“Romano, un uomo e la sua terra”: in stampa l’autobiografia postuma di Romano Strizioli, intellettuale e pioniere del giornalismo locale

Martedì 24 settembre, a un anno dalla sua scomparsa, vede la luce l’autobiografia di Romano Strizioli, pioniere del giornalismo locale, scrittore, vicesindaco di Albenga dal 1975 al 1977 e addetto stampa. Il libro “Romano, un uomo e la sua terra” (prefazione di Antonio Ricci) sarà presentato alle 21 dal giornalista Pier Paolo Cervone (scrittore, già sindaco di Finale Ligure ed ex caposervizi del quotidiano La Stampa) nell’auditorium San Carlo di via Roma, gentilmente concesso dalla Fondazione Oddi. L’attore Pino Ronco leggerà alcuni brani dell’opera. La serata sarà condotta dal giornalista Cristiano Bosco.

Romano Strizioli aveva terminato la sua ultima fatica letteraria pochi giorni prima di lasciarci. L’aveva consegnata ad alcuni collaboratori, i quali, si sono adoperati per cercare il modo di pubblicarla, rendendogli così il più sentito omaggio. Decisivo per la stampa dell’opera è stato il contributo delle associazioni Croce Bianca, Fischia il vento, Vecchia Albenga e Tra le Torri, che hanno sostenuto il progetto guidate dai rispettivi presidenti Dino Ardoino, Francesco De Andreis, Marisa Scola ed Eugenia Gallizia.

“Servirebbe un libro monotematico solo per raccontare il fondamentale contributo dato da Romano Strizioli alle nostre quattro associazioni. Questo volume vuole essere un omaggio alla sua figura limpida di giornalista, intellettuale e soprattutto amico della cultura. Ci è sembrato doveroso impegnarci per pubblicare la sua autobiografia, che aveva terminato pochi giorni prima di lasciarci, il 24 settembre 2012”, scrivono i rappresentanti delle quattro associazioni nell’introduzione del volume.

“Con questa pubblicazione, vogliamo ringraziare Romano per il tempo speso gratuitamente per il bene della sua città, per i suoi consigli, per il suo ruolo decisivo, ma mai invadente, in centinaia di iniziative culturali che hanno visto la luce nell’ultimo mezzo secolo nel nostro comprensorio. Dalla sua mente vulcanica uscivano sempre idee realizzabili e concrete. Da un anno a oggi, con la sua scomparsa, la nostra Riviera è sicuramente diventata più povera di idee e di inventiva. La sua esistenza, spesa nella valorizzazione della nostra terra, ci ha sicuramente arricchito”, sottolineano le associazioni Croce Bianca, Fischia il vento, Vecchia Albenga e Tra le Torri, alle quali andrà il ricavato della vendita del libro, stampato dalla Tipolitografia Stalla sul progetto grafico dell’agenzia di comunicazione Studiolike.

Il libro è suddiviso in quattro sezioni: L’impegno, Tracce di Liguria, Viaggio al centro del turismo, Parole per lottare. Ventidue i capitoli: Il secolo lungo, Ricordi di un bambino dagli occhi aperti, Troppo vecchio per il ’68, La svolta, Eppur bisogna andar, Villalba-Albenga solo andata, L’equilibrio del terrore, Le ragioni di un fallimento, Lettera a un brigatista, Varigotti e Castelvecchio, Alassio e Albenga, Un’anziana amante, Il fiume più corto d’Italia, I tigli raccontano, Omaggio a un genio dimenticato, Informare chi informa, L’era Baldassarre, Da Borgio a Garlenda, Embrione di un sogno, Poesia codice esistenziale, Dall’opaco, Prima la politica o la letteratura?

Di seguito, come documento e passo particolarmente significativo dell’autobiografia, una lettera aperta inviata da Romano Strizioli a Renato Curcio, pubblicata nel libro.

Romano Strizioli – Lettera a un brigatista. «Caro Renato, ti invio questi miei ricordi e riflessioni che prendono lo spunto da una antica amicizia, che all’inizio degli anni Sessanta ci aveva visto sodali, in lunghi pomeriggi d’inizio autunno nel salone dal parquet ormai consunto e sconnesso della biblioteca comunale di via Roma. Con Aldo, con Mauro e con te parlavamo di letteratura, di politica, di articoli da scrivere, dei casi della vita. Quelle sedute erano interrotte da giocose merende a base di giuggiole e di farinata calda, avvolta in carta oleata.

Tu, che saresti diventato il teorico più conosciuto del brigatismo italiano, non avevi ancora opinioni definitive e certezze politiche. Ti piaceva indagare il livello di conoscenza e di informazione della gente. Su questo argomento scrivesti per Risveglio, il periodico che dirigevo, due articoli-inchiesta costruiti con le registrazioni catturate ai passanti al semaforo di piazza del Popolo. Forse in quegli assaggi ti convincesti che la storia si fa non con le masse ma con le avanguardie, nel tuo caso armate. Sapessi quante volte i carabinieri mi hanno poi interrogato su quegli articoli e su quanto fra noi si discuteva.

Allora avevi tiepide simpatie per Ordine nuovo (Ordre nouveau), nei confronti del quale ti tenevi un passo più discosto dei tuoi amici dell’Itis di don Lasagna ove per i tuoi risultati brillanti di studente diventasti, senza soluzione di continuità, insegnante. Senza perdere un certo atteggiamento formale nei nostri confronti, ti piaceva la battuta pronta, la risata spontanea. C’era anche in te l’ottimismo della gioventù.

Poi te ne andasti a Trento ove, in quella università, è stato detto, aderisti alle idee rivoluzionarie di sinistra e al fascino della lotta radicale, senza escludere anche azioni violente (che però nel tuo caso non furono mai omicide).

Di questa tua diciamo “maturazione” diedi testimonianza con un articolo pubblicato da La Stampa proprio il giorno in cui il generale Dalla Chiesa aveva indetto a Torino una conferenza stampa per parlare di te. Le mie informazioni (certe al cento per cento) divergevano dal rapporto che i carabinieri della stazione di Albenga avevano fatto per il grande generale che si accorse della discrepanza e alle 7,30 mi fece tirare giù dal letto dai militari di Albenga che volevano sapere perché avessi scritto che Curcio aveva simpatie giovanili, seppur tiepide e limitate al periodo albenganese, per la destra estrema di ispirazione europea.

Passarono gli anni. Le pistole dei brigatisti avevano seminato sangue, alzando alla fine il tiro in una escalation a cui spinge il dente per dente.

La mia maturazione politica intanto mi aveva convinto che non esistono, nella storia, scorciatoie, e che le lettere di rivendicazione con la stella a cinque punte erano farneticazioni che in fondo facevano pagare un alto prezzo alla classe operaia, costretta dalla reazione a un atteggiamento difensivo. Come bene ha tradotto in immagini Marco Bellocchio in quel capolavoro che è “Buongiorno, notte…” la strada maestra ed unica è quella della lotta delle masse, della battaglia democratica, così lenta, sì, ma l’unica a poter instaurare una società giusta, democratica, libera. Per colpa tua e dei tuoi compagni ci avete costretto a dover recuperare situazioni difficili, anche se in quel frangente vinse la linea della fermezza. Tale importante vittoria la si deve quasi esclusivamente al Pci e alla sua resistenza nei confronti di trattative con i brigatisti che avrebbero aperto le porte a un imbarbarimento della vita politica e sociale italiana.

Queste idee, caro Renato (anche tu avrai tagliato il traguardo delle 70 primavere), hanno fatto parte della mia maturazione politica e se ti avessi incontrato, forte della vecchia genuina amicizia, ti avrei espresso il mio totale dissenso e il mio impegno quando si trattò di sostenere la linea dell’intransigenza affermatasi grazie, lo ripeto, al Pci.

E avvenne che stavo nuovamente per incontrarti e per dirti quello che mi ero riservato di dirti. Una mattina, al Salone del Libro di Torino, mi capitò di vederti dietro una piccola scrivania ove svolgevi la funzione di rappresentante della tua piccola casa editrice. Ti misi a fuoco. Io ero a una decina di metri da te. Feci una breve riflessione per valutare se dovevo venire a salutarti, stringerti la mano (ma dovevo stringertela, dato il discorso di radicale condanna del brigatismo che avrei voluto farti?), ricordare perlomeno gli anni albenganesi. Fu questione di un attimo: mossi i primi passi verso di te, ma proprio in quel preciso momento irruppero due persone che ti salutarono con effusione e intrecciarono un fitto conversare. Venni stoppato. Un piccolo contrattempo che però fu sufficiente a far prevalere i motivi che mi sconsigliavano di parlarti nuovamente, col pericolo che l’onda dei ricordi giovanile assorbisse i motivi del mio dissenso.

Ora, dal momento che scrivo questi miei appunti di memorie, esperienze, casi della mia vita (nella presunzione che possano servire a far capire ai miei dieci lettori la storia che abbiamo attraversato), ho pensato bene di dirti le cose che dovevo dirti. Anche perché sono convinto che la storia sia un turbine che ci trascina spesso contro la nostra volontà, anche se in ogni frangente occorre attenersi alla razionalità e alla coerenza».