Ancora polemiche sulla caccia in Liguria; Enpa, "per i cinghiali esistono sistemi alternativi al fucile"

(fp) – L’assessore alla Caccia della Regione Liguria, Renata Briano, è tornata a replicare in queste ore alle polemiche di ambientalisti e animalisti, respingendo al mittente le accuse di Wvf, Lac, e Vas (Verdi, ambiente e società) che hanno innescato la serie di ricorsi e i successivi blocchi della caccia: “Il calendario venatorio 2013/14 della Regione Liguria è legittimo, che si basa sul parere di Ispra e motiva, con dati scientifici, piccoli scostamenti dal parere stesso”, ha ribadito: “Abbiamo fatto il calendario a inizio maggio, rispettoso delle leggi, della fauna e anche del loro diritto a ricorrere. Gli ambientalisti, infatti, avevano tutto il tempo per fare ricorso e contestare i punti che non ritenevano giusti. Invece hanno usato tutte le tattiche possibili per sferrare un attacco politico alla caccia nel suo complesso, al nostro entroterra e alla sua fragile economia e all’agricoltura. Io credo che essere ambientalisti sia davvero un’altra cosa”, afferma Briano.

L’assessore ligure, torna poi sulle ricadute della vicenda sull’attività venatoria: “Se è vero che gli ambientalisti contestano solo i punti annunciati, va detto allora che la caccia è stata chiusa a tutte le specie in un periodo in cui il calendario venatorio rispettava totalmente i pareri di Ispra. Ricordo comunque che al momento, nessun giudice ha dato torto nel merito, rispetto alle opinioni degli ambientalisti”.

Ma le polemiche proseguono anche nel savonese, dove l’Enpa contesta caccia, cacciatori e le scelte delle amministrazioni regionale e provinciale, chiedendo di “dare impulso agli studi sui sistemi alternativi al fucile, già avviati in altri paesi”. «Con il parere unanime e sollecito (hanno lavorato per la prima volta anche un sabato!) della commissione attività produttive della Regione (la commissione della vergogna venatoria) la giunta regionale ha emanato per la terza volta in pochi giorni un calendario venatorio express per permettere, dicono loro, di riaprire oggi la caccia ai cinghiali e ridurre quindi i danni all’agricoltura», ma sostiene l’Enpa Savona, esistono altre strade.

La Protezione Animali savonese «segnala che uno studio francese, durato 22 anni, ha rilevato che le aree dove intensamente viene praticata l’attività venatoria al cinghiale presentano popolazioni selvatiche maggiori rispetto a quelle a minor densità di cacciatori; gli scienziati attribuiscono la causa allo scompenso nella struttura sociale del cinghiale arrecata proprio dalla caccia, che riduce l’età in cui i giovani maschi riescono ad accoppiarsi; inoltre, dopo le falcidie delle cacce autunnali ed invernali, i sopravvissuti hanno a disposizione un quantitativo di cibo maggiore e, meglio nutriti, si riproducono più presto in primavera, generando una discendenza più numerosa. Il danno si amplifica ulteriormente quando viene uccisa la femmina dominante ed il gruppo di cinghiali, non più tenuto da lei, si disperde e l’estro delle femmine più giovani, o comunque non dominanti, avviene in maniera non più sincrona e più volte l’anno: più cucciolate, insomma. Nel territorio con minor presenza dei cacciatori i cinghiali non solo sono in minor numero ma raggiungono la maturità sessuale più tardi».

«Anche un secondo studio condotto in Germania – proseguono gli animalisti – ha provato che la caccia causa una più intensa moltiplicazione degli animali selvatici rispetto alle condizioni naturali, e la conferma arriva addirittura anche dagli ambienti venatori locali:“l’aumentata riproduzione è causata dall’uomo, relazioni sociali disordinate con estri non coordinati e moltiplicazione incontrollata sono da imputare esclusivamente all’esercizio della caccia“, scrive la rivista venatoria “Wild und Hund”. A peggiorare la situazione locale, i cacciatori (al cui beneficio sono stati liberati negli anni 70 cinghiali maremmani e dell’est, più grossi, prolifici e meno timorosi dell’uomo dei soggetti originari, con solo l’ENPA ad opporsi) li alimentano (i dispositivi sono pubblicizzati sulle maggiori testate internet venatorie) nelle loro zone di battuta per trattenerli sul territorio e poterli

poi cacciare; con la conseguenza che diventano ancora meno timorosi dell’uomo associando ad esso il cibo che, se manca come in questi tempi di assenza di castagne per l’epidemia di cinipede, se lo vanno a cercare vicino all’uomo, ovvero attorno agli abitati,come succede da mesi attorno all’ospedale San Paolo».

«La soluzione seria quindi è dare impulso agli studi sui sistemi alternativi al fucile, già avviati in altri paesi ma ovunque ostacolati, o perlomeno non favoriti, da una classe politica, e gran parte dell’ambiente scientifico, interessata a mantenerli oggetti di caccia e quindi sempre numerosi, costi quel che costi all’ingenuo mondo agricolo. La riprova è che l’ENPA savonese, che lo chiede fin dal 1996 in occasione della sua prima battaglia a difesa dei caprioli, ai presidenti ed assessori provinciali e regionali succedutisi, non ha mai ricevuto neppure una risposta», concludono gli animalisti.