un solo sguardo complessivo tutto questo cammino luminoso, e a vederlo segnato di lotte, di persecuzioni e di martirii, si sente quasi per questa così superba, eppur cosi stolida, natura umana, rossore e pietà.

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(effe)Questo scritto di Carlo Pascal (1866-1926) fu pubblicato inizialmente sulla “Rivista d’Italia” nell’ottobre 1904 e successivamente riproposto, non a caso, da Pascal come appendice – con il titolo originale di “Religione e libero pensiero” – a un saggio su Ipazia raccolto nel suo libro miscellaneo Figure e caratteri (Lucrezio, L’Ecclesiaste, Seneca, Ipazia, G. Carducci, G. Garibaldi), Palermo, Sandron, 1908. Sull’autore, studioso, docente e latinista, si può vedere l’aggiornata voce curata da Giorgio Piras, Carlo Pascal, in «Dizionario Biografico degli Italiani» – Volume 81 (Treccani, 2014): http://www.treccani.it/enciclopedia/carlo-pascal_(Dizionario-Biografico)/