Aspettando Su la testa Festival 2013 – I protagonisti: quattro domande corsare a Paolo Bonfanti

di Alfredo Sgarlato – In attesa della nuova edizione di Su La Testa, vi presentiamo i musicisti che parteciperanno, ai quali abbiamo rivolto alcune domande.

Il primo a rispondere è Paolo Bonfanti, chitarrista, cantante e produttore artistico genovese, allievo di Armando Corsi e Beppe Gambetta, collaboratore di alcuni tra i maggiori gruppi e solisti blues italiani come Fabio Treves, Big Fat Mama e Red Wine.

Albenga Corsara.: Oggi c’è un forte movimento musicale in Italia: tempi di crisi aumentano la creatività?

Paolo Bonfanti: La situazione è un po’ strana, nel senso che sembrerebbe che ci siano più musicisti che ascoltatori, specialmente per certi generi. Il movimento in realtà ci sarebbe, ma molto spesso non ha sbocchi e dal punto di vista istituzionale gli investimenti sulla musica e sulla cultura sono ormai vicini allo zero. L’iniziativa è lasciata quasi totalmente al privato, con tutto ciò che ne segue nel bene e nel male

A.C.: L’esplosione delle nuove piattaforme digitali come You Tube o Bandcamp danneggia la possibilità di suonare dal vivo o aumenta le possibilità?

P.B.: Qui ci si può collegare alla domanda 1) nel senso che ormai la filosofia è quella di scaricare/vedere tutto, possibilmente gratis… il musicista ormai è considerato un lavoratore senza diritti e possibilmente da non pagare o pagare il meno possibile.

A.C.: Cosa pensa dei talent show? Sono un’occasione per i nuovi musicisti o solo una trovata commerciale?

P.B: I talent show sono una trovata commerciale che serve a far guadagnare ancora qualche lira ai grandi nomi di cui i partecipanti agli show eseguono cover. Dal punto di vista creativo sono zero perché quello che conta è l’immagine (quanto meglio riesci ad imitare la star di turno) e in realtà agli spettatori spesso importa più il litigio tra i giudici di gara che la musica in sé. Sinceramente il mio giudizio si basa però su poche manciate di secondi viste di sfuggita per cui prendetelo per quello che è…

A.C.: Il blues è uno dei linguaggi musicali che più si possono considerare universali: è giusto vederlo come tradizione non solo americana ma di ognuno di noi?

P.B.: È giusto vedere il Blues come una tradizione valida universalmente perché il 95% delle musiche che si ascoltano adesso hanno, volenti o nolenti, una radice nel Blues.

* © Foto: Paolo Bonfanti in uno scatto di Guido Harari (2013)

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