Venezia 70, a sorpresa il Leone d’Oro torna in Italia

di Alfredo Sgarlato – Questa settantesima Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia ha riservato sorprese: prima volta per la presenza di documentari in concorso, prima vittoria di un documentario, prima volta in cui i premi non sono ampiamente annunciati dal giorno prima della premiazione. A sorpresa il Leone d’Oro va a un film italiano, a quindici anni dall’ottimo “Così ridevano” di Gianni Amelio: vince “Sacro GRA” di Gianfranco Rosi, di cui ho visto di recente lo sconcertante “Il sicario”, intervista a un killer messicano. Questo film, che racconta il Grande Raccordo Anulare che circonda la capitale, entra però di straforo nella categoria dei documentari per la bizzarria dei personaggi incontrati dal regista.

Italiana e a sorpresa anche la migliore interpretazione femminile: molti davano per scontata la vittoria della grandissima Dame Judy Dench o dell’emergente Mia Wasikowska, invece vince un’altra elegante signora, l’interprete dell’apprezzato “Via Castellana Bandiera” di Emma Dante, Elena Cotta, attrice che dopo una lunga carriera teatrale approda al cinema. Judy Dench è la protagonista di “Philomena” di Stephen Frears, il film più apprezzato dal pubblico, che però si temeva troppo classico per conquistare la giuria presieduta da Bernardo Bertolucci, e infatti è stato premiato per la miglior sceneggiatura, come spesso accade ai film di impianto molto classico. Per inciso, gli ultimi film del grande Frears mi erano sembrati un po’ moscetti e fa piacere saperlo di nuovo in forma.

Papabile Leone era dato “Miss violence” di Alexandros Avranas, premiato per la miglior regia e per l’interprete maschile, Themis Panou. Di recente capita spesso che nei festival siano molto apprezzati film di nuovi registi greci: però poi questi film non escono da noi. Gran Premio della Giuria a Tsiai Ming Liang, di cui anni fa avevo visto un film, “The hole”, su cui a lungo mi sono interrogato se fosse uno dei film più belli o più brutti che io abbia mai visto (poi ha vinto la prima ipotesi) e poi si era un po’ perso. Premio Speciale a “Die frau du polizisten” di Philip Gröning, che anni fa aveva avuto un insospettabile successo col documentario “Il grande silenzio”. Miglior opera prima “White shadow”, di Noaz Deshe, che tratta della persecuzione degli albini in Africa. In generale un verdetto considerato equo, in una Mostra in cui nessun film ha entusiasmato e quasi tutti hanno diviso la critica, specie quelli di maestri come Gilliam o Amelio.

Apprezzati però i film italiani, specialmente “Zoran il mio nipote scemo” di Matteo Oleotto, unico film divertente in una Mostra in cui si è patita l’eccessiva violenza di molte opere, per esempio “Moebius” di Kim Ki Duk, che si direbbe abbia abbandonato la poesia di film incantevoli come “Ferro 3” per tornare agli eccessi dei primi film. Perché queste scelte? Viviamo in un’epoca più violenta del passato? Forse sì, come pure è possibile che la violenza sia sempre stata così presente ma che in passato venisse incanalata in guerre e dittature. È necessario mostrarla sullo schermo? Premesso che come dice il critico Farinotti tutto è meglio della censura io penso di no.

In un’epoca storica in cui i tg non ci risparmiano nulla e un omicidio si vede dopo pochi minuti su You Tube mostrare esplicitamente la violenza è sadismo, non è libertà creativa. Per fortuna l’eccesso di violenza è bilanciato dall’altro tema forte che ha espresso la Mostra: incentrare i film su figure di donne forti e coraggiose.

* il trend dei desideri: rubrica Corsara di Alfredo Sgarlato