Rock (on) 2013: una buona annata

di Alfredo Sgarlato – Se siete tra quelli che pensano che il rock ci ha dato la stragrande maggioranza dei suoi capolavori nel biennio ‘67/’69 oppure ‘77/’79, è difficile darvi torto. Però il 2013 è stato, come si direbbe per il vino, un’annata di pregio. Molti dischi tra quelli passati sul mio lettore hanno superato la prova dell’ascolto puramente per motivi professionali per passare a quello motivato dal piacere.

Se come me amate voci profonde, atmosfere notturne, ritmi inusuali, non potete perdervi “Dream River”, del cantautore americano Bill Callahan. Dopo una carriera ventennale, in cui per lungo tempo si è fatto chiamare Smog, Callahan giunge al suo capolavoro, dopo un disco già notevole come il precedente “I wish we were an eagle”. Canzoni lunghe, con violino e flauto a ricamare su chitarre e percussioni. Sebbene Bill sia americano e l’influsso di Leonard Cohen e Neil Young innegabile, in questo disco si respira più il ricordo di misconosciuti cantautori inglesi, come John Martyn e Nick Drake. Gli possiamo avvicinare “Across six leap years”, in cui i Tinderstick reincidono con nuovi arrangiamenti alcuni brani rari del proprio repertorio.

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La voce incantevole di Stuart Staples accompagnata da poche note di piano, organo, vibrafono, musica da ascoltare a tarda notte, vicini permettendo, con un buon bicchiere in mano. Se cercate qualcosa di più originale, per quanto si possa esserlo in pieno terzo millennio, l’etichetta inglese Domino propone un tris d’assi: le atmosfere rarefatte dei These new puritans, con “Field of Reeds”, quasi più classica che rock, sul solco degli ultimi Talk Talk; la miscela di soul, jazz e new wave degli About Group, guidati dal leggendario batterista Charles Hayward, con “”Betwen the Walls”, la polistrumentista Julia Holter che col suo terzo album “Loud City Songs” si candida a credibile erede tanto di Kate Bush quanto di Joni Mitchell.

Ma se parliamo di strumentiste donne il 2013 è stato l’anno di Anna Calvi. L’affascinante musicista inglese di origini italiane aveva già convinto col primo album, in cui scriveva sinuose melodie da rock desertico che cantava con una bella voce debitrice della Regina delle tenebre Siouxsie. Col nuovo “One Breath” gli arrangiamenti si fanno più sofisticati e la qualità della scrittura è sempre molto alta. Negli ultimi anni sono apparse moltissime musiciste donne, che spesso hanno Siouxsie, o Cat Power, come muse ispiratrici, ma Anna Calvi ci sembra la più dotata.

Festeggiando il ritorno di Sua Maestà Nick Cave e della cult band My Bloody Valentine su ottimi livello e apprezzando il buono stato di forma di band ormai classiche dell’underground americano come Califone, Joan of Arc, Polvo, Yo La Tengo (orribile invece l’ultimo, noiosissimo, Flaming Lips, carino ma sottotono il nuovo Black Angels “Indigo Meadows”), chiudiamo la rassegna internazionale con due dischi che, pur non offrendo che una rivisitazione di stili del passato lo fanno nel migliore dei modi, cioè scrivendo grandi canzoni. “Fanfare” di Jonathan Wilson ci riporta di incanto nella California degli anni ’70, con impasti vocali alla Crosby Stills Nash & Young, chitarre soavi, ritmi jazzati alla Steely Dan, ma anche richiami a Beatles e Genesis. Wilson certamente cita i maestri, ma è cantante, chitarrista e arrangiatore sopraffino. E una canzone come “Fazon” non si dimentica. Anche gli MGMT sono americani, eppure la loro musica è quanto di più inglese si possa immaginare, Bowie, Marc Bolan e il glam rock, i Beatles ovviamente, i Kinks, la psichedelica pinkfloydiana, il synth pop anni ’80, persino il pop-jazz fantascientifico dei magnifici misconosciuti Pram, tutto quanto c’è di più inglese è ottimamente frullato e ricomposto nell’omonimo disco del duo di Brooklin.

E passiamo all’Italia. Metabolizzata la delusione per il nuovo Baustelle, poco riuscito, ci consoliamo con tanti prodotti indipendenti, Alenjemaal, Cactus, Molotoy, Ofeliadorme, Unepassante, Simona Getchen, Novadeaf, i savonesi I Venus e 3fingersguitar, tutti gruppi che sanno fare musica con buona tecnica e personalità, e non sfigurano davanti alle corazzate di oltreoceano. E c’è una consistente parte di Italia in uno dei progetti più interessanti dell’anno. “Still Smiling” di Teho Teardo, compositore di colonne sonore per Sorrentino, Salvatores, Chiesa, Societas Raffaello sanzo, e Blixa Bargeld, cantante e chitarrista degli Einsturzende Neubauten, a cui in alcuni brani si aggiunge il quartetto d’archi di Alexander Balanescu, storico collaboratore di Michael Nyman. Canzoni neoespressioniste in bilico tra avanguardia e tradizioni. Questa è l’Europa che ci piace.

* il trend dei desideri: la rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato

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